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Post n°3 pubblicato il 31 Dicembre 2008 da FaustoM.
Vecchierel bianco, infermo, IL FENOMENO DELLA MORTE E LE PRIME ESPERIENZE POST-MORTEM by Gabriele Bertani (08/09/2003 - 15:23) Daremo qui alcuni cenni riguardanti la morte le esperienze post-mortem, basandoci come sempre sulle descrizioni e le ricerche dei più seri e autorevoli ricercatori esoterici. Per prima cosa è bene sapere in che cosa consiste esattamente quel fenomeno che chiamiamo "morte" e che, in questa epoca storica così lontana dai più profondi valori e insegnamenti spirituali, incute nell'uomo medio tanta paura. Si è detto in precedenza che l'entità umana nell'esistenza terrena consiste nell'individualità vera e propria (l'Io) più una serie di "strumenti" di cui dispone e si avvale per percepire e operare nei vari piani o livelli di esistenza (mentale, astrale, eterico, fisico). Questi "strumenti" sono appunto il corpo mentale, il corpo astrale, il corpo eterico e il corpo fisico. Quando si "muore", in realtà avviene che l'Io si libera del corpo fisico e cessa di operare e percepire sul corrispondente livello di esistenza (quello fisico, ovviamente), abbandonando il corpo materiale e restituendolo alla Terra. Le cellule del corpo fisico cessano quindi di essere organizzate secondo lo schema corrispondente alle correnti di energia del corpo eterico, e iniziano a seguire lo schema corrispondente al mondo minerale. Questo è ciò che chiamiamo "decomposizione", ma ciò che si decompone non è l'Uomo, ma soltanto uno dei suoi involucri, quello che serve a percepire e operare sul piano fisico. La decomposizione è movimento e quindi vita, dunque non si può dire che il corpo muoia, ma piuttosto che le sue componenti continuano a vivere ma secondo uno schema diverso. Dopo l'evento della "morte" l'Io è esattamente come prima, con i suoi pensieri, i suoi desideri, le sue preferenze, i suoi pregi e i suoi difetti, con la differenza che non opera e percepisce più sul livello di esistenza fisico. Al distacco dal corpo fisico è dovuto il primo evento che accade dopo la morte, vale a dire la rapida visione a ritroso in immagini degli avvenimenti della propria esperienza sul piano fisico appena terminata. Questo fenomeno è stato descritto in numerosi casi da persone che sono state in punto di morte, e che si sono trovate quindi in una situazione "di confine" quando i corpi sottili sono ormai fuoriusciti dal corpo fisico ma ne sono ancora collegati tramite il cosiddetto "cordone argenteo", una sorta di cordone ombelicale eterico la cui rottura sancisce la morte vera e propria e definitiva. Sono noti a tutti i casi di persone che hanno dichiarato, descrivendo la situazione fin nei particolari, di aver visto dall'alto il proprio corpo fisico sul lettino dell'ospedale con i medici intorno all'opera. Finchè il "cordone argenteo" è integro e collegato al corpo fisico, la persona in coma o in punto di morte è effettivamente fuori dal corpo fisico ma ha ancora la possibilità di rientrarvi, mentre una volta che il cordone è rotto questo non è più possibile. La visione a ritroso in immagini degli avvenimenti della vita appena trascorsa dura in genere alcuni giorni, durante i quali anche il corpo eterico gradualmente si decompone e si dissolve nella materia eterica. Talvolta durante la notte è possibile osservare nei cimiteri, in certe condizioni di luce, i resti dei corpi eterici in via di decomposizione galleggiare nell'aria sopra le tombe delle persone defunte da pochi giorni. Generalmente, durante la visione a ritroso, lo stato di coscienza è calmo e tranquillo, la persona vede le immagini come da spettatore che sta guardando un film. A questa fase ne segue un'altra, breve (può durare ore, giorni o settimane), caratterizzata da incoscienza come nel sonno senza sogni, dopodichè l'individuo si risveglia sul piano di esistenza astrale. Siccome la memoria è una funzione del corpo eterico, a questo punto l'individuo non ha più il ricordo della vita precedente e inizia una nuova esistenza secondo le leggi del livello astrale, per molti versi radicalmente diverse da quelle che regolano il piano fisico. Seguiranno poi esperienze su livelli ancora superiori e un percorso inverso che riporterà alla successiva incarnazione. Ma di tutto questo torneremo a parlare più diffusamente in seguito. Fohat La facoltà di ricordare le vite anteriori si sviluppa gradualmente. Attualmente nell'uomo medio questo non è possibile, ma lo sarà nei tempi a venire. Naturalmente le successive incarnazioni hanno un preciso legame tra loro e sono finalizzate all'evoluzione dell'anima. Le motivazioni che ci riportano sulla terra hanno a che fare, come hai giustamento detto,con l'attaccamento, le passioni, i desideri legati all'esistenza fisica, e anche con la necessità di pareggiare il karma che noi stessi abbiamo creato in vite precedenti. Per quanto riguarda l'aumento demografico, questo dipende dalla frequenza con la quale ci si reincarna nei vari periodi storici. Secondo fonti teosofiche, normalmente il periodo che intercorre tra un'incarnazione e un'altra è di diversi secoli, ma in certi periodi e in occasione di eventi straordinari che interessano l'umanità intera si abbreviano notevolmente per un gran numero di anime, causando l'aumento demografico. Il secolo scorso, costellato da innumerevoli guerre con milioni di vittime, è stato sicuramente un secolo del tutto particolare per le sue implicazioni karmiche (molte vite sono terminate prematuramente),e le motivazioni dell'aumento demografico credo che vadano ricercate in questo contesto. Dei meccanismi del karma avremo comunque modo di riparlare in modo più approfondito in seguito. Fohat Per quanto riguarda gli affetti e gli amori, le fonti che ho consultato affermano che, in linea di massima, gli stessi gruppi di persone che hanno vissuto in una incarnazione tendono a ritrovarsi anche in quelle successive. Naturalmente ci sono sempre delle eccezioni, ma la regola pare sia questa. Niente di strano, quindi, se in una vita successiva ritroviamo persone con le quali abbiamo avuto legami affettivi di vario tipo in vite anteriori. E'come se ci fosse ( e probabilmente c'è) un qualcosa che attrae magneticamente soggetti che per qualche ragione sono stati legati tra loro in vite passate. Questo del resto risponde ai criteri del meccanismo karmico, che richiede che ogni azione trovi il suo pareggio in un tempo successivo. Fohat
*** La bellezza...sta negli occhi di chi ti guarda...**PENSARE E' LAVORO PER L'INTELLETTO, FANTASTICARE IL SUO PIACERE. Victor Hugo.** "Fare sesso è come giocare a bridge. Se non hai un buon compagno è meglio che tu abbia una buona mano."-Woody Allen Prescindere da Gandhi parlando di non-violenza sarebbe impossibile. IL VALORE DELLO SCIOPERO DELLA FAME COSA MI HA INSEGNATO GANDHI Per commenti, suggerimenti o domande puoi contattare l'autore, Japhy Smith, scrivendo al suo indirizzo email: bigtonnella@hotmail.com. |
Post n°2 pubblicato il 31 Dicembre 2008 da FaustoM.
Nella cultura occidentale i riferimenti culturali ai Maestri spirituali sono rari. Persino George Ivanovitch Gurdjeff – forse il Maestro spirituale dell’ultimo secolo più conosciuto in Occidente grazie alla voluminosa produzione letteraria di Piotr Demianovich Ouspensky, suo discepolo per otto anni – benché nato ad Alessandropoli, nell’area sud-transcaucasica della Russia, e benché abbia vissuto in diversi Paesi del medioriente e per lunghi anni in Francia, è considerato più un orientale che un occidentale.
Ciò nonostante, io ritengo possibile affermare che anche l’Occidente ha avuto i suoi grandi Maestri, benché rimasti sconosciuti ai più. Maestri spirituali insospettati, come a parer mio lo fu Petrarca e come ho scoperto che lo fu Leopardi.
Il Maestro è un uomo che vive l’esperienza del Samadhi, stato d’Illuminazione spirituale permanente che genera un magnetismo straordinario avvertito da tutti coloro con i quali egli viene in contatto. Il Samadhi è la conoscenza diretta e permanente delle cause e degli effetti, la consapevolezza del proprio esistere e il perdurare in questo stato di allocoscienza. Arrivare a questo stato interiore, diventare un Maestro, un Illuminato, è una possibilità insita nella natura umana. È lo stato verso cui tutti tendiamo; è lo stato che la tradizione cristiana chiama Paradiso.
Nella mia esperienza, il primo passo (1) sulla strada dell’Illuminazione è un profondo senso di malessere che può nascere da cause molteplici come l’amore, il lavoro, la famiglia, la salute. Lo stato di malessere che condusse Gautama Siddarta a diventare Buddha (illuminato) per esempio, nacque dalla scoperta dell’esistenza della malattia, della vecchiaia e della morte, esperienze a lui scrupolosamente celate dai membri della sua corte; per Leopardi fu la presa di coscienza del suo difetto fisico; per Gurdjieff fu l’insaziabile desiderio di conoscenza che lo costrinse a viaggiare ovunque.
Questo malessere genera tensione, il secondo passo (2): ci si sente in conflitto con se stessi e con il mondo. Questo passo nel Leopardi è ben delineato.
Il terzo passo (3) avviene quando lo stato di tensione cresce e raggiunge il punto di ebollizione: allora accade il miracolo, il quarto passo (4), l’accettazione di Sé, la resa. A questo segue il quinto passo (5), la deposizione delle armi e il sesto (6), lo svuotamento interiore. L’immondizia interiore accumulata per anni vanisce e si avverte per la prima volta il Sé, il settimo passo (7), quel “se stesso” che non aveva mai avuto la possibilità di fare capolino nell’area della coscienza attiva.
A questo punto la propria vita è cambiata radicalmente. Niente è più visto o avvertito come prima. La mente viene assorbita dalle domande: “Chi sono?”, “Perché esisto?”, l’ottavo passo (8), e si tende sposmodicamente nel tentativo di rispondere. Se il desiderio di conoscere le risposte raggiunge l’intensità necessaria, il nono passo (9), la mente si ferma per un breve istante e accade il Satori, il decimo passo (10), stato in cui si ha un assaggio dell’Illuminazione; è un breve periodo di “non mente” in cui si esperisce la vera natura dell’essere umano.
Quando lo stato del Satori cessa, si prova un terrore esistenziale inenarrabile; sappiamo d’aver camminato sull’orlo di un abisso. In questo undicesimo passo (11), per un lasso di tempo lo stato di “non-mente” ci ha reso possibile vedere e comprendere l’illusorietà della vita, (ciò che indù chiamano maya, il velo che ricopre la realtà). Poi, col ritorno della mente, torna la normale percezione delle cose.
Se la mente scompare definitivamente per lasciare l’intero palcoscenico della vita all’Essere, si entra nel Samadhi, quello stato che i buddisti chiamano Nirvana, o Illuminazione (12). Osho, il grande Maestro spirituale, insegna che Gautama Siddartha, dopo anni di rigidissima ascesi e stenua pratica yoga, deluso dai risultati ottenuti abbandonò ogni sforzo. Per contrapposizione questo produsse nel suo essere un profondo stato di rilassatezza dal quale nacque il miracolo: la sua mente cessò. Solo allora il Satori sfociò nel Samadhi e Gautama Siddartha diventò il Buddha. La differenza fra i due stati risiede nella temporaneità o permanenza dello stato di non-mente.
Il Satori è l’esatta conoscenza di ciò che “non si é”, e genera il silenzioso distacco dagli affari del mondo quotidiano (13), di quel mondo oggettivo che tutti sperimentiamo in comune; questo distacco diventa una piattaforma di lancio interiore da cui proseguire per la conoscenza di “ciò che è”.
L’impatto con questa realtà sviluppa la percezione di ciò che “si é”, e nasce il desiderio di comunicare il nuovo stato in cui si “è” (14).
L’esperienza che si desidera comunicare non è supportata dall’attività mentale, quindi le tecniche normalmente usate per comunicare sono inefficaci. I Maestri spirituali di tutte le epoche si sono confrontati con l’impossibilità di convogliare con le parole la portata della trasformazione esperita. La percezione di questa impossibilità spinge a sviluppare nuove strategie divulgative (15). Per maggiore chiarezza elenco i passi a me noti che conducono al Samadhi: 1) Malessere esistenziale 2) Rifiuto del malessere esistenziale e conseguente dramma interiore 3) Apice del dramma interiore 4) Piena accettazione del malessere esistenziale 5) Deposizione delle armi usate per combatterlo 6) Svuotamento interiore 7) Prima conoscenza di Sé 8) Affiorano le domande “Chi sono io?”, “Perché esisto?” e il desiderio di trovare le risposte 9) Aumenta l’intensità del desiderio 10) Satori 11) Terrore esistenziale per la presa di coscienza della falsità della vita ordinaria 12) Nuova consapevolezza di Sé 13) Silenzio e ritiro dal mondo 14) Desiderio di comunicare l’esperienza 15) Sviluppo di strategie divulgative
Confrontai questa sequenza col testo de L’Infinito e cominciai a incorniciare le prime parole:
Sempre caro mi fu quest’ermo colle (1) Uno stato abitudinario. Il poeta descrive il suo stato di malessere: la solitudine. e questa siepe (2) La barriera che impedisce la corretta visione di Sé, cosa che il Leopardi tentava costantemente. che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude Spazio delimitato, ben definito, un percorso interiore preciso per giungere al Sé libero da malesseri, una nuova piattaforma di lancio da cui proseguire verso l’ignoto. ma sedendo e mirando (9) La pratica della meditazione. interminati spazi al di là da quella e sovrumani silenzi e profondissima quiete (10) Il poeta descrive un’esperienza intraducibile, come se l’intelligibile fosse inadeguato a esperirla e la mente, con tutte le sue astuzie, inibita nel trattenerne la memoria. io nel pensier mi fingo (11) È la strategia usata da coloro che sperimentano il Satori per convivere con il nuovo stato di consapevolezza di se stessi; una specie di accettazione passiva delle regole che governano l’essere umano nella socialità, per garantirsi un equilibrio psicologico che altrimenti non avrebbe corso, a causa del terrore esistenziale ove per poco il cor non si spaura. (11) E come il vento odo stormir fra queste piante È la nuova consapevolezza di se stesso, un Leopardi completamente rinnovato, pronto a proseguire verso l’ignoto. io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando Si avvicina la caduta del concetto di dualità, di separazione, di distacco: io e gli altri, io e il mondo, io e tutte le cose. e mi sovvien l’eterno La fusione totale dell’essere, essere per essenze senza testimonianza alcuna. e le morte stagioni Dopo il concetto di spazio descrive il concetto di tempo: dall’eterno, dalle vite passate, alla vita presente, il “qui e ora” l’attimo fuggente imprendibile, la porta verso l’infinito. e la presente e viva il suon di lei L’onda costante del cambio di coscienza, dal Satori all’accettazione passiva dell’essere, cristallizza nel poeta una situazione interiore particolare, un rifugio dove attendere un altro volo solitario, dove tenere a bada i propri pensieri in fila e ben allineati. così fra questa immensità s’annega il pensier mio Qui è rilevante che Leopardi scrive “annega “, quindi il suo pensiero, la sua mente, muore, rimane esclusa da quell’immensità, benché poco dopo aggiunga: e il naufragar m’è dolce in questo mare. E lascia intendere che solo il naufrago può godere di quella immensità,perché non porta con sé una mente passiva, come naufragare da se stessi.
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Post n°1 pubblicato il 27 Ottobre 2008 da FaustoM.
ARTHUR RIMBAUD Lo Zibaldone
DOTTRINA (TEORIA) DEL PIACERE - Piacere = Bene
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