Creato da: luppo2 il 24/01/2006
"Dobbiamo fare attenzione a non indietreggiare sempre di più davanti alla paura di fondamentalisti violenti", Merkel .

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luppo2
luppo2 il 09/04/07 alle 19:10 via WEB
No, sta bene, non sembra niente, ê un papa.
 

 
kickingforkicks
kickingforkicks il 08/04/07 alle 20:41 via WEB
Ciao sto girando tutti i blog per lanciare un sondaggio in tutti i post che parlano di pasqua: Il papa oggi sembrava un carro del carnevale di Viareggio?! Risp Ciao!!!
 

 
luppo2
luppo2 il 03/04/07 alle 13:39 via WEB
Basta terrore, armiamoci! Il multiculturalismo ha fatto cilecca. Bisogna resistere all'islamizzazione con mezzi violenti. Lo sostiene un arabista democratico. E chiede alle democrazie di svegliarsi dal torpore. Che ne pensi? Un grande arabista chiede alla democrazia di armarsi contro il terrore di Liberali per Israele Li abbiamo in casa, li stiamo crescendo e coccolando senza nessuna prospettiva. Qualcuno grida il pericolo, ma la nostra incosciente vigliaccheria non ci permette di sentire. Quanto durerà questo profondo sonno della ragione?Un grande arabista chiede alla democrazia di armarsi contro il terrore di Liberali per Israele Li abbiamo in casa, li stiamo crescendo e coccolando senza nessuna prospettiva. Qualcuno grida il pericolo, ma la nostra incosciente vigliaccheria non ci permette di sentire. Quanto durerà questo profondo sonno della ragione? “La democrazia deve resistere all’islamizzazione usando mezzi violenti”. Se a pronunciare queste parole fosse stato Geert Wilders, il nuovo Pim Fortuyn piegato a un’esistenza di caserme e prigioni, nessuno si sarebbe scandalizzato. Ma a lanciare l’allarme, dalle colonne del settimanale Opinio, è stato il più celebre arabista d’Olanda, Hans Jansen, docente all’Università di Utrecht: “Non abbiamo capito che la minaccia della violenza può essere fermata solo attraverso l’uso di maggiore violenza. L’élite sostiene il multiculturalismo e bolla di fascismo chiunque dissenta”. A lui è toccato l’epiteto “razzista” e l’accusa di incitare allo scontro etnico. Sono anni che Hans Jansen, che ora chiede al governo di creare un dipartimento dei servizi segreti dedicato solo al terrorismo e all’estremismo islamico, si batte per risolvere i “due grandi misteri” che avvolgono ancora il caso di Theo van Gogh, il regista assassinato nell’autunno di due anni fa mentre andava in bicicletta al lavoro. Si sa che venne ucciso da Mohammed Bouyeri, un giovane islamista ben integrato, dall’olandese fluente e collaboratore del giornaletto della scuola. Meno noto è il fatto che due mesi prima che entrasse in azione, Mohammed si era nutrito dell’ideologia dell’imam Fawaz Jneid in una moschea wahabita dell’Aia. In un sermone, che Bouyeri ascoltò, Fawaz esortò i fedeli alla punizione dei “blasfemi” Van Gogh e Ayaan Hirsi Ali. Sebbene il testo possa essere letto sul sito del quotidiano Volkskrant, l’imam è ancora libero di predicare il Corano in Olanda. L’altro mistero riguarda il “siriano”, il guru di Bouyeri. Si faceva chiamare Mohammed Bassem, Redouan, Issa, Abu Khalid e Hassan. Scomparve il giorno dell’omicidio del cineasta. “La nazione fu scossa da una breve ondata di violenza. Moschee furono bruciate e le chiese attaccate. Ma il governo non ha reso noti i numeri dell’escalation. Bisognava ‘tenere uniti gli animi’”. Jansen dice che “la libertà religiosa deve valere solo per coloro che sono disposti a desistere dall’uso della violenza. Chi non si conforma a questa prescrizione e usa lo scritto sacro come licenza di uccidere, quello è il vostro nemico”. A dimostrazione di quanto la situazione nel paese di Anna Frank sia diventata intollerabile c’è il caso di Paul Cliteur, il più noto teorico del liberalismo olandese. Dopo l’uccisione di Van Gogh, Cliteur annunciò che per l’incolumità della propria famiglia non avrebbe fatto ulteriori commenti critici sull’islam. Oggi si schiera a difesa di Jansen contro chi, come l’opinionista Rohan Jayasekera, definisce Van Gogh un “fondamentalista della libertà di parola” che aveva “cercato il martirio”. Esattamente la stessa accusa che Ian Buruma, Stuart Sim e Timothy Garton Ash rivolgono ad Ayaan Hirsi Ali, esule negli Stati Uniti. Tre giorni fa il Volkskrant ha reso noto che le è stata raddoppiata la scorta anche a Washington, dove vive da un anno, a causa dell’aumento di minacce di morte (in Olanda era costretta a vivere in una base militare). Insieme a Jansen, Cliteur accusa Buruma e Garton Ash di essere la “quinta colonna” del terrore islamico. “La risposta del postmodernismo culturale è sempre la stessa: trattieniti dal criticismo” ci dice Cliteur. “Lascia che la riforma venga da dentro, evita le provocazioni. La difesa della democrazia e dei diritti umani deve essere sostituita dalla glorificazione dell’‘altro’. C’è solo scontro fra ‘fondamentalismi’, nessuno mai superiore all’altro”. Se per Ian Buruma il terrorista Bouyeri difende l’“islam radicale”, Hirsi Ali è dalla parte dell’“illuminismo radicale”. “Buruma dice che sono entrambi ‘guerrieri’. Ma Bouyeri è un guerriero la cui spada ha cercato di decapitare Van Gogh, Ayaan è una guerriera della penna. Sarebbe come dire che Sayyid Qutb, ideologo dell’islam radicale, è come il padrino dell’illuminismo radicale Baruch Spinoza. Ha ragione Jansen, questa posizione suicida e nichilista trasforma le società occidentali in prede dell’islamismo. Se l’ideologia è quella per cui la democrazia non è superiore alla teocrazia, non c’è motivo di difendersi dall’assalto dell’islam radicale”. Due giorni prima dell’uccisione del “porco” Van Gogh, il re giordano Abdullah tenne un discorso ad Amsterdam di fronte alla regina e al primo ministro. I musulmani presenti erano marocchini e se parlavano una lingua straniera, quella era il francese, non certo l’inglese. E se c’erano dei turchi, capivano il tedesco. Il discorso in inglese del re non disturbò nessuno dei presenti. Era il migliore dei mondi possibili. Giulio Meotti
 

 
luppo2
luppo2 il 30/03/07 alle 13:49 via WEB
Certo.
 

 
DocGull
DocGull il 30/03/07 alle 02:46 via WEB
il senato americano, caro Luppo, può proporre tutte le leggi che vuole sul ritiro entro il 2008. Bush ha già dichiarato che, nel caso, porrà il veto, il senato lo sa, quindi ritengo compia questi atti solo ed esclusivamente per motivi di politica interna americana. Chi fa tanto chiasso sapendo che tanto non potrà averla vinta non può che avere altri obiettivi rispetto a quelli ufficiali.
 

 
luppo2
luppo2 il 29/03/07 alle 23:55 via WEB
Capita spesso di leggere varie motivazioni sulle cause della mattanza (seppur ultimamente attenuata) iraquena, cercheremo, con questa analisi, di chiarire la situazione reale e capire quali evoluzioni possa seguire. Innanzitutto va chiarito quali sono le parti principali, iraquene, che giocano nello scacchiere: Sciiti, Sunniti e Curdi. I massacri sono iniziati per mano dei sunniti che, sotto Saddam Hussein, anch’egli sunnita, avevano preso il controllo del Paese, a discapito della maggioranza sciita. La reazione degli sciiti non si è fatta attendere, soprattutto per mezzo delle milizie di Moqtada Al Sadr, leader radicale sciita, ultimamente un po’ uscito di scena. Moqtada ha cominciato, assieme a gruppi radicali sunniti, una serie di omicidi e massacri reciproci. I curdi, al contrario, sono rimasti meno esposti a questi massacri, essendo dislocati in modo chiaro sul territorio (A Nord dell’Iraq) e avendo acquisito, di fatto, una certa autonomia. Il Premier iraqueno sciita Al Maliqui ha il difficilissimo compito di non sembrare un nemico agli occhi dei sunniti e delle altre minoranze. Che cosa potrebbe portare ad un reale cambiamento della situazione e ad una pace reale tra le parti in causa? Geopoliticando ritiene che vi sia un’unica soluzione, un’equa distribuzione delle risorse, segno inequivocabile che nessuna delle parti in lotta abbia desideri egemonici. Trattare, eccetto che con Al Quaeda, è possibile. Ruolo decisivo dovrà essere esercitato dalle truppe occidentali presenti sul territorio. Molto dipenderà dagli USA, dalla strada che decideranno di perseguire. La presenza di truppe americane è oggi fondamentale per tentare un accordo. In assensa degli americani e degli alleati, infatti, gli scontri riprenderebbero, almeno in una prima fase, in tutta la loro virulenza. La presenza americana ha fino ad oggi evitato scontri plateali tra le parti, parti che non hanno quindi avuto la possibilità di capire se esista o meno una possibilità di vincere militarmente lo scontro con l’avversario. L’assenza di truppe di intermediazione oggi portebbe invece certamente a questi tentativi egemonici violenti. La presenza americana impedisce “lo scontro finale”, ma questo tempo va utilizzato perseguendo un vero obiettivo di pacificazione, rimanere senza un serio progetto di sviluppo dei contatti tra le parti,, in attesa di un’uscita che prima o poi dovrà esserci, comporta solo la morte inutile di tanti giovani americani. Gli spunti decisivi da seguire sono due: - far comprendere che nessuna delle due parti ha la possibilità militare di distruggere l’altra; - il fatto che gli scontri impediscono di sfruttare la pià importante ricchezza dell’area, il petrolio. In questo senso una svolta può arrivare dalla nuova legge del petrolio, approvata dal Governo lo scorso 26 febbraio, e in attesa della ratifica parlamentare. Obiettivo della legge è distribuire i proventi delle esportazioni di greggio in modo equo fra tutte le 18 province del Paese, comprese quelle sunnite, concentrate nelle regioni centrali, mentre la maggior parte del petrolio iracheno si trova invece nel sud e nel nord del Paese, e aprire il settore agli investimenti stranieri. Molte critiche si sono già levate. Tra queste. quella di Salam el-Maliki, sciita vicino a Moqtada al-Sadr, e membro del parlamento iracheno, il quale ha dichiarato che il disegno di legge e' troppo generoso con le compagnie straniere e gli iracheni dovrebbero opporsi. Per questa ragione l'appello agli altri politici iracheni e al parlamento e' a "stare attenti " prima di approvarla in maniera definitiva". A queste come non ricordare le solite critiche che vedrebbero gli USA avere solo l’obiettivo di sfruttare a loro vantaggio il petrolio iraqueno. Riportiamo allora quanto dichiarato, nella sua visita a Baghdad dei giorni scorsi, dal Segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, ha ribadito la necessità del varo della legge sul petrolio, "in modo da garantire un’equa distribuzione dei proventi fra i vari settori della popolazione". Anche le autorità irachene hanno smentito che la nuova legge favorisca gli americani, ma hanno riconosciuto che le aziende straniere potranno portare i profitti fuori del Paese. Il ministro del Commercio, Abed Falah al Sudani, ha dichiarato che le aziende Usa saranno tra quelle a partecipare alle gare di appalto ma che gli iracheni "opteranno per l'offerta migliore". In ogni caso spetta al parlamento iraqueno valutare tutte le obiezioni. Certamente, però, l’equa distribuzione è il punto focale della legge. Considerando che la legge deve essere, come detto ancora ratificata, tutto può accadere, ma certamente il presupposto è positivo. Anche il New York Times sul punto ha scritto che: È possibile che i gruppi di potere possano avanzare obiezioni. Ma se approvata senza modifiche — aggiunge il New York Times — la legge è destinata a mettere fine a un lungo dibattito sulla titolarità della gestione delle risorse petrolifere e dei loro proventi, contesa tra il governo centrale e le regioni periferiche dominate a nord dai curdi e a sud dagli sciiti. Anche i curdi infatti, che avevano già firmato autonomamente contratti con compagnie petrolifere straniere, sono stati accontentati. Il nuovo disegno di legge permetterà al Governo regionale del Kurdistan (KRG) di rivedere i contratti già firmati con le società straniere, per fare in modo che non siano in contrasto con i termini della nuova legge. Se la presenza miltiare straniere in Iraq ha un senso, questo senso è puntare al massimo della distribuzione dei poteri e soprattutto delle risorse, tra sunniti, sciiti e curdi e le altre minoranze.
 

 
luppo2
luppo2 il 28/03/07 alle 19:33 via WEB
Serse I, re della Persia, per anni si era preparato per riprendere la guerra contro la Grecia iniziata da suo padre Dario I. Nel 484 a.C. l'esercito e le navi di Serse arrivarono in Asia Minore e costruirono un ponte di barche sull'Ellesponto presso Abydos attraversandolo. Secondo Erodoto l'esercito di Serse era formato da circa due milioni di uomini seguiti da 1.200 navi, l’esercito più grande che il mondo avesse visto fino a quel momento, mentre il poeta Simonide lo stimava in circa tre milioni, anche se da studi più recenti è nata un'ipotesi secondo la quale l'esercito di Serse potesse contare su circa 200.000 uomini. Erodoto scrive anche che l'esercito bevve fiumi interi prosciugandoli e mangiò provviste destinate ad intere città. Queste erano ovviamente esagerazioni, ma è chiaro che i greci erano sovrastati numericamente in misura maggiore rispetto al precedente tentativo di conquista sfociato nella battaglia di Maratona. Le poleis greche riuscirono ad accordarsi per affrontare il pericolo e formarono un'alleanza guidata da Sparta, comandata dal re Leonida, e si prepararono a bloccare l'avanzata dell'esercito persiano nel nord della Grecia nello stretto passo delle Termopili. Il passo è fiancheggiato da un lato da montagne scoscese, dall'altro dal mare ed era quindi adatto alla difesa. All'iniziale distaccamento spartano di Leonida e della sua guardia del corpo, composta da 300 opliti, 2.800 peloponnesiaci e circa 900 iloti, si aggiunsero i rinforzi provenienti da altre città tra i quali 700 da Tespia, 400 da Tebe, 1.000 focesi e inoltre da Tegea, Mantinea, Orcomeno, Corinto, Fliunte, Micene e dalle altre città dell’Arcadia e della Beozia per un totale di 3.900 opliti, seguiti dai rispettivi scudieri che fungevano da fanteria leggera. Ai soldati fu detto che erano solo l'avanguardia dell'esercito greco che si sarebbe unito a loro al più presto. Le forze greche, per un totale di soli settemila uomini, iniziarono la battaglia nell'agosto del 480 a.C.; Leonida mirava a tenere il passo il più possibile per dare modo al resto delle città greche di radunare le loro truppe e navi. [modifica] La battaglia Serse non credeva che una forza così piccola sarebbe stata in grado di opporglisi, e diede ai greci cinque giorni per ritirarsi. Allo stesso momento anche la sua flotta non riusciva ad avanzare, bloccata dalle veloci navi ateniesi al cui comando si trovava Temistocle. Quando alcuni disertori dell’esercito persiano (per lo più greci arruolati con la forza) avevano dichiarato che i medi erano così tanti da oscurare il sole con le loro frecce, gli spartani risposero che almeno avrebbero combattuto all’ombra. Passati questi cinque giorni, visto che non mostrarono intenzione di ritirarsi, Serse inviò le proprie truppe nel passo, ma ogni ondata fu respinta. I Persiani attaccavano con frecce e corte lance e non riuscivano a rompere le formazioni degli opliti greci, armati di lunghe lance. La prima ondata ad arrivare sui greci fu quella dei medi comandata da Tigranes, che assaltarono con entusiasmo ma furono respinti con gravi perdite. La seconda ondata fu dei soldati provenienti da Susa equipaggiati con un grande scudo ma anche loro fallirono. Tentarono anche di aggirare il nemico dal lato della costa, ma molti caddero dalle scogliere. Il giorno successivo Serse schierò in campo le sue truppe d’élite, i diecimila Immortali, comandati da Idarne, che non ebbero maggior fortuna. I greci combattevano a turno concedendosi un po' di riposo da quel massacro, si accasciavano a terra sudati e sporchi di sangue per poi rialzarsi e tornare a combattere. Dopo il secondo giorno di combattimenti un greco dal nome Efialte disertò e tradì i greci, informando Serse dell'esistenza di un nuovo percorso, diverso, per superare il passo delle Termopili. La strada era difesa dai focesi che erano stati distaccati su quel passo due giorni prima. Essi però non si aspettavano un attacco dei persiani per cui, quando furono attaccati dagli Immortali di Serse, offrirono una ben debole resistenza prima di fuggire consentendo ai persiani di avanzare incontrastati. Leonida capì che ogni resistenza sarebbe stata inutile. Così l'11 agosto allontanò tutti tranne 300 spartani, assieme al contingente tespiano guidato da Demofilo che rimase per aiutare gli alleati nel tentativo suicida di ritardare l'avanzata dei persiani. Inoltre Leonida contava su un contingente di tebani ma, dopo alcuni combattimenti, essi tradirono in favore dei persiani. Quando i persiani chiesero di consegnare le armi, Leonida gridò che sarebbero dovuti venirle a prendere. Nonostante l'improbabile cifra, fornita dagli storici greci, di più di ventimila morti tra i persiani, compresi due fratelli di Serse (Habrocomes e Hyperanthes), alla fine Leonida venne ucciso. Per quattro volte il suo corpo fu catturato dai persiani e per quattro volte gli spartani lo recuperarono. Stremati, i greci si rifugiarono sul colle che sovrastava le Termopili per proteggere il corpo del loro re caduto. Serse ordinò che fossero finiti con gli archi per non perdere altri uomini.
 

 
luppo2
luppo2 il 26/03/07 alle 15:16 via WEB
Tra il settembre 1943 e l'immediato dopoguerra, le truppe partigiane jugoslave di Tito uccisero circa diecimila italiani. Una pulizia etnica ante litteram, dal momento che le finalità dell'eccidio non erano nè militari (le vittime furono in gran maggioranza civili), nè politiche (accanto a fascisti e repubblichini vennero giustiziati antifascisti italiani, anche di fede comunista). Le morti avvennero per fame, stenti ed esecuzioni nei campi di concentramento jugoslavi. E per il genocidio delle foibe: dove italiani, senza distinzione di età e sesso, furono gettati, spesso ancora vivi, dentro cavità naturali del paesaggio carsico, dette appunto foibe, dove volavano persono venti metri prima di toccare terra. Croati e sloveni hanno operato una gigantesca opera di rimozione e disinformazione su questi barbari avvenimenti. Gli stessi sloveni che sono già in una Comuità Europea che è un aggregato di solitudini senza storia, in attesa dell'ingresso della Turchia, o magari dell'Irak. Ancora più gigantesco e riprovevole il silenzio che la storiografia italiana prona all'egemonia culturale rossa ha gettato sulle foibe, tacciando di "provocatori" tutti coloro che osavano sollevare l'argomento. Dubbi sulle foibe sono stati avanzati in tempi recenti dal Capo dello Stato Presidente Giorgio Napolitano, precisamente in una lettera aperta a Il Manifesto del 2004, in cui ridimensionava l'argomento, usando peraltro l'espressione "tardivo revisionismo". Lo stesso Napolitano che oggi, solenne come un beccamorto, officia alle cerimonie del Giorno del Ricordo. Nel Giorno del Ricordo ricordiamo anche che Napolitano, nonostante la fama di migliorista, cioè di ex comunista di tendenze riformiste e occidentali, definì gli operai ungheresi in rivolta contro l'oppressione comunista, "teppaglia" controrivoluzionaria. Ricordiamo e vogliamo ricordare che la presenza del Presidente Napolitano alla rievocazione dei moti del '56 non è stata gradita dai reduci ungheresi, che ricordavano anch'essi. Non possiamo fare a meno di ricordare le parole di Franco Giordano (Rifondazione Comunista) di contrarietà all'istituzione di un Giorno del Ricordo per le foibe, nel terrore che questo possa ingenerare una pericolosa deriva "revisionista". La memoria delle foibe è stata gelosamente custodita dalla destra. Una destra spesso extraparlamentare, neofascista e impresentabile. Ma a cui l'omertà comunista ha consegnato su un piatto d'argento un cavallo di battaglia fatto di verità storica. Una destra che la storia rimossa delle foibe ha difeso in solitudine per decenni. Io oggi sento di rinnovare a questa destra, da una parte la mia avversione politica al mito neofascista, ma dall'altra il mio ringraziamento di cittadino italiano per questa meritoria battaglia storiografica e politica a favore del Paese e di una memoria condivisa. Oggi Io Ricordo.
 

 
diddlina9289
diddlina9289 il 18/03/07 alle 10:45 via WEB
ciao. rispondi al mio ultimo post....ti aspetto
 

 
DocGull
DocGull il 12/03/07 alle 15:49 via WEB
ricatti a danno di personaggi pubblici? ki fanno una pena ;)
 
 
 

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