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LA CORTE DEI CONTI E I FIORITO DI TURNO

Post n°17 pubblicato il 23 Settembre 2012 da mluccis
 
Foto di mluccis

Anche il cittadino comune cliccando in internet sul sito della Corte dei conti, può agevolmente consultare un documento che spiega cosa sia questo Organo e cosa fanno ogni giorno i giudici assegnati alle sezioni istituite in ogni capoluogo di regione, da Aosta a Palermo. In particolare, nella premessa di questo documento si legge:

                

. . . Omissis

La Corte dei conti, nella ampia gamma di funzioni affidatele, attende sempre ad un’unica missione, quella cioè di garanzia dell’attività della Pubblica amministrazione, con riguardo, in particolare, a quella degli amministratori; a quella della spendita del pubblico denaro; a quella della gestione dei beni patrimoniali e ai comportamenti patrimonialmente rilevanti.

La Corte ha ben presente che la funzione di supremo controllore, imparziale e terzo, dell’attività pubblica e dell’uso delle relative risorse, costituisce un elemento coessenziale della democraticità dell’ordinamento.

Si tratta di una funzione di garanzia per l’intero ordinamento rappresentando la Corte un organo che, da un lato, pone la sua funzione al servizio di altri organi e poteri dello Stato, ma, dall’altro lato, svolge questa funzione per diretta investitura costituzionale, al fine di assicurare o di agevolare il più corretto ed efficiente svolgimento delle funzioni di altri organi.

. . . Omissis

 

Di seguito, ancora più in particolare, il documento precisa che:

 

. . . Omissis

La Corte dei conti in base alla Costituzione (art. 100) svolge:

un controllo preventivo di legittimità sugli atti del governo;

un controllo successivo sulla gestione del bilancio dello Stato;

un controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria.

. . . Omissis

 

E si aggiunge:

 

. . . Omissis

La Corte dei conti può sottoporre al controllo sulla gestione le amministrazioni pubbliche ai sensi dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 29 del 1993 e cioè: le amministrazioni dello Stato, ivi comprese gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le regioni, le province, i comuni, le comunità montane e loro consorzi ed associazioni, le istituzioni universitarie, gli istituti autonomi case popolari, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale, le gestioni fuori bilancio ed i fondi di provenienza comunitaria.

. . . Omissis

 

Leggendo queste brevi note chiunque si meraviglia di come la Corte dei conti della Regione Lazio abbia potuto non accorgersi di quello che accadeva nel Consiglio regionale laziale. Di come possa accadere che spese così ingenti e movimenti bancari controllati anche per altre finalità (es. per la tracciabilità dei movimenti finanziari), non siano stati verificati sotto il profilo della correttezza della spendita del denaro pubblico.

 

E come mai, mentre capita sempre più spesso che all’imprenditore per la sua attività di impresa come a chi vada in vacanza a Cortina o abbia la disponibilità di automobili di grossa cilindrata, la Guardia di finanza o l’Agenzia delle entrate chiedano ragione di tutta una serie di spese nella presunzione che siano ingiustificate rispetto al reddito prodotto e dichiarato, le stesse domande non siano state poste ai Fiorito di turno consigliere regionale.

 

L’italiano che in questi giorni si pone queste semplici domande, spesso è indotto a farsene una ragione pensando che ”cane non morde cane”. Che, cioè, i potenti non si disturbino vicendevolmente, con ciò ampliando il novero degli organi istituzionali travolti da un crescente discredito dell’opinione pubblica.

 

Chi, invece, non si spinge fino a tanto e, magari, conosce qualcosa in più del funzionamento delle sezioni regionali della Corte dei conti, è indotto a ritenere che quanto successo in Lazio – e purtroppo può essere successo in chissà quante altre situazioni in giro per l’Italia – è solo il risultato di un “baco” che si produce in sistemi organizzativi e meccanismi dettagliatamente regolamentati che, costruiti per vedere tutto, in realtà vedono gli insetti e non si accorgono degli elefanti che continuano indisturbati a provocare danni enormi per le finanze pubbliche.

 

Intendo dire che capita assai sovente che la Corte dei conti per anni interi indaghi, giudichi e condanni l’amministratore pubblico (politico o dipendente di una pubblica amministrazione) che abbia procurato per errore un danno magari di solo mille euro all’amministrazione statale o locale, e lasci invece impunito il Fiorito di turno che, ad esempio, sembra abbia utilizzato decine di migliaia di euro del contributo pubblico erogato al gruppo dei consiglieri regionali del pdl per una vacanza in Sardegna.

 

In sostanza il problema sta tutto nell’incapacità (che è tipica di tutto il nostro sistema giudiziario) di rapportare con un concetto economico la spendita di risorse e l’utilità dello sforzo.

 

Un po’ come i magistrati penali che a causa del c.d. principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, si fanno fregare dalla prescrizione quando indagano e giudicano i grandi delinquenti e colpiscono invece agevolmente il ladruncolo (che, nonostante condanne il più delle volte non eseguite, continuerà tuttavia a delinquere tutta la sua vita), capita anche al magistrato della Corte dei conti di non riuscire a impedire il verificarsi di fenomeni così abnormi come quelli su cui la cronaca dei quotidiani non ci risparmia nulla.

 

Per contrastare efficacemente il vizio molto italiano di utilizzare il denaro pubblico peggio che se fosse il proprio, forse sarebbe utile dare la possibilità ai magistrati della Corte dei conti di dedicarsi ai grandi numeri. Eventualmente autorizzandoli a trascurare quelli piccoli.

 

Basterebbe forse concentrare gli sforzi del controllo sulla spesa facendo conoscere, già all’inizio di ogni anno, che la priorità sarà rivolta nei confronti dei soggetti titolari di più elevato potere di spesa pubblica.

 

Semplificando dovrebbe essere chiaro a tutti gli amministratori di denaro pubblico che la probabilità di essere controllati (e indagati) dai giudici della Corte dei conti è direttamente proporzionale al peso della propria firma apposta ai provvedimenti di spesa: più “potenti” sono da questo punto di vista, più probabile sarà il controllo della Corte dei conti sui provvedimenti che emaneranno in corso d’anno.

 

E non viceversa, come probabilmente è accaduto e accade. E, soprattutto, come l’italiano per bene non tollera davvero più che accada.

 

 

Michele Luccisano

Ranica (BG)

23 settembre 2012

 

 

 

 
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