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Mohamed H. Kalif

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Post n°377 pubblicato il 01 Ottobre 2022 da mohamed21
 

“Hanno sparato a Lee Morgan”.
Quando hanno sparato Lee Morgan si è spento e da quell’istante non ha più brillato.
Helen Moore ha agito e Lee è caduto, come fosse morto, e poi è per davvero morto. Il tutto è accaduto in un nevoso sabato di febbraio del settantadue e nonostante che in tal modo Helen Moore non avesse voluto.
Gli anni che ci separano da quella notte sono quarantatré e molti dei presenti a quell’evento sono ancora increduli. Una notte fredda che ha mutato la vita di Helen, quella di Lee e per alcuni aspetti anche la mia seppur nella sua accezione postuma. Helen Moore ha sparato, boom, e Morgan Lee allo Slug’s è caduto. E’ andato giù e lo ha fatto da eroe proprio mentre suonava la sua tromba a cui per fortuna nostra è stato risparmiato il colpo di grazia. Morire sul palco mentre si suona non è per tutti ed è l’unico jazzista a cui ciò sia accaduto. Ha un qualcosa di speciale in questo e a mio avviso è il Dorando Pietri americano anche se a differenza sua non ha avuto la vita salva. A Lee hanno sparato mentre a Pietri hanno permesso di arrivare vivo, seppur quasi morente, ma ancora vivo al traguardo.
A mezzanotte e un quarto del diciannove febbraio millenovecentosettantadue Helen Moore è entrata nel locale, ha teso il braccio destro, mirato al dono della vita e poi . . . boom ! Addio Morgan Lee, stai per cadere, ora !
All’epoca di quell’evento Lee era già nella fase discendente della sua parabola e Helen Moore ha concorso nell’accelerarne il percorso naturale. Percorso naturale il cui apice era già passato nonostante nel settantadue avesse trentatré insufficienti anni. E sapete cosa ciò può significare ? O che è stato un genio o ha ingenuamente bruciato tutte le tappe che aveva a disposizione. Credo di conoscere Lee sul piano del concetto e ritengo che lui abbia sicuramente e ingenuamente bruciato tutte le sue tappe. E poi i geni non esistono e anche qualora esistessero non nascerebbero tra gli esseri di questo pianeta. E’ acclarato dalla storia che alcuno ha capacità, facoltà o peculiarità innate e migliori a quella di altri esseri a egli simili. Siamo tutti uguali nella fase di partenza e l’unica differenza che può esistere, e solo dopo molti anni dalla partenza, è quella tra coloro che si impegnano e coloro che non si impegnano lungo il proprio cammino. Il volere è l’unico discrimine in merito alla sorte degli uomini, che possono tutto, e la vita di Lee è un’inequivocabile dimostrazione a tale riguardo. Se si intraprende un sentiero e ci si impegna per arrivare alla meta è praticamente certo che alla fine si giungerà sani e salvi nell’esatto punto desiderato. Il tutto in questo mondo è sostanzialmente possibile e lo è da diversi secoli, forse da millenni. Prendete ad esempio Lee Morgan e i quindici anni di avventura in jazz nonostante in quei tempi esistessero John Coltrane, Wayne Shorter e Art Blakey. Prendete solo questo esempio e tenete a mente che, dato che il volere è l’unico discrimine e che il tutto è possibile, Lee Morgan riuscì ugualmente a trovare il suo spazio a New York e il suo percorso fu addirittura una magnifica ascesa. Come buona parte dei jazzisti degli anni sessanta, però, anche lui venne dalla droga accerchiato e purtroppo anche completamente piegato. Quando Lee Morgan pubblicò “Search for the New Land” era già profondamente immerso in quel mondo di dipendenza e perdizione a cui quelle polveri malefiche celermente conducono. E la signora Helen ? Non intendo giustificarla ma credo certamente di comprenderla. Vivere per anni e anni con uno dei massimi esponenti dell’epoca d’oro del jazz non deve essere stato facile; vivere anni e anni con Lee Morgan persona deve invece essere certamente stato un incubo. Il colpo di pistola di Helen era dettato dall’amore nei suoi confronti e dall’impossibilità di cambiare la loro insostenibile condizione. “Hanno sparato a Lee Morgan” fu l’ignobile frase gridata in quella notte a New York ma alcuno, purtroppo, provò ad andare oltre a quella volgare semplificazione in neolingua. Helen Moore venne dunque arrestata e celermente tradotta nel terribile penitenziario dell’isola di Rider. Rimase lì per anni senza nessuno e afflitta da seri problemi di salute per le dure condizioni di detenzione. Solo dopo diverso tempo quando si constatò l’impossibilità di tenere in prigione una persona in precarie condizioni psicofisiche come le sue, Helen Moore venne rilasciata e si trasferì in North Carolina dove diversi anni addietro nacque. Nel millenovecentonovantasei tornò a parlare per la prima e unica volta dei fatti di quella notte e fu incredibile il patos che traspariva ancora dalle sue parole a tanti anni di distanza. Nel millenovecentonovantasei era ancora incredula per ciò che le accadde e riferiva dell’evento come se non fosse stata lei a causarlo. Parlava del fatto come se fosse stata una spettatrice che assistette suo malgrado all’addio dell’inarrivabile Lee Morgan. Questa intervista si trova ancora in rete e auspico vivamente che vi resti in eterno per donare il verbo anche agli esseri erranti.
Belfast, 18/08/2015
da “L’Irlanda in jazz” di Mohamed H. Kalif
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Search for the new land - Lee Morgan
(1964 - Blue note records)
Lee Morgan, tromba
Wayne Shorter, sassofono tenore
Grant Green, chitarra
Herbie Hancock, pianoforte
Reggie Workman, contrabbasso
Billy Higgins, batteria

 
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