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MEDITAZIONE parte seconda

Post n°5 pubblicato il 01 Marzo 2015 da zengi1955
 

Meditazione b

 

Prima di iniziare a parlare della Meditazione orientale è necessario prendere in considerazione due aspetti. Il primo riguarda l’impossibilità della lingua occidentale di tradurre con un termine specifico un ideogramma orientale. Infatti, un ideogramma ha più di un significato, mentre la lingua occidentale ha più termini per uno stesso significato, da qui la difficoltà di cui sopra.

   

Prendiamo come esempio il termine Kara-te. "Kara" significa "vuoto", mentre "Te" significa "mano". Karate avrebbe, allora, il significato di "mano vuota"; ma nel Karate si usano anche colpi di gamba, proiezioni, ecc. per cui non sarebbe esatta la traduzione corrente. Se si intende Karate come "mente vuota", cioè "mente libera da ogni condizionamento esterno" ci avviciniamo molto al vero significato dell’ideogramma.

 

    Il secondo riguarda il termine Zen.  Questa è la forma giapponese del termine cinese Ch’an, a sua volta derivazione del termine sanscrito Dhayna, che costituisce una paramitas (carattere particolare dell dottrina buddhista) ed avente il significato di meditazione.

    Tutto nasce nell’India, la culla delle religioni, circa 500 anni prima della nascita di Cristo. Nacque nell’attuale stato del Nepal Gotama Siddharta, principe della dinastia dei Sakya, il fondatore del buddhismo. Siddharta, il Buddha, trovò che si poteva saltare il ciclo delle rinascite per giungere all’Illuminazione eliminando i desideri.

La sua dottrina si proponeva proprio questo: la via Media che tutti possono seguire per giungere all’Illuminazione nella vita corrente.

    Alcuni secoli dopo un monaco buddhista Duruma (nome giapponese) o Boddhidarma (nome indiano) andò dall’India in Cina dove fu accolto dall’imperatore. Venuto a dissapori con questi, Boddhidarma andò nel Nord della Cina, presso i monasteri Shao-Lin; insegnò in questi monasteri una sua dottrina personale, una variante del Buddhismo classico, dando maggiore importanza alla Meditazione Illuminatrice, piuttosto che alla fede ed alle opere.

    Duruma insegnò ai monaci delle tecniche fisiche, degli esercizi per risvegliare le membra intorpidite dalle lunghe ore di meditazione, ponendo i primi rudimenti di un Arte Marziale chiamato Shorjin Kempo.

    Secoli più tardi questi monasteri Shao Lin furono distrutti ed i monaci si riversarono per tutta la Cina portando con loro ciò che Duruma aveva insegnato. Per lunghi periodi la Cina fu invasa da popolazioni ostili e subì un lungo travaglio interiore, dato anche da guerre interne.

I monaci Shao Lin iniziarono a diffondere la loro Arte Marziale per difendere le popolazioni inermi dalle orde di briganti che imperversarono in tutta la nazione. L’avvento della meditazione Ch’an nella cultura cinese e nei vari  conventi porta inevitabilmente con sé il propagarsi di un particolare metodo d’ascesi: il Chuan Fa che rende i monaci validi guerrieri.

    Quando il credo di Boddhidarma arrivò nel sud della Cina venne a contatto con i mercanti del Giappone e di Okinawa; questi portarono sia il Kempo, sia il Ch’an in Giappone dove si sposò con influenze locali.

    Il Kempo divenne Okinawa-te, ad Okinawa, e, agli inizi del secolo, Karate in Giappone.

    Il Ch’an arriva in Giappone dove diviene nel tempo lo Zen odierno. Una corrente dello Zen si unisce al Do In per formare lo Zen Do Ishi.

    Lo Zen Do Ishi può essere espresso nella massima latina "Mens sana in corpore sano". Permette attraverso uno studio introspettivo di sé di arrivare a comprendere il proprio Io; permette di gestire al massimo la propria energia, e attraverso movimenti mirati, posture adatte, idonee respirazioni, il corpo si libera dalle tensioni date dalle negatività (stress, pensieri funesti, ira, invidia, ecc.) per ciò il proprio organismo diviene recettivo al massimo per ricevere la grande energia che permea l’universo.

Questa grande energia fa si che l’uomo saggio riesca a padroneggiare la propria energia e ad usarla quando se ne sente l’utilità.

   

Lo Zen Do Ishi in comune con lo Zen classico la ricerca del Satori,anche se parlare di ricerca è sbagliato.

Lo Zen Do Ishi si propone come un mezzo per  ortare l’idea dell’uomo nella giusta dimensione. Con il conseguimento del Samadhi (stato di estrema concentrazione dove tutto il proprio essere si concentra su una data realtà) si raggiunge la piena consapevolezza del proprio essere, che non termina con l’uscire dallo stato del samadhi, riuscendo, così, ad arrivare alla consapevolezza della realtà esterna.

 

Questa concezione è importante perché alcuni scambiano il samadhi con lo stesso stato che si riscontra dopo avere assunto uno stato di droga. E’ vero che alcune sostanze psicotrope sembra che portino ad un innalzamento della coscienza ma è altrettanto vero che questi stati di coscienza alterati, questi stati di euforia non durano molto tempo e subito si ha una fase di regressione. Al contrario, una volta raggiunto lo stato del samadhi questo non sarà più abbandonato. E’ come se si fosse raggiunto uno stato elevato, come se si vivesse in uno posto elevato.

 

Riuscire a porre se stesso ed il mondo esterno nel contesto della pura esistenza è Kensho, una condizione che si avvicina al satori, la suprema illuminazione.

Per arrivare a questo dobbiamo sconfiggere l’Io relativo, il quale varia continuamente.

Quando ci poniamo nell’atteggiamento mentale proprio per raggiungere il samadhi, spesso un pensiero negativo (negativo in quanto ci nega la possibilità di entrare nel samadhi) attraversa la nostra mente; liberandoci da questo pensiero negativo, un altro pensiero negativo viene ad ossessionare la nostra mente, e così via. Tuttavia, dobbiamo sempre allontanare il pensiero negativo. Possiamo pensare quando vogliamo fare un vuoto mentale, non ricordare nulla, allontanare ogni pensiero, allora la nostra vita ci scorre dinanzi.

Perché accade questo pensiero relativo? Come conseguenza del peccato di superbia. Nel pensiero orientale si vive in questo stato perché l’uomo è caduto nello stato del Maya, lo stato di ignoranza per cui l’uomo crede di vivere la vita mentre vive nella vita, ma come indossando una maschera, degli occhiali scuri che gli fanno vedere la realtà di un colore non autentico. Per questo motivo si parla di illuminazione per uscire da questo stato di non coscienza, di buio per cui si scambia la realtà per quella che non è.

Nel cristianesimo si parla di peccato in quanto dopo il peccato originale l’uomo vive sempre preda del peccato e continuamente viene tentato dal male che lo tenta falsandogli la realtà.

 

Nella meditazione è importante allontanare i pensieri negativi, inutili, quelli che ci allontanano dall’illuminazione. Se il fine ultimo della nostra esperienza è Dio, le tensioni mentali negative sono dette tentazioni. Un pensiero cristiano dice: "non è peccato la tentazione, ma l’assenso alla tentazione". Una massima Zen dice: "il prodursi di un pensiero malvagio è la malattia; non persistere in esso è il rimedio".

 

Chi pratica Zen Do Ishi non compie nulla di trascendentale, ma al contrario compie tutto molto normalmente. Ciò lo differenzia dagli altri è che egli compie le azioni per quello che sono; quindi, quando mangia il suo pensiero è rivolto solo al mangiare, quando dorme pensa solo al dormire, quando è in compagnia di una persona pensa solo a questa persona e non ai vantaggi che gli possono derivare dalla compagnia di questa persona.

Questo, è in sintesi, anche la raccomandazione che io faccio sempre ai miei atleti di Karate: quando venite ad allenarvi, fate in modo da lasciare fuori la palestra le vostre preoccupazioni in modo che la vostra menta sia assorbita solo dal Karate.

Questo è ciò che io chiamo vivere in uno stato perenne di samadhi attivo.

Al contrario, una persona media vive in un mondo che fa in modo che tale persona viva nella vita; quindi, questa persona vivrà secondo i canoni impressi dal mondo, pieno di fantasie, insicurezze, per cui quando mangia non pensa che sta interagendo con la natura, con ciò che la natura gli sta offrendo, ma pensa ad altre cose; quando dorme non pensa di fare riposare il suo fisico, la sua mente, ma, al contrario, è talmente pieno di paure che non riesce a dormire; quando è in compagnia di una persona pensa ai vantaggi che può ricavare da questa persona.

Per cui l’uomo non sà vivere la vita, ma vive nella vita.

Lo Zen Do Ishi si propone di conoscere la vera realtà, la vera natura di ogni particolare dell’Universo che cade sotto i suoi sensi, quindi anche noi stessi.

E’ la naturale risposta al detto greco "Gnoti te auton" - Conosci te stesso.

 

Il vedere la natura, nello Zen Do Ishi, è un approccio di tipo "vissuto" in quanto non si cerca di intenderla intellettualmente; è un pensiero che può rimanere ostico agli occidentali specialmente per chi crede sia il pensiero, l’intelletto la risposta al problema dell’esistenza. Ma il discorso intellettuale risulta positivo sino a che si trattano argomenti che possono avere riscontri nella realtà oggettiva; perde, però, il suo valore quando si cerca di trattare in maniera intellettuale problemi che riguardano la natura intima dell’uomo. Quindi, non si può credere di potere risolvere i veri problemi dell’uomo, legati ai bisogni intimi, con il solo pensiero. Proprio per questo motivo l’esperienza del satori non può essere spiegata, ne compresa da chi non l’abbia già sperimentata.

M

 
 
 
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