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"Pensare la decrescita. Sostenibilità ed equità", di Paolo Cacciari, è un testo importante per chi voglia approfondire il tema della critica allo "sviluppo" e della "decrescita", una storia del dibattito negli ultimi quindici anni, una ampia bibliografia, un ponte lanciato verso la tradizionale cultura di sinistra.
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Post N° 118

Post n°118 pubblicato il 28 Agosto 2008 da mikic_76

Oms: «Disugualianza sociale uccide di più i poveri»

periferia povera mondo città
Vivranno di più i bambini europei, ancor meglio se non crescono in periferia. È sempre più l´ingiustizia sociale a contare e uccidere su grande scala. La maggioranza dell'umanità non beneficia del livello di salute sufficiente in buona parte a causa dell'impatto congiunto di scelte politiche e misure economiche. Lo evidenzia il rapporto dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), basata su una ricerca durata tre anni sui "determinatori sociali" della salute.

Sono i fattori sociali molto più di quelli genetici a determinare la salute o la malattia delle persone nel mondo e la loro aspettativa di vita. Un ragazzo, infatti, che vive nella povera periferia di Calton a Glasgow vivrà in media 28 anni in meno di un ragazzo nato nel vicino ma ricco quartiere di Lenzie. Allo stesso modo, l'aspettativa di vita media nella ricca Hampstead a Londra è di 11 anni maggiore del vicino, ma degradato, St. Pancras. Fino ad arrivare a differenze abissali come questa: una ragazza che nasce nel Paese africano del Lesotho vivrà in media 42 anni meno di una ragazza che nasce in Giappone. E se in Svezia il rischio di una donna di morire per complicazioni della gravidanza o del parto è di un caso ogni 17.400, in Afghanistan è di uno su otto.

Lo studio, realizzato da un gruppo di esperti che fanno parte della Commissione sui "determinatori sociali" della salute (politici, universitari, ex capi di Stato e ministri della Salute), conclude che in quasi tutti i Paesi le cattive condizioni socioeconomiche si traducono in cattive condizioni di salute per gli abitanti. Le differenze sono così marcate da non potersi spiegare con fattori genetici o biologici.

L'Italia si piazza al terzo posto, a pari merito con Canada e Svezia, quanto ad aspettativa di vita alla nascita: in media, viviamo 81 anni "contro" gli 83 del Giappone e gli 82 dell'Australia. Ma se la stima, relativa al 2006, si confronta con quella di India (63), Mozambico (50) o Lesotho (42), ci si rende conto dell'enorme divario.

«Questi dati non hanno nessuna spiegazione biologica – si legge nel rapporto - . Le differenze tra Paesi e all'interno delle frontiere di un Paese sono dovute al contesto sociale nel quale le persone nascono, vivono, crescono, lavorano e invecchiano». «Le malattie causate da acqua contaminata, per esempio, non sono dovute a mancanza di antibiotici, bensì al fallimento dei Governi nel rendere disponibile per tutti acqua potabile; le morti per patologie cardiache sono causate non tanto dalla scarsa disponibilità di reparti specializzati, ma dallo stile di vita delle persone». La soluzione è dunque agire «sulle condizioni di esistenza quotidiane delle popolazioni, migliorando gli ambienti di vita e di lavoro, e attraverso la distribuzione regolare di risorse e di denaro». Lo studio lancia un appello e chiede ai governi di agire subito: senza alcun intervento la diseguaglianza è destinata ad aggravarsi, ma agendo immediatamente potrà ridursi in tempi relativamente brevi.


 
 
 
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