middlemarch

Grandpa(1) - Oliver Twist 'ncopp' 'o Vesuvio


grandpa(intro)Mio nonno, a vederlo da fuori, era l'immagine sputata del self-made man. Ma non era sempre stato così.La sua famiglia era originaria di Salerno. Lui, come usava a quei tempi di italiche e feconde fattrici, era il secondo o il terzo di cinquemila fratelli. Sua madre si chiamava Teresa, e suo padre, Riccardo, era maestro di musica. Quando voglio misurare la distanza di tempo che separa il nostro mondo da quello non troppo lontano dei vecchi che abbiamo conosciuto, mi viene spontaneo pensare soprattutto all'oceano delle reciproche distanze di contesto. All'epoca in cui mio nonno nasceva - era il 1911 - una famiglia con cinquemila figli poteva campare con l'unico stipendio del capofamiglia. Non solo. Quando il capofamiglia faceva un lavoro intellettuale di livello medio-alto come quello del mio bisononno, poteva perfino campare bene. L'unica controindicazione consisteva nel fatto che il Welfare era ancora di là da venire, e se per caso si verificava qualcosa di imprevisto - una svolta brusca del destino, uno scivolone difficile da prevedere - in un lampo si poteva passare dal relativo benessere alla miseria più nera, declinata secondo certe derive sventurate che se volessi trovarne di simili al di fuori della mia famiglia, mi toccherebbe rileggere l'opera omnia di Dickens. Insomma, pensate a mio nonno come la Piccola Dorritt della costiera amalfitana.Nel caso in questione la faccenda fu che mentre tutta la famiglia risiedeva a Palermo, dove il mio bisnonno aveva la cattedra d'arpa al conservatorio e dove mio nonno stesso era nato, sia lui che certo numero dei cinquemila figli, morirono di febbre spagnola. La bisnonna Teresa con il resto della famiglia dovette tornare in Campania, e privi di qualsiasi forma di sostentamento, sprofondarono tutti nella miseria più nera. Molti dei figli maschi finirono in collegio, collegio per nullatenenti, cioè paraformatorio; e mio nonno in particolare, con un paio dei cinquemila fratelli, fu costretto a passare diversi anni a Perugia. Di quell'esperienza, che io sappia, da adulto non parlò mai con nessuno, cosa per la quale non occorre scomodare Melanie Klein. Non credo sia stato un periodo molto felice. Tuttavia per quell'epoca era già relativamente grande, credo avesse intorno ai 12 anni, e un po' per i diversi parametri di maturità, un po' il fatto che era il tipo capace di assumersi l'onere di un ruolo, non se ne lamentò mai. Tra l'altro per moltissimi anni dopo esserne uscito, continuò a mandare soldi a quell'istituto. Magari gli piaceva l'idea di contribuire a mettere il pane in tavola per tanti sfortunati come lui. La fame e il freddo sono quel genere di cose che contribuiscono parecchio a rendere perseveranti i ricordi.