Creato da gianlucagian69 il 20/09/2008
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Post n°14 pubblicato il 14 Ottobre 2008 da gianlucagian69
 
Tag: Storie

 
 
 

A casa di M.R.

Post n°13 pubblicato il 12 Ottobre 2008 da gianlucagian69
 
Foto di gianlucagian69

Il frammento di un racconto rubato nel sonno.

Un sonno che non sa dare pace, ma solo un’interruzione al permanente dolore del giorno.

 

“A casa di M.R. non passo spesso, ma solo di quando in quando. Non sono subito arrivata al ‘dunque dunque dunque’, ma ho aspettato che il resto si risolvesse.

Mi godo una certa pace, una essenzialità dell’essere semplice, l’affetto che voglio, e la possibilità di andarmene quando voglio, senza dover nulla dire, nulla spiegare. Comando il gioco.

Le camere da letto sono ai due lati dell’ingresso – di fronte c’è la cucina.

Il bagno, boh, non ricordo.

Nulla è nuovo, nulla è granché pulito. Anche l’altro affittuario non se la passa benissimo. E’ fratello di un collega. Ma non vede e non sente. E comunque, niente presenta un impegno. Posso andarmene quando voglio. E questo è importante. Questo è fondamentale. La mia pace. La mia libertà.

Non riesco ad andare avanti. Altro non so dire. Altro – forse – non ho.

Per te, invece, non ho idee. Ho solo provato l’attrazione di un gioco intellettuale, bello, inutile, eccitante e a vuoto. Quelle che tu chiami bugie. Ma era un gioco, anche se non innocuo.

Un week-end di presunta malattia - il tema ricorrente, la malattia - ed un vederti ed evitarti, mentre vai - ne sono certa - al nostro bar.

Ora: aspetterai al nostro bar (bellissimo bar, lo ammetto) le mie eventuali novità, il riemergere della mia passione per te, il mio riavvicinamento – impossibile, perché dopo tutto non ti sono mai stata veramente vicina, né ti ho mai amato. Ti ho detto che forse tornerò, ma sai che non è così. Non ti temo, non mi interessi, alfine.

Non mi sei mai interessato. Il resto è stato menzogna. Ed ogni altra mia parola è solo cattiveria”.

 

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,

sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.

Codesto solo oggi possiamo dirti,

ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

Eugenio Montale, “Ossi di seppia”

 
 
 

Scooters and Lies (I miei mostri)

Post n°12 pubblicato il 10 Ottobre 2008 da gianlucagian69
 
Foto di gianlucagian69

Roma è invasa dalle automobili.

Ma Roma vanta anche un'onnipresenza di scooter.

In questo caos di automezzi, anche gli individui hanno alcune incertezze.

Ci sono addirittura alcuni individui che hanno il doppio amante, l'uno in scooter, l'altro in automobile. Nello stesso ufficio. Pensando che niente si possa decifrare.

Tranne le bugie dette ad occhio nudo. Questi primatisti dell'intelligenza ridotta. Questi professionisti della furbizia di seconda mano. Sempre convinti di cantarla giusta.

Sei portata al falso - non solo con me, magari fosse così - per indecenza educativa e per malattia. Oltre la pietà, che tutti condividono perché tutti sanno, non si può più darti. Un pietoso, dolce bacio a te.

Infrasettimanale, ed entro le 22.30. Come me.

 
 
 

IN ASCOLTO

Post n°11 pubblicato il 09 Ottobre 2008 da gianlucagian69
 
Foto di gianlucagian69

“Noi siamo un colloquio” significa che non si dà diagnosi e cura se si trascura quel tratto specifico dell'uomo (che la psicopatologia a indirizzo fenomenologico non si stanca di ribadire) che è quello di essere in perenne comunicazione con sé e con gli altri, per cui in ogni dialogo, in ogni colloquio siamo aperti al mondo degli altri e al nostro mondo interiore nella loro continua e dialettica correlazione.

"Quando siamo lambiti o sommersi dalla tristezza, che è il nocciolo segreto di ogni depressione, il dialogo con la nostra interiorità continua, ma quello con il mondo degli altri si attenua e si smorza, fino a inaridirsi e a perdersi nella solitudine ancora virtualmente aperta, del resto, a qualche scheggia dialogica e colloquiale". Chiudere quest'apertura con diagnosi "oggettive" e con cure esclusivamente farmacologiche, significa spegnere non solo il colloquio con gli altri, ma anche il colloquio con se stessi, svuotandolo di ogni significato e inaridendolo in un deserto dove nessuno più chiama e il silenzio si fa assordante. Senza colloquio c'è il misconoscimento della soggettività e di quel che si muove nei suoi abissi. E certamente non è possibile restaurare la soggettività, sempre cercata e sempre perduta, con pratiche terapeutiche che non hanno in vista il soggetto, ma solo il sintomo e il disturbo sociale che arreca. Sin-tomo è parola greca che significa "accadere insieme". Insieme al sintomo accade un vissuto soggettivo che la psicopatologia cerca di "comprendere" (in senso jaspersiano) mentre la psichiatria a orientamento naturalistico cerca di "spiegare" con il metodo della scienza e della natura, ottenendo come risultato quello che Jaspers scrive nella sua Psicopatologia generale: "È possibile spiegare qualcosa senza comprenderlo", perché la "spiegazione" prescinde dalla soggettività a cui la "comprensione" si rivolge. Ma per questo occorre "in relazione", "essere in dialogo" anche se, come già scriveva Kafka: "Prescrivere ricette è facile, parlare con la gente è molto più difficile".

(…)

"Non essere in colloquio", e come dice Hölderlin "non potersi ascoltare l'un l'altro". Con l'avvertenza che il poter ascoltare non è una conseguenza che deriva dal parlare insieme, ma ne è piuttosto il presupposto.

Umberto Galimberti, recensione al libro Noi siamo un colloquio di E. Borgna, “la Repubblica”, 1999.

 

L'essere dell'uomo si fonda nel linguaggio; ma questo accade autenticamente solo nel colloquio. (…) Ma che cosa significa allora un "colloquio"? Evidentemente il parlare insieme di qualcosa. in tal modo che il parlare rende possibile l'incontro. Ma Hölderlin dice: "da quando siamo un colloquio e possiamo ascoltarci l'un l'altro". Il poter ascoltare non è una conseguenza che derivi dal parlare insieme, ma ne è piuttosto, al contrario, il presupposto. Ma anche il poter ascoltare è in sé a sua volta orientato in relazione alla possibilità della parola e di essa ha bisogno. Poter discorrere e poter ascoltare sono cooriginari. Noi siamo un colloquio, e questo vuol dire: possiamo ascoltarci l'un l'altro. (…) Ma l'unità di un colloquio consiste nel fatto che di volta in volta nella parola essenziale è, manifesto quell'uno e medesimo su cui ci troviamo uniti, sul fondamento del quale siamo uniti e siamo quindi autenticamente noi stessi. Il colloquio, con la sua unità, sorregge il nostro esserci.

Martin Heidegger, La poesia di Hölderlin, a cura di L. Amoroso, Adelphi, Milano, 1988.

 
 
 

Fritto misto

Post n°10 pubblicato il 05 Ottobre 2008 da gianlucagian69
 
Foto di gianlucagian69

Tramite il blog di una mia (ex) amica, sono arrivato al blog di un suo amico (un suo fedelissimo, oserei dire).

Ho trovato apologia di reato (fascismo) in un tono che più che di seguace del ventennio rimanda ai comportamenti di un femminiello. Tante chiacchiere, tante. Troppe. E un aneddoto che per rispetto di una persona non posso raccontare.

Ma tra la foto con il saluto romano e la copertina - dell'altra - di un libro della Fallaci, vedo una certa sintonia. Siete pure vicini di città (o paese). Anche se lui sembra ispirarsi alla foto di questo post.

Mi siete piaciute (una più dell'altra - sarei irriconoscente a non ammetterlo).

Continuate così. Ho bisogno di alimentare il mio buonumore.

PS. Niente contro di lei. E' solo strumentale per arrivare al poverello.

 
 
 

Pace is the trick

Post n°9 pubblicato il 05 Ottobre 2008 da gianlucagian69
 
Tag: Storie
Foto di gianlucagian69

Ciò è stato per alcuni mesi -

Lo sguardo perfetto al primo istante, la luminosità di un volto perfetto, e credersi irraggiungibili per l’eternità. L’emotività per rallentare la conoscenza – il passo dovuto ad ogni delicatezza, sia fisica che mentale – e poi due parole per ascoltare la voce. Che ancora mi rimbomba dentro.

Poi una breve assenza, e il rientro, un bacio sobrio, “come sei stato?”, è il mio compleanno, ci sarai?, “no, torno a casa”.

Poi ti ammali, qualche messaggio telefonico per rassicurarmi sulla tua salute, per sentirti, per capire se mi riconosci, e mi riconosci. La cascata del desiderio è aperta.

L’altro incontro, le labbra che non sfuggono al bacio, il come stai diventa in poche ore un bacio vero, l’abbraccio un desiderio dell’altro.

Poi mille cose, e un’inesauribile voglia (perché il mio cazzo non vuole uscire da te, e tu lo trattieni, e non è pornografia, è solo voglia).

Poi il cielo si rivolta, e dopo parole irrequiete e contrarie il silenzio scende per un mese.

Il cielo è nero, in agosto.

Poi torna la voce, e con essa gli abbracci, baci timidi, ma non sempre timidi.

Alcune volte anche bloccati. Come l’ultima volta. Come stasera.

E c’è la sensazione di incontrarsi, perché assieme si vince il disagio. Si sorpassa la solitudine, si abbandonano i reciproci sensi di colpa.

Per il troppo aver detto, e per aver taciuto l’indispensabile.

Il non volersi fino in fondo. Assolutamente.

Cari a Cristo come un'abbazia sconsacrata.

Ma non ci si può incontrare per senso di colpa.

Non si può retrocedere nella profondità nel bacio in dieci giorni.

Non si può non fare per paura di far male.

E non si può non fare per paura di farsi male.

Per la seconda volta. E sempre intrisi di bugie, e di week-end nascosti.

Malgrado il nostro discorso non sia solo cazzo e fica – ma questo è il risultato.

Senza poterti chiedere di riappropriarsi l'un dell'altro nello scambio.

Senza poterti proporre - se non per averne un sicuro "no" - una villeggiatura, un qualsiasi spazio diverso dal male della quotidianità.

Ma ironicamente, ciò che tu pensi e desideri, io faccio.

E questo è un maldestro addio.

 
 
 

Frate Casomai

Post n°8 pubblicato il 02 Ottobre 2008 da gianlucagian69
 
Tag: Storie
Foto di gianlucagian69

Vivo nella casa dei miei nonni materni.

Ho ereditato le utenze che furono allora intestate.

Una al nonno, un’altra alla nonna, un’altra ancora allo zio, ecc.

Stratificazione pluriennale di chi si abbonava ai vari servizi condominiali.

A leggere le bollette sembriamo una famiglia di quattro generazioni, tutti vivi e in salute, felicemente conviventi.

Ma mio nonno fa la parte del leone.

Mi telefonano gli operatori televisivi e telefonici, mi chiedono quando tornerà il signor Igino, rispondo soave che non credo che ciò sarà possibile, “sa, è morto nel 1990”, secondo un’ironia che almeno io trovo ai limiti del macabro, ma dolce.

Quindi arrivano proposte di abbonamento per ogni cosa, ma stasera il limite è stato passato.

Proposta di offerta con abbonamento alle pubblicazioni di Frate Indovino.

Indovino… ma se è morto quasi vent’anni fa.

Arrivederci, Frate Casomai Fossi Vivo.

 
 
 

Gotico espanso

Post n°7 pubblicato il 01 Ottobre 2008 da gianlucagian69
 
Foto di gianlucagian69

Una scala in una casa, in un quartiere a ridosso di un bosco, nella città dei matti.

La casa ha un orto interno, un letto in stile giapponese. Sui lampadari, abbassati di un metro oltre la misura naturale, al posto delle lampade riposano candele impolverate.

La scala conduce ad una porta in legno rosso. Tutto è sbilenco, qui.

Nella casa si accede da un portone in legno, imponente, decadente – vecchio.

Nel salone alle pareti in penombra spiccano le foto di antenati austroungarici.

Bianco e nero, bianco e nero – in questa oscurità il colore si perde, diventa irraggiungibile.

I velluti dei divani giacciono appesantiti su cuscini secolari ed inutilizzati da anni.

Un piccolo materasso riposa in un angolo, usato per coiti occasionali.

L’unico colore è il rosso della porta in cima alle scale.

Stanze inattese, imprevedibili, vive o morte, stanno lassù.

Sotto, una vecchia pendola attende di poter ricominciare a contare il tempo.

Qui puoi essere vivo o morto, e niente cambierebbe.

Nella cucina tutti gli utensili stanno fermi nel modo in cui furono lasciati.

Da anni nessuno entrava qui, in questa casa maledetta dal Signore, dove nessuno è sopravvissuto.

Qui, dove i morti riposano nell’orto, o forse al di là delle pareti impolverate, o al di là di quella porta rossa.

La porta che vorrei varcare, per scoprire qualcosa che possa sembrare eterno, o quantomeno vivo, o anche adatto ad ospitare un uomo vivo.

Ma non c’è niente che io possa amare veramente, osservare con passione. Qualcosa attraverso cui trascendere, e respirare l’aria dell’eterno.

Non c’è niente di vivo, forse neanche al di là di quella porta rossa.

Mi siedo sul divano, che mi inghiotte nel suo sonno immortale.

Riportandomi al punto di partenza.

 
 
 

Pomeriggi

Post n°6 pubblicato il 27 Settembre 2008 da gianlucagian69
 
Tag: Storie
Foto di gianlucagian69

Di Roma si dicono molte cose. Ne parlano tutti.

E’ un argomento facile, all’apparenza.

Roma radiocentrica – stratificata – compagnona – città “de core” – magnanima e papalina – conservatrice ma che si lascia vivere. E poi il traffico, il cibo, il lavoro, il clima. Sì.

C’è qualcos’altro.

Roma è una puttana. Dove un lavoro di bocca costa meno di una parola disinteressata.

Una città che apre le gambe – meravigliose – con dolcezza mista a lascivia, senza fare neanche troppa resistenza, anzi partecipe e proattiva, ma dopo ti chiede i soldi.

E’ una femmina addormentata su sogni rocciosi, stuprata ed in cerca di vendetta, solida nel suo cinismo costretto – troia e caritatevole, cinica e amante passionale.

Ha i giardini più verdi del mondo, forse, ed una piazza il cui architetto – Coppedè – ha realizzato forse una tra le più straordinarie fusioni tra scuole architettoniche.

Ha quartieri “veramente” residenziali e quartieri “veramente” popolari, favelas e luoghi di lusso.

E’ una capitale, è vero, ed ha millenni di storia.

Ha cimiteri monumentali e Basiliche che tolgono il fiato.

Chiese per ogni angolo, ed arte e ruderi che puoi osservare non appena volgi lo sguardo da un punto all’altro del tuo orizzonte.

Acquedotti e tangenziali, e - se non si sottilizza – un Colosseo dietro l’altro.

Quartieri consacrati alla prostituzione, come da sua natura, e chiese, comunità – colli ed avvallamenti, un continuo saliscendi, temporale ed emotivo, geologico e sentimentale.

In questa altalena di peripezie umane, oggi pomeriggio ho attraversato Roma, come leggendo uno haiku di tema autunnale.

 
 
 

Stand by me

Post n°5 pubblicato il 26 Settembre 2008 da gianlucagian69
 
Tag: Storie
Foto di gianlucagian69

Talvolta stabiliamo con altri dei rapporti che tendono, per loro stessa natura, alla rottura.

Per vari motivi – la distanza, gli umori, gli ambienti separati che dividono, e tendono a separare.

Per cose minime, per grandi episodi. Per stranezze caratteriali, per orgoglio, per capriccio.

Quando però le anomalie pur umane dell’individuo non valgono una perdita, quando cioè la persona – l’altra persona – vale più della nostra luna storta, quando il fraintendimento è minima cosa rispetto alla forza d’attrazione, dovrebbe essere semplice: un passo indietro, e far accadere la Storia.

Detta altrimenti: lanciare un ponte tra noi e gli altri, contemplando la bellezza sublime della traversata, e continuare perché, dopotutto, la meta è più importante del tragitto.

Anche se di 1.500 chilometri.

Stand by me, now.

 
 
 
 
 

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