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Tosi Massimiliano Andrea - Pascal Rambert al Piccolo
Post n°17 pubblicato il 03 Maggio 2014 da massimilianoandreat
Pascal Rambert porta al Piccolo Teatro Studio dal 6 al 18 maggio Clôture de l’amour. Lo spettacolo ha debuttato ad Avignone nel 2011 e, da allora, la versione francese, vincitrice del Premio della Critica 2012, del Palmarés du Théâtre nell’aprile del 2013 e del Grand Prix de la Litérature dramatique 2012, è in tournée in tutto il mondo (Corea, Italia, Svizzera, Belgio, Croazia, Cina). Dopo averlo rappresentato nella versione originale francese a Modena, nell’ambito del festival Vie 2012, il regista, direttore del parigino Théâtre de Gennevilliers, dirige questa volta due attori italiani, Anna Della Rosa e Luca Lazzareschi, proseguendo la sua personalissima indagine scenica che ha dato vita a una sorta di modulo teatrale infinitamente declinabile a ogni latitudine geografica: dello spettacolo esiste, infatti, una versione russa, messa in scena al Teatro d’Arte di Mosca, una versione croata al ZMK Theatre di Zagabria, una versione americana all’Abrons Art Centre di New York, una versione giapponese a Tokyo, una tedesca a Berlino e una greca ad Atene.
Clôture de l’amour racconta della separazione di una coppia che cerca di mettere fine a qualcosa: alla propria storia comune, a una storia che vorrebbero chiudere per sempre. Sono mossi dalla rabbia e dalla necessità urgente di dividersi. In una grande stanza bianca, una donna e un uomo si parlano attraverso due lunghi monologhi, che non arriveranno mai a farsi dialogo, interrogandosi sulle ragioni della fine della loro storia d’amore. Il flusso ininterrotto di parole, le domande-risposte che si scatenano e la respirazione bloccata creano una sorta di maratona tra paura e liberazione: è proprio lì, nel mezzo del momento doloroso, che Pascal Rambert ci porta, senza temere di disturbare, di creare dubbio, di immergerci nei meandri di una storia che porta inesorabilmente alla rottura.
Ma Clôture de l’amour può anche essere un inizio, perché “clôture”, che in italiano non si può tradurre esaustivamente con chiusura, significa anche racchiudere. Lo spettacolo, infatti, racchiude lo spazio dedicato all’anima, lo spazio che definisce l’individuo come un territorio in carne ed ossa da difendere. È un linguaggio essenzialmente organico e persino coreografico, in cui Anna e Luca, i due personaggi che si affrontano sul confine del palcoscenico, costruiscono con le parole una barriera di filo spinato che li divide, ripetendo in continuazione, in modo ossessivo, espressioni che sembrano vorticare nei loro corpi. Due soliloqui che non possono interrompersi a vicenda, due flussi verbali separati. “Se dovessi andare più a fondo in quello che sento, lo descriverei come un testo di danza” dice Pascal Rambert. Una danza mentale in un certo senso che porta alla luce il movimento invisibile dell’anima e dei nervi in palcoscenico. Si potrebbe dire che i corpi non si muovono, eppure si lascia il teatro con la sensazione che è questo che hanno fatto per tutto il tempo: muoversi e combattere una battaglia interiore, rivelata allo spettatore grazie all’abilità di costruire il movimento dal puro linguaggio, come se la scena non avesse altro scopo che questa virtualità.
Due sguardi, due parole, due corpi e due silenzi per raccontare la violenza di un amore che muore, cercando di far emergere il più possibile l’universalità di questa circostanza, come afferma lo stesso regista e autore: “Il mio lavoro è ispirato da elementi della realtà perché sono un grande ‘ascoltatore’. Il porno appartamento è al primo piano di un palazzo e molto spesso ascolto quello che dicono i passanti. In quel momento divento un registratore umano: tra tutto quello che ho ascoltato ci sono spesso momenti di separazione, momenti che ho dovuto affrontare personalmente tre o quattro volte. Tuttavia, per questo testo, non mi sento coinvolto dal punto di vista autobiografico. Il testo è sulla realtà, ma non su una storia personale vera. Quello che volevo descrivere era l’idea della separazione, non una delle mie separazioni. Quello che importa è la lingua che scappa, che pedo, che si ripete, la lingua che racconta la violenza della separazione, che la maggior parte di noi un giorno o l’altro si trova ad affrontare.”
Alla domanda “chi amiamo quando amiamo?” Pascal Rambert non dà nessuna risposta, ma si aggira semplicemente nelle possibilità, senza rifiutare quei luoghi comuni che usano almeno una volta due persone che si separano, che cercano assieme le ragioni del proprio disamore.
Massimiliano Andrea Tosi Assicuratore Stradella
Clôture de l’amour racconta della separazione di una coppia che cerca di mettere fine a qualcosa: alla propria storia comune, a una storia che vorrebbero chiudere per sempre. Sono mossi dalla rabbia e dalla necessità urgente di dividersi. In una grande stanza bianca, una donna e un uomo si parlano attraverso due lunghi monologhi, che non arriveranno mai a farsi dialogo, interrogandosi sulle ragioni della fine della loro storia d’amore. Il flusso ininterrotto di parole, le domande-risposte che si scatenano e la respirazione bloccata creano una sorta di maratona tra paura e liberazione: è proprio lì, nel mezzo del momento doloroso, che Pascal Rambert ci porta, senza temere di disturbare, di creare dubbio, di immergerci nei meandri di una storia che porta inesorabilmente alla rottura.
Ma Clôture de l’amour può anche essere un inizio, perché “clôture”, che in italiano non si può tradurre esaustivamente con chiusura, significa anche racchiudere. Lo spettacolo, infatti, racchiude lo spazio dedicato all’anima, lo spazio che definisce l’individuo come un territorio in carne ed ossa da difendere. È un linguaggio essenzialmente organico e persino coreografico, in cui Anna e Luca, i due personaggi che si affrontano sul confine del palcoscenico, costruiscono con le parole una barriera di filo spinato che li divide, ripetendo in continuazione, in modo ossessivo, espressioni che sembrano vorticare nei loro corpi. Due soliloqui che non possono interrompersi a vicenda, due flussi verbali separati. “Se dovessi andare più a fondo in quello che sento, lo descriverei come un testo di danza” dice Pascal Rambert. Una danza mentale in un certo senso che porta alla luce il movimento invisibile dell’anima e dei nervi in palcoscenico. Si potrebbe dire che i corpi non si muovono, eppure si lascia il teatro con la sensazione che è questo che hanno fatto per tutto il tempo: muoversi e combattere una battaglia interiore, rivelata allo spettatore grazie all’abilità di costruire il movimento dal puro linguaggio, come se la scena non avesse altro scopo che questa virtualità.
Due sguardi, due parole, due corpi e due silenzi per raccontare la violenza di un amore che muore, cercando di far emergere il più possibile l’universalità di questa circostanza, come afferma lo stesso regista e autore: “Il mio lavoro è ispirato da elementi della realtà perché sono un grande ‘ascoltatore’. Il porno appartamento è al primo piano di un palazzo e molto spesso ascolto quello che dicono i passanti. In quel momento divento un registratore umano: tra tutto quello che ho ascoltato ci sono spesso momenti di separazione, momenti che ho dovuto affrontare personalmente tre o quattro volte. Tuttavia, per questo testo, non mi sento coinvolto dal punto di vista autobiografico. Il testo è sulla realtà, ma non su una storia personale vera. Quello che volevo descrivere era l’idea della separazione, non una delle mie separazioni. Quello che importa è la lingua che scappa, che pedo, che si ripete, la lingua che racconta la violenza della separazione, che la maggior parte di noi un giorno o l’altro si trova ad affrontare.”
Alla domanda “chi amiamo quando amiamo?” Pascal Rambert non dà nessuna risposta, ma si aggira semplicemente nelle possibilità, senza rifiutare quei luoghi comuni che usano almeno una volta due persone che si separano, che cercano assieme le ragioni del proprio disamore.
Massimiliano Andrea Tosi Assicuratore Stradella
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Inviato da: emilytorn82
il 28/12/2016 alle 20:08