Creato da FaustoM. il 09/04/2008
nessuna
 

Area personale

 

Archivio messaggi

 
 << Luglio 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
1 2 3 4 5 6 7
8 9 10 11 12 13 14
15 16 17 18 19 20 21
22 23 24 25 26 27 28
29 30 31        
 
 

FACEBOOK

 
 

Cerca in questo Blog

  Trova
 

Ultime visite al Blog

ririritaFaustoM.faustomelninosa73fliyerdream
 

Chi può scrivere sul blog

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 

 

« Post mortemPost Mortem »

Post N° 2

Post n°2 pubblicato il 31 Dicembre 2008 da FaustoM.

Giacomo Leopardi

 

Anni fa, rovistando nella mia mini-biblioteca alla ricerca di un libro, incappai in Leopardi, canti, (Lucio Felici, Perugia, 1981, Newton Compton editori). Lo lessi. Fra le righe del poeta, narrata con una mirabile sintesi, riconobbi i tratti di un’esperienza esistenziale da me esperita anni prima e che ebbe un impatto radicale sulla mia vita.

 

Decisi di leggere qualsiasi cosa fosse reperibile su Leopardi, ma con un rapido calcolo mi resi conto che due o tre vite non sarebbero bastate per farlo; il numero dei testi a lui dedicato è sconfinato così come lo è il volume delle sue opere. Convogliai allora la mia attenzione sui Canti e sul Ciclo di Aspasia per avere conferma della mia intuizione.

 

Scoprii un poeta inedito e insospettato, e un Maestro spirituale.

       

 

Nella cultura occidentale i riferimenti culturali ai Maestri spirituali sono rari. Persino George Ivanovitch Gurdjeff – forse il Maestro spirituale dell’ultimo secolo più conosciuto in Occidente grazie alla voluminosa produzione letteraria di Piotr Demianovich Ouspensky, suo discepolo per otto anni – benché nato ad Alessandropoli, nell’area sud-transcaucasica della Russia, e benché abbia vissuto in diversi Paesi del medioriente e per lunghi anni in Francia, è considerato più un orientale che un occidentale.

 

Ciò nonostante, io ritengo possibile affermare che anche l’Occidente ha avuto i suoi grandi Maestri, benché rimasti sconosciuti ai più. Maestri spirituali insospettati, come a parer mio lo fu Petrarca e come ho scoperto che lo fu Leopardi.

 

Il Maestro è un uomo che vive l’esperienza del Samadhi, stato d’Illuminazione spirituale permanente che genera un magnetismo straordinario avvertito da tutti coloro con i quali egli viene in contatto. Il Samadhi è la conoscenza diretta e permanente delle cause e degli effetti, la consapevolezza del proprio esistere e il perdurare in questo stato di allocoscienza.

Arrivare a questo stato interiore, diventare un Maestro, un Illuminato, è una possibilità insita nella natura umana. È lo stato verso cui tutti tendiamo; è lo stato che la tradizione cristiana chiama Paradiso.

 

Nella mia esperienza, il primo passo (1) sulla strada dell’Illuminazione è un profondo senso di malessere che può nascere da cause molteplici come l’amore, il lavoro, la famiglia, la salute. Lo stato di malessere che condusse Gautama Siddarta a diventare Buddha (illuminato) per esempio, nacque dalla scoperta dell’esistenza della malattia, della vecchiaia e della morte, esperienze a lui scrupolosamente celate dai membri della sua corte; per Leopardi fu la presa di coscienza del suo difetto fisico; per Gurdjieff fu l’insaziabile desiderio di conoscenza che lo costrinse a viaggiare ovunque.

 

Questo malessere genera tensione, il secondo passo (2): ci si sente in conflitto con se stessi e con il mondo. Questo passo nel Leopardi è ben delineato.

 

Il terzo passo (3) avviene quando lo stato di tensione cresce e raggiunge il punto di ebollizione: allora accade il miracolo, il quarto passo (4), l’accettazione di Sé, la resa. A questo segue il quinto passo (5), la deposizione delle armi e il sesto (6), lo svuotamento interiore. L’immondizia interiore accumulata per anni vanisce e si avverte per la prima volta il Sé, il settimo passo (7), quel “se stesso” che non aveva mai avuto la possibilità di fare capolino nell’area della coscienza attiva.

 

A questo punto la propria vita è cambiata radicalmente. Niente è più visto o avvertito come prima. La mente viene assorbita dalle domande: “Chi sono?”, “Perché esisto?”, l’ottavo passo (8), e si tende sposmodicamente nel tentativo di rispondere. Se il desiderio di conoscere le risposte raggiunge l’intensità necessaria, il nono passo (9), la mente si ferma per un breve istante e accade il Satori, il decimo passo (10), stato in cui si ha un assaggio dell’Illuminazione; è un breve periodo di “non mente” in cui si esperisce la vera natura dell’essere umano.

 

Quando lo stato del Satori cessa, si prova un terrore esistenziale inenarrabile; sappiamo d’aver camminato sull’orlo di un abisso. In questo undicesimo passo (11), per un lasso di tempo lo stato di “non-mente” ci ha reso possibile vedere e comprendere l’illusorietà della vita, (ciò che indù chiamano maya, il velo che ricopre la realtà). Poi, col ritorno della mente, torna la normale percezione delle cose.

 

Se la mente scompare definitivamente per lasciare l’intero palcoscenico della vita all’Essere, si entra nel Samadhi, quello stato che i buddisti chiamano Nirvana, o Illuminazione (12). Osho, il grande Maestro spirituale, insegna che Gautama Siddartha, dopo anni di rigidissima ascesi e stenua pratica yoga, deluso dai risultati ottenuti abbandonò ogni sforzo. Per contrapposizione questo produsse nel suo essere un profondo stato di rilassatezza dal quale nacque il miracolo: la sua mente cessò. Solo allora il Satori sfociò nel Samadhi e Gautama Siddartha diventò il Buddha. La differenza fra i due stati risiede nella temporaneità o permanenza dello stato di non-mente.

 

Il Satori è l’esatta conoscenza di ciò che “non si é”, e genera il silenzioso distacco dagli affari del mondo quotidiano (13), di quel mondo oggettivo che tutti sperimentiamo in comune; questo distacco diventa una piattaforma di lancio interiore da cui proseguire per la conoscenza di “ciò che è”.

 

L’impatto con questa realtà sviluppa la percezione di ciò che “si é”,  e nasce il desiderio di comunicare il nuovo stato in cui si “è” (14).

 

L’esperienza che si desidera comunicare non è supportata dall’attività mentale, quindi le tecniche normalmente usate per comunicare sono inefficaci. I Maestri spirituali di tutte le epoche si sono confrontati con l’impossibilità di convogliare con le parole la portata della trasformazione esperita. La percezione di questa impossibilità spinge a sviluppare nuove strategie divulgative (15).

 

Per maggiore chiarezza elenco i passi a me noti che conducono al Samadhi:

1)         Malessere esistenziale

2)         Rifiuto del malessere esistenziale e conseguente dramma interiore

3)         Apice del dramma interiore

4)         Piena accettazione del malessere esistenziale

5)         Deposizione delle armi usate per combatterlo

6)         Svuotamento interiore

7)         Prima conoscenza di Sé

8)         Affiorano le domande “Chi sono io?”, “Perché esisto?” e il desiderio di trovare le risposte

9)         Aumenta l’intensità del desiderio

10)       Satori

11)       Terrore esistenziale per la presa di coscienza della falsità della vita ordinaria

12)       Nuova consapevolezza di Sé

13)       Silenzio e ritiro dal mondo

14)       Desiderio di comunicare l’esperienza

15)       Sviluppo di strategie divulgative

 

Confrontai questa sequenza col testo de L’Infinito e cominciai a incorniciare le prime parole:

 

                                               Sempre caro mi fu quest’ermo colle (1)

Uno stato abitudinario. Il poeta descrive il suo stato di malessere: la solitudine.

                                               e questa siepe (2)

La barriera che impedisce la corretta visione di Sé, cosa che il Leopardi tentava costantemente.

che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il

guardo esclude

Spazio delimitato, ben definito, un percorso interiore preciso per giungere al Sé libero da malesseri, una nuova piattaforma di lancio da cui proseguire verso l’ignoto.

                                               ma sedendo e mirando (9)

La pratica della meditazione.

interminati spazi al di là da quella

 e sovrumani silenzi

 e profondissima quiete (10)

Il poeta descrive un’esperienza intraducibile, come se l’intelligibile fosse inadeguato a esperirla e la mente, con tutte le sue astuzie, inibita nel trattenerne la memoria.

                                               io nel pensier mi fingo (11)

È la strategia usata da coloro che sperimentano il Satori per convivere con il nuovo stato di consapevolezza di se stessi; una specie di accettazione passiva delle regole che governano l’essere umano nella socialità, per garantirsi un equilibrio psicologico che altrimenti non avrebbe corso, a causa del terrore esistenziale ove per poco il cor non si spaura. (11)

E come il vento odo stormir fra queste piante

È la nuova consapevolezza di se stesso, un Leopardi completamente rinnovato, pronto a proseguire verso l’ignoto.

io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando

Si avvicina la caduta del concetto di dualità, di separazione, di distacco: io e gli altri, io e il mondo, io e tutte le cose.

                                               e mi sovvien l’eterno

La fusione totale dell’essere, essere per essenze senza testimonianza alcuna.

                                               e le morte stagioni

Dopo il concetto di spazio descrive il concetto di tempo: dall’eterno, dalle vite passate, alla vita presente, il “qui e ora” l’attimo fuggente imprendibile, la porta verso l’infinito.

                                               e la presente e viva il suon di lei

L’onda costante del cambio di coscienza, dal Satori all’accettazione passiva dell’essere, cristallizza nel poeta una situazione interiore particolare, un rifugio dove attendere un altro volo solitario, dove tenere a bada i propri pensieri in fila e ben allineati.

così fra questa immensità s’annega il pensier mio

Qui è rilevante che Leopardi scrive “annega “, quindi il suo pensiero, la sua mente, muore, rimane esclusa da quell’immensità, benché poco dopo aggiunga:

                                               e il naufragar m’è dolce in questo mare.

E lascia intendere che solo il naufrago può godere di quella immensità,perché non porta con sé una mente passiva, come naufragare da se stessi.

 

 
 
 
Vai alla Home Page del blog
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963