Post n°20 pubblicato il 11 Maggio 2009 da pumina78
Signor Presidente della Repubblica, Siamo i lavoratori degli Uffici giudiziari di Milano e, come tutti, stiamo attraversando enormi difficoltà alle quali si aggiunge un profondo malessere per il modo nel quale veniamo presentati all’opinione pubblica ( dipendente statale = fannullone ). Ci siamo autoconvocati e “autotassati” perché, di questi tempi, chi non conquista uno spazio mediatico rimane senza voce. Le chiediamo di essere la nostra voce, come cittadini e come lavoratori che rendono concreto l’operare del Potere Giudiziario, uno dei tre pilastri su cui poggia la Costituzione di cui Lei, Signor Presidente, è custode e garante. In primo luogo è necessario che venga chiarito un enorme equivoco: non è nelle aule dei Tribunali che si decide cosa è giusto o cosa è sbagliato, né si stabilisce come punire i reati. Ciò viene deciso legittimamente dal Parlamento, che è il luogo dove si esercita la sovranità dei cittadini e a noi, tali decisioni, giungono attraverso i Codici. E’ nel Codice che sta scritto se lo stupro deve essere punito più duramente del furto di una mela e in che proporzione, se il colpevole colto in flagranza di reato debba attendere in carcere la sua condanna o possa andare libero, quanto sia ampio il tempo per indagare prima che il reato si prescriva e non sia più possibile alcuna punizione o come il processo possa essere agevolato o bloccato. Il Legislatore e la Politica individuano la massa delle azioni da punire, la quantità delle persone che devono cooperare perché ciò avvenga e la razionalità delle procedure da applicare: se vi è saggezza in questa proporzione il risultato sarà positivo, altrimenti insorgeranno problemi. E’ una regola elementare, quella del vincolo di bilancio, nota alle Multinazionali e ai buoni padri di famiglia. Non è l’inefficienza o la negligenza dei lavoratori della Giustizia che determinano le lungaggini del processo, ma i Codici che regolano le procedure – spesso molto complesse – di tutta la macchina della giustizia. Perché nessuno lo dice? Perché nessuno ha informato l’opinione pubblica che negli ultimi anni sono state più volte cambiate dette procedure con un esponenziale aumento degli adempimenti a nostro carico, il tutto a fronte di: • nessuna formazione che, specie in un settore così delicato, ciascuno di noi è costretto ad acquisire anche per non incorrere in sanzioni disciplinari o più gravi; • una continua riduzione delle risorse umane e finanziarie che, al contrario, vanno proporzionalmente aumentate; • nessuna crescita professionale - sebbene una sempre maggiore competenza acquisita nel corso degli anni - per noi lavoratori della Giustizia, gli unici nel settore pubblico a non avere avuto un processo di riqualificazione nonostante questo fosse previsto da un contratto firmato il lontano 5 aprile 2000? Signor Presidente, in questo momento di generali incertezze e sacrifici, sentiamo il dovere di richiamare la sua autorevole attenzione a un’impellente necessità di verità, nel timore che lasciar radicare nei cittadini una convinzione errata sulle nostre responsabilità possa offrire lo spazio a frettolosi revisionismi che – invocando aspirazione di efficienza e di eccellenza che noi per primi auspichiamo – stravolgano di fatto la visione etica con la quale la Costituzione ha disegnato il Potere Giudiziario, ove chi indaga e chi giudica è soggetto solo alla Legge, tutti i reati vanno evidenziati e puniti e ogni cittadino è uguale per diritti e doveri. In democrazia ogni cambiamento è legittimo, ma vuole verità, chiarezza e trasparenza. La nostra tristezza e la nostra indignazione ora, ove sempre più spesso la valutazione superficiale e poco obiettiva del nostro operare induce qualcuno a ritenere di poter ledere pubblicamente e ingiustificatamente anche il nostro onore e la nostra dignità, cede il passo a questo senso di responsabilità verso la Casa comune in cui ci riconosciamo e che Lei, anche come uomo, ha fortemente voluto, certi che lo saprà cogliere e fare Suo. Con rispetto ed affetto. Milano, 27 marzo 2009.
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