La ragazza coi baffi

Novembre.


avrei voluto assaltarti.come accade ai negozi di giocattoli la vigilia di natale, nei film americani. padri inseguono in ritardo sul resto dell'anno il sorriso dei figli, alla ricerca del regalo perfetto, nei grandi centri commerciali inghirlandati. stornelli, campanelli, i cappottini e i guantini belli. avrei voluto assalirti ed essere la folla umana che si riversa in te, con una fame che non capisci e accogli sui pavimenti che si sporcano in fretta, le scale mobili che si azionano per fare salire ai vari piani del tuo stomaco esseri insulsi. tutto pullula. germina come la malattia. avrei voluto essere qualcosa che corrode, che fa male. avrei voluto corroderti e sgretolarti dall'usura. non so scindere i pensieri malati da quelli sani.avrei voluto assaltarti come i samurai nel Giappone di una volta, pieno di peschi in fiore e pesci rossi. pieno di tsunami e terremoti. avremmo avuto pelli abbastanza bianche per tingerle di rosso, per un kimono in seta e i lunghi bagni serali. passare nei secoli con l'immortalità delle leggende, arrivare in una vecchia macchina che attraversa le luci di Shibuya, avere i capelli corti di Midori, proporre film porno in vecchi cinema, parlare in modo sconcio.avrei voluto restituirti a un inizio scaltro, brillante, nuovo di zecca, come uno zecchino che luccica. voglio per gli altri quello che spero per me. sono tornata dalle sartine. pioveva e ho lasciato l'ombrello sullo zerbino. le sartine avevano la porta aperta e ascoltavano quel modo di scrosciare compatto, che mancava da un po'. lo ascoltavano con occhi grandi, ma non come i tuoi, e nel farlo si pungevan le dita con gli aghi e perdevano gocce di ambra, avevano sangue di miele, fiori di feltro tra i capelli, una lacrima dipinta sotto l'occhio, o una stellina forse. avevano un modo da marionette aggraziate di restare assenti. ho lasciato impronte sulle assi storte del pavimento consumato, ho scostato le grucce per vedere meglio i vestiti. ne volevo uno per la festa, il battesimo dell'inizio. volevo tornare a casa e festeggiare. ho ripreso l'ombrello, ritmato i passi, osservato come sotto gli angoli delle case la pioggia facesse sbocciare i tulipani di vetroacqua, si spargevano piccole pepite trasparenti attorno a loro. così mi sono messa un vestito da anni '30 e una benda sull'occhio, perchè solo così posso vedere bene. trarrò forza dalla tua forza, crescerò come le campanelle arricciate nel campo da bocce e bloccherò il ruzzolare delle palle pesanti sulla sabbia. vorrei accarezzarti la spalla ora, e dirti che è novembre. ma ora non hai più arti da aggiustare e ne sono felice. traggo felicità dalla tua felicità. vorrei assaltarti, come un abbraccio tra amiche adolescenti. dirti tanti grazie e poi stare zitta per un po'.