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Miss Ghiacciolo . 1° parte

Post n°194 pubblicato il 29 Agosto 2012 da Nezumina
 

Ah, l’amour,l’amour...!

Quando ti cattura e ti avvinghia nelle sue spire,non hai scampo. È come un seme che porti nella tua mano: ce l’hai sempre adisposizione, magari senza sapere cosa farne, e fintanto che non lo pianti nonpotrà crescere. Ma una volta piantato, con le dovute cure, il seme germoglieràe diverrà una pianta rigogliosa e sempre verde che molti, ti assicuro,invidieranno. Sì, perché l’amore, quello vero, quello con la A maiuscola, è unprivilegio per pochi e capita una sola volta nella vita. Quando ti prende,all’improvviso, ti ritrovi in un fiume in piena; provi a uscirne fuori primache ti inghiotta e alla fine non puoi far altro che lasciarti trascinare dallacorrente. E la sensazione è così inebriante che ti sentirai ubriaco per ilresto della vita.

Parigi, Venezia, Vienna, Praga...

Roma.

Certo, il luogo, in fatto di cuore, gioca una parteessenziale. L’atmosfera, il panorama, la musica in sordina ti regalano ilmiglior palcoscenico sul quale tu possa esprimerti e saranno complici della tuafelicità.

A ripensarci ora mi viene da ridere, ma quando l’ho conosciuta e nesono rimasto fulminato, c’era solo da piangere. Sì, sì, c’era proprio dapiangere, ve lo assicuro. Per me era la ragazza più bella del mondo, lunghicapelli corvini, occhi da cerbiatta che si intravedevano dietro gli occhiali,una abbondante quarta misura... no, questo non è importante, non più. Sebbeneall’epoca...

Dunque, era una ragazza normale, quasiinsignificante agli occhi dei più, tuttavia per me era incantevole. Era illontano 1983, io ero poco più che vent’enne, e avevo festeggiato con gli amiciil secondo scudetto della mia squadra di calcio preferita. Da buon romano ognidomenica che giocava la Roma mi recavo allo stadio, portandomi dietro unabandiera che era più grossa di me, per sventolarla e supportare gli undici incampo.  Erano gli anni in cui ilcellulare non esisteva ancora e neppure internet, tuttavia ci bastava poco perdivertirci ed io trascorrevo quasi tutti i giorni con il mio migliore amico,Mattia. Io e lui eravamo cresciuti insieme, avevamo fatto gli stessi studi esolo al momento di scegliere la facoltà all’università avevamo preso due stradediverse: io biologia, lui lettere. La Sapienza ci aprì un mondo nuovo: lì leragazze fioccavano ed io e Mattia ne facevamo incetta. A quel tempo tutti midicevano che io, con il mio fisico prestante, con il volto da far invidia a PaulNewman, avrei potuto aspirare al top, mirando a quanto di meglio il mercatopotesse offrire; e in effetti avevo un notevole ascendente sul sesso opposto.Di certo le ragazze non mi mancavano, ne trovavo una diversa a sera; eppure,alla fine, mi sono innamorato di una donna normale, simpatica, intelligente...e fredda come il ghiaccio!

Be’, inutile dirlo, è scattata la sfida.

Ma andiamo con ordine.

Mattia me la presentò un giorno a casa di amici, avvisandomiper tempo che le persone che avrei conosciuto quella sera erano matricole delprimo anno di lettere, di cui una era sua amica, una certa Alessia. Questaragazza, tanto bella quanto frivola, era accompagnata da un’amica all’apparenzabanale, che si era presentata con il nome di Giulia. Dire che rimasi fulminatoè un eufemismo. Io che non avevo mai creduto al classico colpo di fulmine, mi ritrovaitrafitto da un dardo del perfido Cupido. Immediatamente, come un imberbe, sorrisie diedi sfoggio del mio fascino e... Incredibile, eppure io, avvezzo a non dovermai chiedere nulla, mi ritrovai a fissare due occhi neri come la pece, chesembravano due fari in un volto non bello e un po’ spigoloso, che mi fissavanoa loro volta con sorprendente indifferenza attraverso le lenti. Indifferenza?Com’era possibile? Io, l’uomo più ricercato dal gentil sesso, invidiato dagliamici, venivo studiato con indifferenza da una donna? Stuzzicato, rimasi aguardarla per tutta la serata mentre parlava con le amiche, con quel suo modopacato e discreto che voleva passare inosservato e che, invece, calamitaval’attenzione. La mia attenzione. In un paio di occasioni la sorpresi alanciarmi un’occhiata e tutte le volte che si accorgeva che io la fissavo sirigirava e buonanotte al secchio.

Quella sera, come un fulmine a ciel sereno, mi resiconto che la mia vita era giunta a una svolta. Per la prima volta una donna miprovocava emozioni profonde, lasciandomi spaesato, in bilico su un baratro.Tutta la mia spigliatezza, rivolta al gentil sesso, crollò e mi ritrovaiimpacciato come un ragazzino alle prime armi.

Nei giorni seguenti mi attaccai come la colla alfianco di Mattia, nella speranza di rivederla in facoltà, e alla fine il mioamico, esasperato dal mio atteggiamento inusuale, mi prese da parte domandandopreoccupato:

-Tutto bene? Da qualche giorno mi sembri un’anima in pena.-

-Ah, io... Sì, sì, sto bene.-

-Non ne sarei così sicuro.- ribatté scrutandomi con attenzione.

A quel punto gli confessai che la ragazza che miaveva presentato mi interessava molto e che avrei avuto piacere a incontrarlaancora. Ricordo che mi fissò come se fossi impazzito prima di dire:

-Ti rammento che la conosco poco, ma da quello che mi ha detto Alessiaposso asserire che un iceberg è più malleabile e caloroso di lei.-

-Sì, sì, me lo hai già detto, però...-

-Però sei cotto.- concluse per me. -Incredibile!-

Sorrisi per minimizzare, le guance in fiamme comeuno scolaretto alla sua prima interrogazione, e Mattia mi assestò una paccasulla spalla, scoppiando a ridere.

-Incredibile!- ripeté scuotendo la testa.

Le prime due uscite furono con tutta la comitiva, ingiro per Roma alla stregua di spensierati turisti, in realtà intenti, almenonoi maschietti, ad adocchiare la ragazza che ci camminava al fiancocicalecciando con l’amica.

Era autunno, me lo ricordo bene, con gli alberi daicaldi toni del marrone e del giallo che perdevano le foglie come lacrimesilenziose, il calore dell’estate appena conclusa che si riversava nelle famoseottobrate romane dove ancora vai in giro senza giubbotto e ti godi la cittànella sua pienezza. Ed io lì, che sbirciavo il dolce dondolio dei lunghicapelli neri che sfioravano i fianchi a ogni passo della ragazza che mi avevastregato il cuore. Era diventata una tortura starle vicino e non riuscire adimostrarle i miei sentimenti. Lei non aveva mai dato segno di apprezzarmi, alcontrario della sua amica che sovente mi lanciava occhiate inequivocabili. Aparte pochi scambi di innocue frasi, del tipo: “Ciao, come stai”, oppure: “Bellagiornata oggi”, per un paio di uscite non ci dicemmo altro. Del resto, leifaceva di tutto per ignorarmi, preferendo di gran lunga discorrere con glialtri membri della comitiva.

Dovevo fare il primo passo, dovevo trovare ilcoraggio di uscire allo scoperto e alla fine, con il cuore palpitante, approfittaidi un venditore di boccioli di rose rosse e ne comprai quattro, una per ogniragazza che faceva parte della comitiva. Un gesto carino che non diceva nullaeppure poteva dir molto. Le consegnai una a una, ricevendo in cambio sorrisi eringraziamenti cordiali e per ultima lasciai Giulia, alla quale diedi la rosaaccompagnandola con un lieve inchino. In quel momento il mio cuore correva comeun indemoniato, lo sentivo nelle orecchie come un tamburo battente, mentreattendevo che lei prendesse il regalo. Invece, rimase immobile a fissare ilbocciolo e solo dopo un po’ accettò il mio gentile pensiero, accompagnandolocon questa frase:

-Avresti fatto meglio a risparmiare i soldi.-

Ecco: una doccia fredda mi avrebbe fatto meno male.Il mio misero tentativo di mettermi in mostra fallì. Così, mesto mesto,rientrai nei ranghi, sotto lo sguardo impietoso di due occhi color dell’ebano.Mattia mi venne in aiuto, prendendomi sottobraccio e costringendomi adallontanarmi prima di sussurrarmi all’orecchio:

-Provaci con le altre, mi sembrano più disponibili.-

Sbirciai il gruppo di ragazze e mi accorsi chesorridevano e mi lanciavano occhiate che anche un cieco avrebbe capito; ma io,caparbio e innamorato, non ascoltai il ragionevole consiglio del mio amico.

Qualche giorno dopo organizzammo un’escursione aquattro al centro della città per goderci ancora il sole, prima dell’arrivo dell’inverno.In quell’occasione avevo deciso io l’itinerario: fermata della metro Colosseo eda lì passeggiare lungo i Fori Imperiali, per raggiungere piazza Venezia e ilCampidoglio e proseguire poi verso il teatro Marcello e l’attiguo Portico diOttavia. Una bella e salutare passeggiata nella Roma imperiale che lei, amantedella storia, non poteva non apprezzare. Sì, perché nel frattempo avevo presoinformazioni su miss Ghiacciolo, esasperando Mattia con le mie reiteratedomande da inquisitore. E avevo scoperto alcune cose che, all’epoca, nonritenevo importanti. Io, da buon romano, amavo la cucina, soprattutto quellacasereccia e per me le escursioni dovevano avere un unico scopo: sedermi atavola e mangiare un bel piatto di spaghetti all’amatriciana accompagnati da unbuon vino color rubino. Che poi il ristorante si trovasse al centro della cittào in periferia, non faceva differenza. E non ne aveva mai fatta per le ragazzeche avevo invitato a cena per conquistarle dinanzi a un buon piatto./segue 

 
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