Il figlio del fornaio, nostro caro amico, continua a mandarci racconti desunti dalla tradizione popolare torese, che noi pubblichiamo volentieri. Questa volta, la protagonista è una giovane avviata al matrimonio, che tuttavia...
Si racconta che a Toro, prima dell’ultima guerra, vi era tanta miseria, ma anche tanta voglia di vivere e di divertirsi.
Due giovani, vicini di podere, furono indotti a sposarsi dalle rispettive famiglie affinchè potessero ereditare, dopo il matrimonio, i rispettivi terreni che ammontavano complessivamente a meno di tre tomoli. La donna pur non potendo esibire nessuna dote perché povera, volle che si festeggiasse comunque il loro matrimonio. Pochi parenti stretti assistettero al matrimonio, celebrato di sera, e un sobrio rinfresco con taralli e vino allietò i pochi invitati che, grazie ad un organetto, ballarono sull'aia, fino a tarda notte, la tarantella.
| La loro casa era disadorna, vi era solo il letto, costituito da un semplice telaio e da un “pagliaricce”, un saccone riempito con “frusce de rendinje”. Comunque quel letto per la prima notte fu preparato con cura. Il pagliericce fu foderato con saccone, si misero due belle lenzuola finemente ricamate e fu, con orgoglio, mostrato ai parenti, che ammirarono una coperta fatta all’uncinetto dalla bella e prosperosa sposa. |
Si lanciò riso e fiori sul letto e vi fu lasciata qualche banconota per buon' augurio. Un amico bontempone dello sposo infilò, come era consuetudine, qualche spilla e chiodo per fare lo scherzo agli sposi. C’era pure l’usanza di mettere sotto il cuscino un breviario o altri libri religiosi, al fine di scongiurare interventi malefici.
Or avvenne che quell’infido amico dello sposo, fece uno scherso davvero cinico e inopportuno. Invece di infilare sotto al cuscino un normale libro devozionale, vi infilò il libro nero dell’Ufficio dei morti. Confidente dello sposo, ne conosceva virtù e difetti. Di quest’ultimi gli era nota l’impotenza dell’amico, e fu così che volle rimarcarne l’incoffesabile difetto, affinchè la sposa, per la sua settimana, recitasse su quel letto il “requiem aeternam”.
La sposa novella, durante quella settimana, successiva alle nozze, non osava uscire di casa. Erano i cosiddetti giorni della zita. In quei giorni la sposa si dedicava solo al marito. Delusa per non doversi dedicare abbastanza al marito: d’altra parte che può fare una sposa e uno sposo, segregati una settimana in una casa munita solo di un letto?
Infranse la regola della settimana della sposa, abbandonando subito quell’inutile pagliericce per fuggire in un paese prossimo al suo, dove, per ironia della sorte, avrebbe trascorso non una sola settimana sul pagliericce, ma l’intera vita, intrattenendosi allegramente con quegli uomini, tanto diversi da suo marito.
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