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Parafrasando Dante e Kundera...
..."Conservate ogni speranza, o voi ch'entrate..." perche' qui forse troverete "La sostenibile pesantezza dell'avere"...
Hemingway non sbagliava quando sosteneva : "Gli italiani: una metà scrive e l'altra metà non legge" . Io, purtroppo, sono nella prima metà (ahimè) e cerco di mettermi in pari!
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"Disposizione d’animo, abituale o attuale, congenita al proprio carattere o effetto di volontà e di autocontrollo, ad accettare e sopportare con tranquillità, moderazione, rassegnazione, senza reagire violentemente, il dolore, il male, i disagi, le molestie altrui, le contrarietà della vita in genere". Ho appena definito una facoltà umana che esercitiamo tutti, ma in termini diversi: la pazienza. I tempi cambiano, il modus vivendi cambia e in una società come quella attuale, la nostra pazienza è destinata a subire contraccolpi eccessivi, repentini e mutevoli. Un tempo la pazienza era (lo è tutt'ora) un dono spirituale di cui eravamo più ricchi. Oggi siamo ai limiti della sopportazione e pronti a centellinare gli ultimi spiccioli di pazienza residua; in tutte le circostanze e le situazioni, dovremmo averne almeno un briciolo in più. Pensateci su, è quella pazienza smarrita, sfuggita dalle mani, per cui siamo pronti per la rabbia, a partire in quarta contro tutto e tutti: un semaforo per esempio, a prescindere dalla fretta che potremmo avere, mantiene i suoi tre colori a lungo e il rosso specialmente, ha una durata enorme. Non passa mai il tempo, cerchiamo di distrarci, qualcuno magari riesce a farlo solo mettendosi le dita nel naso per una pulizia alla Mastro Lindo, rapida e netta; altri guardano i cartelloni stradali, altri pensano al lavoro, ecc.ecc. ma finite le occasioni, il semaforo guarda caso, è sempre rosso! Poi finalmente scatta il verde e il primo della fila si rende conto che se volesse definire l'attimo, dovrebbe dire: "E' il tempo che trascorre tra lo scatto del rosso e l'immediato strombazzare dei clacson delle vetture in fila". Non abbiamo più pazienza per nulla, siamo in trincea, siamo come a dover rispondere ad un'entità superiore, del tempo che perdiamo durante la nostra giornata. Il mio 51% ormai non si affaccia più nel mio studio per sapere quale sia il motivo delle mie bestemmie in libera uscita; mi sa al PC quindi con chi potrei avercela? E' da tempo che ha capito che il mio nemico è proprio il computer: non si apre subito una pagina? Volano bestemmie, bofonchio e ringhio come un forsennato. Perdo la connessione alla fine di un post non salvato? Sono pugni sulla scrivania e uccelli senza zucchero che svolazzano per casa. E la pazienza latita. Non esistono posti dove la si possa e la si voglia esercitare: code in macchina, code alla posta, in banca. Ti urtano per strada scatta lo sguardo torvo mentre l'altro chiede scusa, ti sorpassano strombazzando facendoti segnacci con la mano e la pazienza scappa liberando le frustrazioni e il logorio della vita moderna represso. Caro Calindri, ai tuoi tempi, sì che potevi sostare in mezzo ad un incrocio, seduto al tavolino da bar e bevendo il tuo Cynar mentre il traffico intorno impazziva. Oggi nemmeno più il Cynar può aiutarci. Manco a farlo apposta, pazienza deriva dal termine latino volgare: patire. Appunto, un patimento continuo, una sofferenza che non riusciamo a scrollarci di dosso e che col tempo ci porta ad essere sempre meno disponibili e pronti a subire le controversie umane e le sollecitazioni di una società sempre più nervosa ed eccitata.
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