libro nero
quello che non si sapevacrimini commessi dai comunisti in Italia in questi ultimi cinquant'anni hanno avuto una motivazione ideologica coerente, per quanto perversa.
Abbiamo deciso di ricordarli in queste pagine anche perchè da un po' di tempo la stampa di regime (tanto per intenderci quella sopravvissuta alla prima repubblica) ha iniziato un'operazione di "riabilitazione" dei terroristi di sinistra.
È un'operazione gravissima, da contrastare con ogni mezzo. Si tratta dei soliti intellettuali radical-chic vetero sessantottini che, responsabili di aver aiutato i terroristi all'inizio della loro attività, cercano ora di farli "perdonare" dall'opinione pubblica e dalla giustizia penale per poterli ancora utilizzare ai loro fini.
Nella tabella che segue riassumiamo, a futura memoria, il numero dei crimini che insanguinarono l'Italia tra il 1970 e il 1983 in nome della dittatura del proletariato.
Ma il fenomeno va esaminato più a fondo e sin dall'inizio, raccontando nei dettagli ogni odiosa storia che costò la vita a tanti innocenti colpevoli solo di opporsi all'ideologia comunista.
I momenti cruciali di questa storia di sangue sono stati due. Quello a noi più vicino, già menzionato, del terrorismo degli anni '70, e quello più lontano nel tempo degli anni 1945-1949, quando i partigiani comunisti, reduci dalla vittoriosa lotta di liberazione, non riuscirono a imporre in Italia il regime comunista, ritennero tradito lo spirito della resistenza e sfogarono la loro delusione con atti violenti.
Non si creda che questi due momenti bui siano isolati tra loro. Come documenteremo con le dichiarazioni stesse dei protagonisti, il sorgere del nuovo terrorismo negli anni '70 fu abbondantemente incoraggiato e sostenuto da frange estreme del movimento partigiano che non aveva mai accettato la sconfitta politica succeduta alla vittoria militare.
- Iniziamo dunque ad aprire un velo su questa storia di sangue parlando delle Foibe, le fenditure delle montagne nelle quali i partigiani comunisti titini precipitarono a guerra finita migliaia e migliaia di uomini e donne colpevoli solo di essere italiani.
- Sempre a guerra finita l'odio comunista si scatenò contro altre migliaia di innocenti in quello che fu definito il Triangolo della Morte, una vasta zona compresa tra Bologna, Modena e Reggio Emilia.
- A Milano operò dall'estate 1945 al febbraio 1949 la cosiddettaVolante Rossa, ovverosia un gruppo terroristico che commise reati di ogni sorta.
- Nel 1968 scoppiò la contestazione studentesca. Chi visse quegli anni sa quanti atti violenti commisero i componenti dei vari servizi d'ordine del Movimento Studentesco, di Lotta Continua, di Avanguardia Operaia, dell'Unione dei Comunisti Italiani (marxisti-leninisti) - Servire il Popolo ecc. ecc. Ricordiamo in queste pagine le crudeli aggressioni con le chiavi inglesi e gli assassinii commessi in nome di quella tragica esaltazione collettiva.
- Uno dei primi veri gruppi terroristici clandestini all'inizio degli anni '70 furono i G.A.P. di Giangiacomo Feltrinelli, che si rifacevano nel nome e nell'attività ai Gruppi di Azione Partigiana degli anni 1943 - 1945.
- Il gruppo terroristico senz'altro più famoso e organizzato di questo secondo dopoguerra è stato quello delle Brigate Rosse. Alle tante vittime di questa formazione terroristica dedichiamo una pagina del nostro Osservatorio, senza alcun sentimento di comprensione o di indulgenza verso i vari Curcio, Franceschini, Moretti ecc.
- La sigla che, dopo le Brigate Rosse, ha seminato più morti e terrore è stata Prima Linea, quella del figlio dell'ex ministro democristiano Carlo Donat Cattin e di tanti altri assassini quali Sergio Segio, Roberto Rosso ecc.
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Dimenticati
di Paolo De Marchi
Una pagina rimossa della nostra storia. Centinaia di cattolici, sacerdoti e laici, uccisi dai partigiani comunisti nell’immediato dopoguerra. In odio alla fede e alla Chiesa. I testimoni tacciono. I libri di testo nascondono la verità. Viltà, paura o complicità?
Una delle accuse più squalificanti che possano essere rivolte a chi si occupa di storia è senz’altro — nell’attuale temperie culturale — quella di essere revisionista: che equivale quanto meno a impudente falsario o a spericolato negatore di verità conclamate e di tesi pacificamente ammesse dalla gente che conta. Uno storico vero dovrebbe invece essere revisionista per definizione, perché il passato è sempre suscettibile di una pluralità di letture, e la valutazione dei fatti, per essere il più possibile serena, va sgombrata da pregiudizi ideologici e luoghi comuni non verificati. Il revisionismo, insomma, dovrebbe essere strumento ordinario di lavoro per uno storico, se non altro per evitare il formarsi di miti e leggende che piano piano finiscono per sovrapporsi alla verità dei fatti. Ora, una delle mitologie più solide, in Italia, nell’ultimo cinquantennio è certamente quella che riguarda la Resistenza: della quale è intoccabile la sacralità e incrollabile il giudizio totalmente positivo, Il che spiega come, mentre molto si sa dei crimini commessi dai nazisti (e che nessuno vuole naturalmente sminuire), manchino invece del tutto studi approfonditi sui crimini commessi dai partigiani in alta Italia, e soprattutto in Emilia Romagna, nel cosiddetto Triangolo della Morte. Eppure anche un Giorgio Bocca, certo insospettabile di voler "gonfiare" le cifre, calcola in 12-15.000 il numero dei "giustiziati" dai partigiani. Diciamo subito che il termine "giustiziati" usato da Bocca non appare esalto, perché fra gli uccisi ci sono certamente molti fascisti, ma ancor di più ci sono persone eliminate per ragioni che con la politica avevano poco o nulla a che tare (si pensi, per stare alla realtà, ai sette fratelli Govoni - uno solo dei quali era qualificabile come fascista, e di cui l’ultima, lda, ventenne, era madre di una bimba di pochi mesi - trucidati ad Argelato l’11 maggio 1945, i cui corpi verranno trovati solo nel ‘51; oppure, per passare alla poesia, che spesso interpreta i fatti in modo più efficace della pura cronaca, al bellissimo racconto di Guareschi intitolato Due mani benedette). Ma quello che qui ci interessa è sottolineare il fatto che fra questi morti ammazzati elevatissimo è il numero di cattolici, uccisi proprio in quanto cattolici, ossia perché incarnavano — agli occhi sia dei nazisti sia dei partigiani comunisti —quella tragica figura del "nemico oggettivo" di cui le rivoluzioni hanno assoluto bisogno per sopravvivere.
Ebbene, di queste vittime restano dei nomi, delle date, e poco più. Perfino Il secolo del martirio, il bel libro di Andrea Riccardi di cui si è già parlato su queste pagine, nulla dice in proposito: e di questi veri martiri della fede si rischia di perdere anche la memoria, se non ci si deciderà a tentare, e presto, qualche ricerca approfondita. Eppure sono tanti: solo in Emilia Romagna sono 92 i sacerdoti e seminaristi caduti per mano dei partigiani e su L’Osservatore Romano del 1° novembre 1995 Luciano Bergonzoni ne elenca i nomi, insieme a quelli di tanti altri, vittime della ferocia nazista.
Sempre nel ‘95, il card. Biffi ha promosso una serie di celebrazioni commemorative, nelle parrocchie della diocesi di Bologna, dei sembravano socialmente sacerdoti uccisi prima e avanzate ed erano soltanto dopo la Liberazione, affermando che "questa impressionante serie di crimini dice che c’era a quel tempo il piano di impadronirsi politicamente della nostra società attraverso l’intimidazione della gente"; e proseguiva ribadendo il dovere del ricordo e della riconoscenza nei confronti di chi ha sacrificato la vita per ottenerci "il dono di un lungo periodo di prosperità e di pace", sapendo "opporsi con fermezza ed efficacia al trionfo di ideologie che sembravano socialmente avanzate ed erano soltanto cieche e disumane", e preservandoci così "dalle tristi prove toccate a molte nazioni dell’Est europeo". Non è questa la sede per un ricordo dettagliato di tanti martiri, tra cui abbondano le figure nobili e luminose, e spesso i veri e propri eroi.
Basterà menzionare il sacrificio di don Alfonso Reggiani, ucciso ad Amola il 5 dicembre 1945, e di don Enrico Donati, di Lorenzatico, ucciso il 13 mezza e ricordato espressamente dal card. Biffi, per arrivare al caso forse più famoso di tutti, quello di don Umberto Pessina, trucidato a San Martino di Correggio il 18 giugno 1946 (quindi sempre ben dopo il fatidico 25 aprile!): un delitto che invano i comunisti hanno cercato di far passare per un incidente, come è spiegato dallo storico Sandro Spreafico in un’intervista pubblicata su Avvenire del 30 dicembre 1993 (una ricostruzione dell’omicidio, che portò in carcere per dieci anni l’allora sindaco di Correggio Germano Nicolini, pur innocente, è contenuta nello studio di Frediano Sessi, Nome di battaglia: Diavolo, uscito da Marsilio nel 2000: cfr. sull’argomento M. Corradi su Avvenire del 4 giugno 2000 e R. Festorazzi su Avvenire del 18 giugno 1996).
Tanti sacerdoti, dunque, ma anche tanti seminaristi e tanti laici, come il quindicenne Rolando Rivi, ucciso a Reggio Emilia il 10 aprile 1945, in quanto "futuro ragno nero", o il famoso Giuseppe Fanin, apostolo dell’idea cristiana fra i braccianti e i contadini, ucciso a ventiquattro anni il 4 novembre 1948 vicino a Bologna, perché dava fastidio il suo impegno per tradurre in pratica la dottrina sociale della Chiesa.
Un ultimo punto vorremmo ricordare: gli assassini di tanti innocenti — colpevoli solo di essere cattolici — sono stati spesso individuati, ma le condanne sono state pochissime, perché quasi sempre essi hanno trovato, con la copertura e la connivenza del partito comunista, rifugio e ospitalità oltre la cortina di ferro. E questo va tenuto presente soprattutto oggi, quando quasi nessuno vuoi più ricordare il suo passato comunista, e addirittura vuol farsi passare per liberale, ma allo stesso tempo rifiuta un serio esame di coscienza. Ci piacerebbe insomma che anche altri, e non solo i cattolici, scoprissero la grandezza e la dignità del chiedere perdono.
Tutto questo discorso è fatto qui — sia chiaro — non per riaprire ferite o per vano spirito di polemica, ma allo scopo di mantenere viva la memoria dei fatti e far risplendere la verità, che rischia altrimenti di restare sepolta sotto gli slogan e il conformismo ideologizzato; e con la speranza che la Storia — quella vera, e non quella manipolata dagli storici non revisionisti o dai manuali scolastici — insegni a evitare gli orrori del passato.
Ricordiamo i nomi dei sacerdoti dell’Emilia Romagna sacrificati in odio alla religione o per "liberare" il nostro paese.
Bertinoro:
Bologna:
Carpi:
Cesena:
Faenza:
Ferrara:
Fidenza:
Forlì:
Guastalla:
lmola:
Modena:
Parma:
Piacenza:
Ravenna:
Reggia Emilia:
Rimini:
Sarsina:
Bibliografia
Luciano Bergonzoni, Clero e Resistenza, Cantelli, Bologna 1964.
Luciano Bergonzoni, Preti nella tormenta, A. Forni, Bologna 1977.
© Il Timone - n. 11 Gennaio/Febbraio 2001
Ettore Barocci, Dino Foschi, Pietro Tonelli.Giuseppe Balducci, Federico Buda, Pietro Carabini, Giuliani, Pietro Maccagli.Sperindio Bolognesi (parroco di Nismozza, ucciso dai partigiani comunisti il 25 ottobre 1944), Pasquino Borghi, Aldemiro Corsi (parroco di Grassano, assassinato nella sua canonica, con la domestica Zeffirina Corbelli, da partigiani comunisti la notte del 21 settembre 1944), Giuseppe Donadelli, Luigi Ilariucci, Giuseppe Jemmi, Sveno Maioli, Luigi Manfredi (parroco di Budrio, ucciso il 14 dicembre 1944 perché aveva deplorato gli "eccessi partigiani"), Dante Mattioli, Umberto Pessina, Battista Pigozzi, Rolando Rivi, Carlo Terenziani.Primo Mantovani, Luciano Missiroli, Santo Perin, Mario Domenico Turci.Giuseppe Beotti, Giuseppe Borea, Alberto Carrozza, Francesco Delnevo, Francesco Mazzocchi, Alessandro Sozzi.Amedeo Frattini, Pietro Picinotti, Italo Subacchi, Giuseppe Voli.Aldo Boni, Aristide Derni, Giuseppe Donini, Palmiro Ferrucci, Giovanni Guicciardi, Luigi Lendini (parroco di Crocette trucidato dopo inenarrabili torture il 20 luglio 1945), Elio Monari,Pietro Cardelli, Teobaldo Daporto (arciprete di Castel Ferrarese, ucciso da un comunista nel settembre 1945), Giovanni Ferruzzi (arciprete di Campanile, ucciso dai partigiani il 3 aprile 1945), Giuseppe Galassi, Tiso Galletti (parroco di Spazzate Passatelli, ucciso il 9 maggio 1945 perché aveva criticato il comunismo), Settimio Pattuelli, Luigi Pelliconi, Aristide Penazzi, Evaristo Venturini.Gerrino Cavazzoli, Giacomo Davoli.Domenico Cavanna, Aldo Panni.Mario Boschetti, Pietro Rizzo.Angelo Cicognani, Antonio Lanzoni, Antonio Scarante.Lazzaro Urbini.Alberto Fedozzi, Amadio Po, Francesco Venturelli.Luigi Balestrazzi, Medardo Barbieri, Corrado Bartolini (parroco di S. Maria in Duno, prelevato dai partigiani il 1° 1945 e fatto sparire), Raffaele Bartolini (canonico della Pieve di Cento, ucciso dai partigiani la sera del 20 giugno 1945), Dogali Raffaele Busi, Ferdinando Casagrande, Enrico Donati (arciprete di Lorenzatico, ucciso il 13 maggio 1945 da elementi qualificatisi per partigiani, chiuso in un sacco e gettato in acqua), Achille Filippi (parroco di Moiola, ucciso dai comunisti il 25 luglio 1945 perché accusato di filofascismo), Mauro Fornasari, Giovanni Fornasini (ucciso da un capitano tedesco il 13 ottobre 1944), Domenico Gianni, Arturo Giovannini, Ilario Lazzeroni, Giuseppe Lodi (ucciso dai tedeschi il 29 settembre 1944), Ubaldo Marchioni (ucciso dalle SS il 29 settembre 1944), Ildebrando Mezzetti, Aggeo Montanari, Giuseppe Rasori, Alfonso Reggiani, Eligio Scanabissi, Giuseppe Tarozzi, Elia Comini, Martino Capelli, Mario Ruggeri, Tarcisio Collina. Vincenzo Bruscoli, Giovanni Godoli. Livio Casadio. Natale Monticelli, Giuseppe Muratori, Giuseppe Preci, Ernesto Talè.Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso |
Paolo CAROTENUTO
La storia negata: il silenzio in Italia sui crimini comunisti
tratto da Legno Storto
I comunisti esisteranno finché non sarà fatta piena luce sui loro crimini occultati
Ha riscosso una grande partecipazione di pubblico il convegno che si è tenuto a Napoli sui crimini negati del comunismo in Italia organizzato dalla Fondazione Campi Flegrei. Grazie anche a relatori di livello assoluto, presenti giornalisti del calibro di Dario Fertilio e Giancarlo Lehner, oltre agli apprezzati De Simone e Nardiello del quotidiano Il Roma, sono stati presentati volumi di grande valore volti a rimuovere quel silenzio non casuale che è calato su pagine ancora oggi inesplorate della nostra storia. In sostanza non si tratta di riscrivere la storia attraverso un'azione revisionista, ma si tratta di scoprire eventi che fino ad oggi sono stati volutamente occultati, manipolati e falsificati. Ma chi è che ha intrapreso questa scientifica e metodologica azione di rimozione del passato? E' stata la domanda alla quale si è cercato di dare una risposta. Innanzitutto con Dario Fertilio, giornalista del Corriere della Sera ed autore de La morte rossa (edito dalla Marsilio), per il quale si sono dette pseudo-verità per occultare la realtà e l'essenza dei fatti. Se alla parola lager corrisponde la definizione di campo militare per addestramento militare, se alla parola foiba corrisponde il significato di cavità carsica più o meno profonda prodotta dalle acque correnti, a quella di gulag si è attribuita la corrispondente traduzione di "campo di rieducazione".
Due sono gli obiettivi perseguiti in questo modo. Dimenticare, relegare "tra parentesi" esperienze che magari un domani possono consentire di riprendere un discorso lasciato in sospeso; negare, perché di fronte alla negazione dei crimini del comunismo, è più semplice elevare simboli e bandiere di Lenin o di Che Guevara, ovvero simboli di morte e umiliazione dei diritti fondamentali dell'uomo e della sua dignità.
Il comunismo ha agito in maniera molto simile in tutti i Paesi nei quali ha raggiunto il potere, dall'Unione Sovietica alla Jugoslavia, dai paesi dell'Europa dell'Est all'Albania, da quelli dell'Asia sovietica a quelli dell'America latina, ed ha riprodotto quasi sempre gli stessi scempi che nell'arco di pochi anni si sono compiuti per mano dei regimi nazionalsocialisti. Ma la differenza che ha contraddistinto il comunismo dal nazionalsocialismo è nella menzogna di fondo di cui il comunismo si è dipinto, che pur mantenendo la sua identica forza distruttiva, si travestiva da redentore. Per questo i genocidi comunisti devono essere ricordati e non dimenticati o nascosti come si è fatto fino ad oggi. Alle date del 27 gennaio ed ora del 10 febbraio, che lasciano sovente spazio alla retorica che accompagna la memoria, è doveroso elevare al medesimo rango quella del 7 novembre, anniversario della rivoluzione bolscevica e che è stata proposta come Giornata della memoria delle vittime comuniste (Memento Gulag) grazie all'impegno caparbio dei Comitati per le Libertà (www.libertates.org), di cui lo stesso Fertilio è presidente e fondatore.
A chi ritiene l'anticomunismo come un disco rotto, ha replicato Armando De Simone, autore con Vincenzo Nardiello dell'apprezzato volume di ricerca Appunti per un libro nero del comunismo italiano (ed. Controcorrente), che ha ricordato quale sia lo scandalo che si è perpetrato fino ad oggi. Il vero tradimento degli intellettuali è testimoniato proprio da un convegno come quello di Napoli, dove a parlare di un simile argomento sono stati quattro "giornalisti" e non storici o studiosi. Nessun professore ci ha raccontato di 200 milioni di persone morte, nessuno ha documentato questa che è una storia negata. Ed è lecito indagare sulle ragioni per le quali chi sapeva ha preferito tacere.
Fino ad oggi non è ancora stato compiuto alcun processo al Partito comunista italiano e questo tema non lo si pone nemmeno oggi, un periodo nel quale retoricamente si fa richiamo spesso al dovere della memoria. Ma a quale memoria ci si fa appello e perché questa deve essere pilotata, circoscritta? Per questo non abbiamo bisogno di mentitori professionisti, ma di comunisti veri, quelli come Massimo D'Alema che in Unione Sovietica c'è stato 47 volte; abbiamo bisogno dei Fassino, che è stato segretario della più grande federazione comunista italiana, quella di Torino, e che oggi si definisce riformista semplicemente perché al congresso dei Ds ha ricordato la figura di Bettino Craxi come una delle più grandi del socialismo europeo. E vogliamo sapere dove sono finiti i piani di insurrezione contenuti in 5 valigie in pelle verde, laddove addirittura Soave ha ammesso che questi piani furono organizzati fino alla fine degli anni '80. Stiamo parlando di attentati alla costituzione, reati imprescrittibili, sui quali nessun magistrato ha voluto indagare. Come è stato possibile tutto questo?
Stavolta è Vincenzo Nardiello che prova l'impresa di dare una spiegazione, evidenziando come la storia sia stata messa a servizio di un progetto politico, visto che qui non si parla di fatti interpretati male, non conosciuti o posti correttamente, ma di pagine che sono state espulse completamente dal dibattito storico. Pagine che nessuno storico si è preso la briga di raccontare, come quella che vide Palmiro Togliatti invitare ad accogliere i titini come liberatori e di realizzare uno scambio tra Gorizia e Trieste.
Perché tutto questo? Una prima risposta è rinvenibile nel fatto che una parte degli storici erano di fatto dirigenti o esponenti comunisti. Ma questi da soli non erano sufficienti per portare a compimento questa impressionante opera mistificatoria. E qui ci viene in soccorso Ernesto Galli della Loggia che recentemente ha ammesso quanto gli storici e gli intellettuali moderati si siano piegati al volere dei comunisti che non gli chiedevano di essere comunisti, ma semplicemente di non essere anticomunisti.
Immaginate che cosa sarebbe accaduto, ad esempio, se un agente della CIA avesse seguito Aldo Moro, il segretario del più grosso partito italiano, fino al giorno prima del suo sequestro. E' successo, invece, che sia stato pedinato da un agente del Kgb come dimostrano i documenti ufficiali provenienti dagli archivi dell'Unione Sovietica. Non patacche, ma prove scritte, atti ufficiali, drammaticamente sconcertanti sui quali continua ad aleggiare un silenzio che si fa sempre più assordante.
Dunque oggi ha senso rileggere la storia nel tentativo di depurarla da questi inaccettabili condizionamenti che hanno fatto sì che alcune verità non venissero alla luce? Ed ha senso dichiararsi ancora anticomunisti, oggi che il Muro di Berlino è crollato ed il regime sovietico si è dissolto?
Ebbene sì, un simile comportamento è prima di tutto un dovere, perché, come ci ricorda Giancarlo Lehner, autore de La Tragedia dei comunisti italiani, le vittime del Pci in Unione Sovietica (edito per la collana le Scie della Mondadori), essere contro il comunismo non è una contingenza politica, ma è un principio ed un dovere morale. E ricorda anche che il comunismo non lo si combatte con l'anticomunismo urlato ma semplicemente raccontando i fatti e ricercando la verità.
Del resto basta riportare alcune chicche presenti nel libro del giornalista e storico, direttore de Il Giusto Processo, per rendersi conto di quanto sia stato enorme il lavoro di dissimulazione prodotto fino ad oggi: in una lettera inviata al suo comando firmata da Giorgio Bocca, all'epoca attivista partigiano, è possibile leggere il suo sconcerto per taluni eccessi di partigiani comunisti, come quelli di un comandante partigiano di nome Rocca "specializzato ad uccidere personalmente i prigionieri fascisti squartandoli a colpi di pala". Un Bocca allibito si domandava fino a che punto fosse lecito arrivare. Questo valoroso partigiano, ovviamente, non ha avuto alcun problema per i suoi atti, se non una medaglia d'oro.
Ma se un tempo erano pagati per disinformare, oggi a sinistra si segnalano professori per la loro imbarazzante ignoranza. E' di pochi giorni fa un articolo pubblicato sul quotidiano La Repubblica di Tabucchi, autore tanto in voga e pompato dall'intellighenzia di sinistra, che tranquillamente si è preso il lusso di dichiarare che Gramsci fosse morto in carcere.
E' evidente che dinanzi a simili mistificazioni si comprende anche perché sia abilmente taciuto da questi "professionisti della menzogna" la vera essenza del patto Molotov-Ribbentrop che nel 1939 ha sancito la nascita dell'asse nazi-comunista e che diede il via libera a Hitler per l'eliminazione degli ebrei. Fu in quel frangente che Stalin, in segno di concordia, si permise di offrire in "regalo" ad Hitler tutti gli ebrei internati nei gulag. Questo è un dato storico, provato, inconfutabile: la persecuzione degli ebrei partì con il benestare di Stalin, dei comunisti. Innegabile a tal punto che nei libri di storia non v'è menzione alcuna. All'epoca, inoltre, Hitler non doveva di certo apparire come un mostro dai "benpensanti rossi", visto che esiste un saggio vergognoso di Palmiro Togliatti per il quale il patto fu la conseguenza dell'aggressione ai danni della Germania compiuta da Francia e Gran Bretagna.
Possiamo continuare ricordando la storia di don Pietro Leoni che tornò in Italia dopo essersi fatto 10 anni di gulag accusato di un reato che nell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche era assolutamente vietato: avere rapporti col Vaticano. Certo che per un prete sarebbe stato davvero ostico non averne, ma la tragedia per quest'uomo si materializzò con il suo ritorno nel suo paese natale, Bologna. Qui cominciò a raccontare la sua esperienza, la verità sull'URSS e su come si viveva. Roba da far impazzire il Pci, tanto che i "compagni" italiani arrivarono a dire che il vero prete fosse morto, che quello che parlava era solo un impostore o un sosia. E cosa fece Sacra Romana Chiesa? Pensò bene di spedirlo in Canada perché "era disfunzionale alla strategia del dialogo" intrapresa dal papa buono.
Ma vi è un documento storico che vale più di mille altre storie raccontate, che inchioda definitivamente Palmiro Togliatti alle sue responsabilità. Sono trascorsi 50 anni di dibattiti, riflessioni e scontri tra gli storici nello stabilire se Togliatti avesse o meno fatto qualcosa in favore degli italiani comunisti arrestati, perseguitati e trucidati in URSS. In realtà si è trattato di un falso problema, perché il vero dilemma è stabilire quanti siano stati gli italiani consegnati direttamente da Togliatti ai sovietici.
In un documento datato 25 dicembre 1936, catalogato come «segretissimo», al terzo paragrafo c'è una lista di tredici comunisti italiani, fra cui Vincenzo Baccalà, bollati come «elementi negativi». Accanto ai nomi di Rossetti (pseudonimo di Baccalà) e di Modugno, c'è una nota: «troskista, deportare», E in fondo al testo, la scritta: «Soglasen» («Sono d'accordo»), firmato «Ercoli», ovvero il nome in codice di Togliatti. Da notare un particolare agghiacciante: «Soglasen» era la formula di ratifica dell'incaricato dell'Nkvd che prendeva visione dei mandati di cattura e degli ordini di perquisizione. Togliatti, dunque, anche nel lessico, il codice ristretto dei carnefici, appare tutt'uno con la polizia segreta sovietica. Del resto, come poteva non essere d'accordo, visto che le prime denunce contro quei poveri compagni di base erano partite proprio dai dirigenti «vigilantes» del PCd'I?
Ma esistono ancora i comunisti in Italia? Forse sono cambiate le sigle, ma nei fatti anche il più anticomunista (sua dichiarazione) dei comunisti della storia italiana, Walter Veltroni, spesso ne ha subito la cultura e le metodologie. Basta riprendere l'Unità diretta dall'attuale sindaco di Roma dell'11 novembre 1993, a pagina 10, dove appare un trafiletto in cui si comunica la morte del compagno Penco, e si legge "vecchio militante comunista, perseguitato politico per le sue idee di libertà e di socialismo". Peccato che Veltroni abbia scordato di aggiungere un particolare: Penco fu sì un perseguitato politico, ma lo fu da suoi compagni facendosi pure 14 anni nei gulag sovietici. Certo, un particolare irrisorio per chi è cresciuto nella cultura della menzogna.
Ebbene si, i comunisti esistono ancora e condizionano tuttora la ricerca della verità storica se è vero che tra i consulenti della Commissione parlamentare sul dossier Mitrokhin vi sia anche Giulietto Chiesa, corrispondente dell'Unità dall'80 all'88 che non veniva pagato dal suo giornale, ma dal Comitato della mezzaluna e croce rossa sovietica. Pagato in sostanza da Breznev. Ebbene, Chiesa che veniva pagato tre volte più del direttore della Pravda, con casa, automobile, spese per i viaggi, vacanze garantite, tutte a carico del valoroso stato sovietico, era il giornalista italiano che doveva informare delle cose sovietiche.
Dinanzi ad un così illuminante scenario, riteniamo di poter chiudere rimarcando il messaggio che Giancarlo Lehner ha lanciato: il lavoro serio dello storico non è quello di usare aggettivi o invettive, ma cercare dati, documenti e fatti. Questo è il principio da seguire per chi vuole rendere giustizia alla verità ed alla storia del nostro paese e che 60 anni di storia repubblicana non sono stati sufficienti a garantire
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Dopo 60 anni di vergognosi silenzi, nessun accenno alle colpe dei comunisti (jugoslavi e italiani) negli eccidi istriani
Una telenovela sulle atrocità delle foibe che ai giovani fa capire molto poco
di Gaetano Saglimbeni
L'attesa era per una fiction di grande chiarezza che, dopo sessant'anni di vergognosi silenzi, rendesse finalmente giustizia alla comunità italiana dell'Istria, ai dieci o ventimila nostri connazionali (il numero esatto non si è mai conosciuto e forse non si conoscerà mai) orribilmente assassinati e gettati nelle foibe del Carso tra il 1943 ed il '45 dai comunisti jugoslavi con la connivenza o complicità dei "compagni" italiani, ai 350 mila profughi dell'Istria, Dalmazia e Venezia Giulia costretti a lasciare le loro case e le loro terre per sfuggire alla "pulizia etnica" ordinata dalle truppe occupanti del maresciallo Tito. Ed invece, con lo sceneggiato Il cuore nel pozzo diretto da Alberto Negrin e trasmesso in due puntate sul primo canale della Tv di Stato, abbiamo assistito ad una telenovela di stampo sudamericano, fatta di buoni e cattivi, amori puliti e stupri infamanti, ossessioni di coppie, bimbi contesi, persecuzioni e vendette atroci, che a tutto serve (allo spettacolo certamente) tranne a far capire ai giovani di oggi, ma anche a genitori e nonni che non hanno mai saputo nulla delle foibe, quello che è realmente accaduto e perché è accaduto.
La storia, quella che nei libri di scuola non abbiamo mai letto (una vergogna per la quale nessuno ha mai provato e prova rossore), è rimasta purtroppo fuori dallo sceneggiato ed a raccontarla non sono bastate né le sconvolgenti immagini dei brutali rastrellamenti operati dai camion con stella rossa della armata jugoslava né quelle ancora più agghiaccianti di uomini e donne sull'orlo delle foibe, con le mani legate sul dorso, che si intuisce vadano a finire giù sotto i colpi di mitraglia dei "titini" (così vengono chiamati nella fiction televisiva i comunisti del dittatore Tito). Perché avvengano queste mostruosità, questi barbari eccidi, nessuno riesce a spiegarlo, né i bambini delle coppie assassinate né il prete che morirà da eroe per salvarli.
"La tragedia è immane", scrive Aldo Grasso sul Corriere della Sera, "ma il punto di vista dello sceneggiato è piccolo: è come se tutto l'odio etnico che sta alla base di quegli eccidi fosse mosso da un risentimento personale, l'eccidio si scatenasse per colpa di un paranoico, un dramma politico si identificasse nella spietata persecuzione messa in atto da un ufficiale dell'esercito jugoslavo per strappare ad una giovane istriana il figlio nato da uno stupro". Nessun accenno ai comunisti, a quelli jugoslavi ed ai "compagni" italiani che fornivano loro gli indirizzi dei "nemici fascisti da rastrellare e ammazzare" e spesso li affiancavano in quegli atti di barbarie. La parola "comunista" non si ascolta nemmeno una volta in più di quattro ore di trasmissione. Dallo sceneggiato sappiamo invece che la madre del bimbo nato dalla violenza, che con le sue ossessioni di donna stuprata ed il rifiuto di cedere il figlio al padre provoca la spietata reazione dell'ufficiale jugoslavo, era una "fascista". Non militante e nemmeno iscritta al partito, ma "fascista".
Per fortuna degli italiani (giovani, meno giovani e non più giovani), quello che il regista Negrin non ha saputo o ritenuto di dover spiegare, lo hanno spiegato telegiornali e giornali, sensibilizzati (anche quelli vicini alle sinistre) dalle ferme prese di posizione delle autorità istituzionali, da Ciampi a Berlusconi, Pera, Casini. "Adesso è possibile", leggiamo nel messaggio del presidente della Repubblica, "che ricordi ragionati prendano il posto dei rancori esasperati, perché anche i più giovani conoscano quelle efferatezze, conseguenza delle ideologie nazionaliste e razziste dei regimi dittatoriali che si resero responsabili del conflitto". Ed in quello di Berlusconi, promotore con Fini della legge che ha istituito ufficialmente il "giorno del ricordo" fissandolo al 10 febbraio di ogni anno: "Solo il ricordo di ciò che copre di vergogna l'essere umano può impedire di ripercorrere la stessa strada di odio e generare i medesimi mostri. E' per questo che nessuna delle pagine della nostra storia può e deve essere cancellata, anche se il ricordo provoca turbamento, dolore, vergogna". Vergogna in tutti noi italiani, bisogna dire, non in chi ha compiuto quegli eccidi, o ne è stato complice, ed ha taciuto.
E' stata nascosta per sessant'anni, quella vergognosa pagina di storia italiana, da chi sperava forse (e si illudeva) di poterla cancellare per sempre dalla nostra memoria con la morte degli ultimi superstiti. Tutti insieme, politici, uomini di cultura, giornalisti, accomunati dalla stessa voglia di nascondere e far dimenticare. "E' una pagina dolorosa della storia italiana, troppo a lungo negata e colpevolmente rimossa", ha scritto il segretario della Quercia comunista e post-comunista Piero Fassino al presidente degli esuli istriani, fiumani e dalmati. "Nelle foibe morirono donne e uomini colpevoli soltanto di essere italiani. E l'esodo fu l'espulsione in massa di una intera comunità, con l'obiettivo di sradicare l'italianità da quelle terre. Né il contesto politico del tempo, né l'aggressione operata dal regine fascista alla Jugoslavia possono giustificare le sofferenze atroci di cui furono vittime donne e uomini innocenti".
Un particolare balza subito agli occhi. Anche nella lettera di Fassino, come nello sceneggiato di Negrin, la parola "comunista" non compare una sola volta. E c'è invece, in bella evidenza (come nella fiction la qualifica di "fascista" alla donna che provocò la vendetta dell'ufficiale jugoslavo con la sua ostinazione a non cedergli il figlio nato dallo stupro), l'annotazione della 'aggressione operata dal regime fascista" alla Jugoslavia comunista. Solo una coincidenza, la perfetta intesa tra il segretario della Quercia ed il regista dello sceneggiato? Una "giallista" di grande perspicacia come Agate Christie sosteneva che una coincidenza può essere solo una coincidenza, ma due coincidenze creano già un sospetto. Ed il sospetto che si voglia fare ancora oggi opera di mistificazione, al servizio di una verità di comodo e soprattutto di una parte politica, non sembra del tutto infondato.
Una domanda non possiamo esimerci dal porre al segretario della Quercia: "Dove è stato lui, in questi anni? Dove sono stati i suoi colleghi D'Alema e Veltroni (entrambi direttori dell'Unità, organo ufficiale del Pci), ed i Cossutta, i Bertinotti, i Diliberto? Nessuno ha mai detto loro che in quelle tragiche voragini dal nome misterioso (che molti italiani hanno appreso solo in questi giorni) furono i comunisti jugoslavi, con i "compagni" italiani che li affiancarono nella repressione di quanti si opponevano alle mire annessionistiche di Tito su Trieste, a far precipitare, gia morti o ancora in vita, decine di migliaia di nostri connazionali, e non soltanto militanti fascisti, anche cittadini che con la politica non c'entravano nulla?".
Ignoravano tutto (guarda caso) anche gli autori di testi scolastici, enciclopedie e dizionari. L'illustre linguista prof. Tullio De Mauro, ministro della Pubblica Istruzione in ben due governi delle sinistre che hanno avuto per sessant'anni il monopolio della cultura e della nostra storia, ha scritto alla voce "foiba" nel suo Dizionario della lingua italiana per il Terzo millennio: "Depressione carsica a forma d'imbuto, costituita dalla fusione di più doline, al fondo della quale si apre un inghiottitoio, usato anche come fossa comune per occultare cadaveri di vittime di eventi bellici". Di quali "eventi bellici" si trattasse (se di eventi bellici si trattava) e chi fossero le vittime finite in quelle "fosse comuni", non lo ha spiegato. Ed è un fatto davvero sconcertante che dizionari, enciclopedie e testi scolastici, pieni di testimonianze e fotografie sulla famigerata risiera di San Saba (lager nazi-fascista per migliaia di deportati, ma dove, per quel che ne sappiamo, non morì nessuno), non abbiano mai dedicato un solo rigo alle foibe in cui, a due passi dalla risiera, furono assassinati dai comunisti migliaia di italiani, fascisti e non fascisti.
Per sessanta lunghissimi anni nessun libro di scuola ha scritto un solo rigo su quello che avvenne sull'orlo di quelle foibe, con quei poveretti legati con il fil di ferro a gruppi di otto o dieci e fatti precipitare giù ancora vivi. Sparavano ad uno o due di ogni gruppo, gli squadroni comunisti ("per risparmiare pallottole", dicevano), ed erano poi quelli colpiti a morte, precipitando giù, a trascinare gli altri, ancora in vita, nel fondo melmoso di quelle "voragini degli orrori". Esecuzioni atroci, crimini mostruosi contro l'umanità, non meno truci di quelli nazisti. Non dovevano saperlo, gli studenti italiani, che anche i comunisti uccidevano alla maniera dei nazisti?
Enzo Biagi, il "grande vecchio" del giornalismo italiano, si è a lungo preoccupato (e lo ha scritto in decine di articoli) delle lacune "culturali" del dottor Silvio Berlusconi, il quale non sapeva (pensate un po', amici lettori) che Alcide Cervi, padre dei sette fratelli trucidati dai fascisti, fosse morto (nel suo letto, nel 1970). Una lacuna grave e imperdonabile, per il giornalista, quella dell'imprenditore di Arcore che è diventato capo del governo italiano. Non si è mai preoccupato però, il grande Biagi, delle gravissime (quelle sì) e assolutamente imperdonabili lacune storiche imposte dalle sinistre (da politici, intellettuali, giornalisti) a 56 milioni di italiani, condannati per sessant'anni a non sapere nulla dei mostruosi eccidi compiuti dai comunisti nelle foibe.del Carso.
Non ne sapevano nulla, di quegli orrori, i Biagi, i Bocca, i Curzi, il Furio Colombo oggi direttore dell'Unità. Da giornalista (e non soltanto come cittadino italiano), debbo dire con estrema franchezza che, se i miei illustri colleghi-politologi non sapevano, hanno solo da rimproverare se stessi e le proprie coscienze, perché avevano il dovere di informarsi e raccontare ai lettori quello che era avvenuto in quelle tragiche fosse. E se sapevano e non hanno scritto nulla, le loro colpe erano (e sono) ancora più gravi e imperdonabili. Il giornalista deve raccontare tutto, piaccia o no alla parte politica cui appartiene (se appartiene ad una parte politica); e, soprattutto, non ha alcun diritto di distinguere tra morti ammazzati degni di essere ricordati ed onorati (quelli di sinistra) e morti ammazzati condannati ad essere ignorati per sempre dalle cronache e dalla storia (quelli di destra).
Gli italiani hanno cominciato a sapere qualcosa di quegli eccidi soltanto nel 2000, e qualcuno si è finalmente scandalizzato per il vergognoso silenzio dei nostri libri di scuola, proponendo una sorta di par condicio scalfariana, perché in ogni aula ed a tutti i livelli si possa leggere e parlare anche degli "infoibati" del Carso, non soltanto delle vittime del fascismo. Sono insorte subito le sinistre, strepitando che Berlusconi ed il centrodestra volevano "stravolgere la storia e reprimere la libera circolazione delle idee" (parole del comunista e post-comunista Luciano Violante, ex presidente della Camera).
Per le sinistre di casa nostra, chiaramente, la libera circolazione delle idee consisteva fino a qualche anno fa nell'impedire che gli alunni delle scuole (giovani e meno giovani) conoscessero la verità su quegli eccidi. Adesso hanno dovuto (obtorto collo, per dirla con i latini) cambiare idea. Sono già in stampa i libri che racconteranno anche a scuola (finalmente!) quella tragica verità. Una pagina vergognosa della storia d'Italia, che le sinistre, per quanti sforzi abbiano fatto, non sono riuscite a cancellare per sempre.
Gaetano Saglimbeni
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Il libro nero del comunismo rompe il muro del silenzio. Il rifiuto sempre più generalizzato del comunismo, l'accesso a numerosi archivi fino a ieri segreti, il moltiplicarsi delle testimonianze contribuiscono a mettere in luce una verità destinata a diventare presto scontata: i paesi comunisti si sono dimostrati molto più efficenti nella produzione di gulag e di cadaveri che in quella di grano e di beni di consumo. In queste pagine per la prima volta un gruppo di storici tira le somme, continente per continente, paese per paese, dei crimini perpetrati sotto le insegne della falce e del martello
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Inviato da: mauchi
il 21/01/2008 alle 12:20
Inviato da: italiacboy
il 20/11/2007 alle 21:45
Inviato da: elisami81
il 30/05/2007 alle 23:24
Inviato da: avanguardia07
il 10/05/2007 alle 23:30
Inviato da: analnatrac75
il 30/03/2007 alle 09:18