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Esperienza e percezione

Post n°19 pubblicato il 30 Agosto 2007 da marcocyn
 

E' possibile un'esperienza non soggettiva? quello che io percepisco come un certo colore, odore, sapore, per un altro sarà un'altra percezione...

Si chiamano Qualia nei termini della psicologia della mente, li studiano autori come Dennet, Chalmers, Searle.
La questione è che le percezioni che ognuno di noi esperisce, come risultato dell'incontro-scontro con le cose (e già qui ammettiamo l'esistenza di una realtà oggettiva esterna e che agisce su di noi secondo una causalità esperibile, e questo noi non è che un corpo immerso in questa stessa causalità), non sono confrontabili per il loro aspetto qualitativo con quelle di tutti gli altri. Nel senso, chiamiamo Rosso la sensazione di colore che ci suscita la vista di un papavero, ma non c'è modo di verificare che la qualità di colore di questa mia percezione (l'essere-rosso del fiore) sia esattamente la stessa identica di quella che esperisci tu- certo, è plausibile, comodo e necessario stabilire che siano la stessa sensazione, ma non è possibile averne la certezza.

Così il mondo è un'oggettività che entra in contatto con noi, la realtà è un insieme di corpi che si incontrano e interagiscono, entrando gli uni nella sfera di soggettività degli altri. E dalla soggettività non si sfugge, perchè soggettività è quell'area a due poli che viene a crearsi quando due corpi, due oggetti, entrano in contatto e 'gravitano' uno entro il raggio d'azione dell'altro. In tale area, ognuno dei due poli esperisce dell'altro solo quello che la sua struttura sensoriale gli consente di percepire. E' una selezione, è una rapresentazione condizionata dell'oggettività dell'altro, condizionata dalla struttura sensoriale che ci permette di 'sentire' la presenza dell'altro oggetto. Ciò non inficia la realtà dell'altro oggetto, a mio parere.

Arrivare agli estremi del mondo come mia rappresentazione, alla Volontà pura di Schopenhauer che addirittura CREA il mondo come propria rappresentazione e capriccio è un'esagerazione. Se pure è lo stesso filosofo che dice che se una pietra potesse pensare ed esperire la propria volontà (e gentilmente comunicarcela), essa sentirebbe di voler cadere verso terra, poichè la sua struttura sensoriale/esistenziale che determina il suo modo di interazione con le altre realtà fa sì che essa cada verso la terra seguendo l'attrazione della forza di gravità, portata dal suo peso.

L'interpretazione di Nietzsche è molto più accettabile, la caduta degli dei e l'andare al di là del bene e del male vanno nella direzione del superamento della gabbia della nostra soggettività, delle nostre rappresentazioni e concettualizzazioni del mondo, della nostra rete di valori che stendiamo sulle cose (ciò che ci attrae, ciò che asseconda la nostra natura e bisogni è bene, ciò che vi si oppone è male).

Recupero della oscena e scabrosa (nauseante per Sartre) oggettività del mondo, senza però dimenticare che non possiamo che essere centri di irradiazione di giudizi di valore, che la soggettività è irrinunciabile, ognuno è un punto di vista sulla realtà. Ma invitando all'esercizio di una sorta di soggettività critica, che non dimentichi che l'oggettività fuori di noi non è annullata né sminuita dalle nostre attribuzioni di valore e che resta presente nella sua urgenza e nella sua oggettività originaria fuori di noi. E che è interpretabile e re-interpretabile sempre e di nuovo in maniere e modi differenti. (E' il compito che Heidegger nella sua lettura di Nietzsche attribuisce all'Arte di Grande Stile, ovvero la produzione aorgica e senza sosta di valori e rappresentazioni dell'essere).

Questa è una terza via, che media in modo critico e pratico tra oggettività e soggettività. La fenomenologia del 900 ha mediato in tal senso tra la riscoperta dell'oggetto e l'analisi della struttura della nostra esperienza soggettiva di esso (Husserl, Bergson, Deleuze, Jankélévitch tra i nomi cui tengo maggiormente).

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