Creato da artistaperlapace il 29/10/2006

L'arte, l'artista

"Nel poeta e nell'artista c'è l'infinito."

 

 

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IL  LAVORO  STANCA

Post n°16 pubblicato il 22 Aprile 2007 da artistaperlapace
 
Foto di artistaperlapace

Ho preso spunto dalla mia partecipazione alla esposizione "Incontri d' arte" nella ex manifattura di Cuorgnè ( To) Imponente cotonificio ottocentesco restaurato recentemente e oggi diventato spazio espositivo per l'arte contemporanea e sede del Museo Archeologico del Canavese. (La sensibilità delle forze politiche locali è riuscita ad acquisire gli edifici impedendone la dispersione speculativa e consentendo un corretto recupero di una delle più importanti testimonianze di archeologia industriale del Piemonte.)



La Manifattura di Cuorgnè divenne il maggior complesso piemontese per la lavorazione del cotone ed uno dei principali d'Italia con i suoi 1300 dipendenti ed una produzione di altissima qualità su tutte le gamme dei filati da meritarsi i più importanti riconoscimenti internazionali. Nel 1885 si iniziò la trasformazione delle turbine per la produzione elettrica, costruendo poi dighe e centrali che ancor oggi caratterizzano la Valle dell'Orco.

All'inizio del 1900 la Manifattura di Cuorgnè è la maggiore industria dell' Alto Canavese, VI LAVORAVANO RAGAZZINE DI 12 ANNI NORMALMENTE DALLE  12  ALLE 14 ORE AL GIORNO............................NEL RUMORE ASSORDANTE DEI TELAI.

Visitando l'edificio si nota come le stanze a pianterreno, specie quelle del fabbricato centrale, siano costruite con arconi e volte in robusta muratura: qui erano sistemate le prime fasi della lavorazione del cotone, con battitori di notevole peso e vibrazioni; nei piani alti, con pavimenti in legno sostenuti da eleganti colonnine in ghisa, avvenivano la ritorcitura, la filatura e le altre lavorazioni. Nel 1939 viene inaugurato un nuovo edificio di tre piani, il terzo impianto, prolungato nel 1949-50 fino a raggiungere una lunghezza complessiva di 140 metri. La recente crisi della lavorazione del cotone viene, nel caso di Cuorgnè, aggravata da passaggi a compagnie finanziarie che conducono alla chiusura degli impianti alla fine del 1991.

 

Omaggio alla raccolta di poesie "Lavorare stanca".

Pavese nasce a S.Stefano Belbo: qui il padre, cancelliere di tribunale a Torino, ha un piccolo podere che per tutta l'infanzia sarà per il figlio Cesare la sede, mitizzata poi nel ricordo, delle sue vacanze estive. Si laurea a Torino, sede dei suoi studi, con una tesi sulla poesia di Walt Withman. 1933 Comincia a lavorare, insieme a Carlo Levi, Massimo Mila, Leone Ginzburg e altri, alla casa editrice Einaudi.

Nel 1935 viene arrestato perché coinvolto in attività antifasciste. Condannato al confino a Brancaleone, in Calabria, vi resta fino al Marzo del '36. Inizia intanto a registrare un diario (Il mestiere di vivere).

Al ritorno dal confino sfiora il suicidio. La donna amata si era sposata. Nel '50 conseguì il premio Strega con il volume 'La bella estate'.
Qualche tempo dopo, esattamente la notte tra il sabato 26 e la domenica 27 Agosto, morì suicida in una camera d'albergo, l'hotel Roma, a due passi dalla stazione di Porta nuova a Torino.

Il suo primo libro - da lui stesso così considerato - fu Lavorare stanca(Firenze 1936; edizione definitiva, 1943), una raccolta di poesie che denotano nell'autore il riallacciarsi ad un ambito regionale, crepuscolare (accentuato in direzione popolaresca, dialettale in confronto con il parlato borghese crepuscolare).


Così spiega Cesare Pavese:

"... Contro il sospetto che il mio sia un piedmontese revival, sta la buona volontà di credere a un possibile allargamento dei valori piemontesi. La giustificazione? Questa: non è letteratura dialettale la mia - tanto lottai d'istinto e di ragione contro il dialettismo -; non vuole essere bozzettistica - e pagai d'esperienza - cerca di nutrirsi di tutto il miglior succo nazionale e tradizionale; tenta di tenere gli occhi aperti su tutto il mondo ed è stata particolarmente sensibile ai tentativi e ai risultati nord americani, dove mi parve di scoprire un tempo un analogo travaglio di formazione. O forse il fatto che ora non mi interessa più la cultura americana, significa che ho esaurito questo punto di vista piemontese? Credo di sì; almeno, il punto di vista come l'ho ottenuto finora.".1

Questi valori piemontesi sono ben evidenziati in tutte le sue opere. Per fare un esempio, la poetica di Lavorare stanca è di una sconvolgente novità rispetto agli ultimi modelli della tradizione ottocentesca, libera da ogni provincialismo.

... "Camminammo più di mezzora. La vetta è vicina,
sempre aumenta d'intorno il frusciare e il fischiare del vento.
Mio cugino si ferma ad un tratto e si volge: "Quest'anno
scrivo sul manifesto: - Santo Stefano
è sempre stato il primo nelle feste
della valle del Belbo - e che la dicano
quei di Canelli.". Poi riprende l'erta.
Un profumo di terra e di vento ci avvolge nel buio, qualche lume
in distanza: cascine, automobili
che si sentono appena; e io penso alla forza che mi ha reso
quest'uomo, strappandolo al mare, alle terre lontane, al
silenzio che dura.
Mio cugino non parla dei viaggi compiuti.
Dice asciutto che è stato in quel luogo e in quell'altro
e pensa ai suoi motori." ...
"Ma quando gli dico
Ch'egli è tra i fortunati che han visto l'aurora
nelle isole più belle della terra,
al ricordo sorride e risponde che il sole
si levava che il giorno era vecchio per loro."
2

Qui, viene accentuata in modo particolare la direzione popolaresca presa da Pavese, soprattutto nei versi 3/7 in cui rende pesantemente il suo campanilismo paesano e le sempre più presenti rivalità fra paese e paese. Il segno crepuscolare lo si nota subito dopo i sopraddetti versi: quel ritornare con la mente al paese dal quale egli è lontano - a causa del confino - lo rende malinconico e questo sarà l'inizio dello stile dello scrittore piemontese che fa riscontrare spesso nelle sue poesie e nei suoi romanzi quest'onda di malinconia.
A mio parere una delle più belle poesie di Pavese, forse la più profonda per maturità e serietà di ogni singola parola, maliziosamente inserita al posto giusto è sicuramente Esterno:

"Quel ragazzo scomparso al mattino non torna.
Ha lasciato la pala ancor fredda, all'uncino - era l'alba -
nessuno ha voluto seguirlo: si è buttato su certe colline.
Un ragazzo dell'età che comincia a staccare bestemmie
non sa fare discorsi. Nessuno
ha voluto seguirlo. Era un'alba bruciata di febbraio, ogni
tronco colore del sangue aggrumato. Nessuno sentiva
nell'aria
il tepore più duro.
Il mattino è trascorso
e la fabbrica libera ogni operaio.
Nel bel sole qualcuno - il lavoro riprende
fra mezz'ora - si stende a mangiare affamato. Ma c'è un
umido dolce che morde nel sangue e alla terra dà brividi
verdi. Si fuma
e si vede che il cielo è sereno e lontano le colline son
viola. Varrebbe la pena
di restarsene lunghi per terra nel sole.
Ma buon conto si mangia. Chissà se ha mangiato quel
ragazzo testardo? Dice un secco operaio,
che, va bene, la schiena si rompe al lavoro,
ma mangiare si mangia. Si fuma persino.
L'uomo è come una bestia, che vorrebbe far niente. Son le bestie
che sentono il tempo, e il ragazzo l'ha sentito all'alba. E ci sono
dei cani
che finiscono marci in un fosso. La terra prende tutto. Chi sa
se il ragazzo finisce dentro un fosso affamato? E' scappato
nell'alba senza fare discorsi, con quattro bestemmie, alto il
naso nell'aria.
Ci pensano tutti
aspettando il lavoro, come un gregge svogliato."
3

Un ragazzo dunque, un giovane operaio di una fabbrica da cui fugge in una fredda mattina di febbraio. Fugge perché nell'aria ha sentito qualcosa che nessun altro poteva sentire ed è corso a sdraiarsi sulle colline. Aveva sentito l'arrivo della primavera.
"Nessuno voleva seguirlo.".
Gli ultimi versi di questa poesia, fan capire che i compagni della fabbrica, nonostante le parole dure, sentono che quel ragazzo ha fatto qualcosa che non sarà facilmente accantonabile; ora avvertono dentro una pena nuova, un sentimento inquieto che non conoscevano.
Anche in questa poesia, come nella precedente, Pavese tiene ben evidenziato il titolo della raccolta originale, appunto Lavorare stanca, in quanto nella prima poesia, I mari del sud, vi è un sordo lamento, quasi un’eco lontana che narra la tristezza e la depressione nel vedere il sole sorgere all'alba quando il lavoro è già iniziato da tempo e, nella seconda poesia, Esterno, con tono pesante, ma finemente sarcastico, facendo notare che il lavoro in fabbrica rompe sì la schiena, ma permette di mangiare e "addirittura" di fumare.
Due tipi di stanchezza dunque: una di tipo fisico, accentuata maggiormente; l'altra una fatica mentale, l'arrugginirsi dei sentimenti verso la natura ed una rassegnazione alla propria condizione attuale, di stampo quasi leopardiano: "... e il naufragar m'è dolce in questo mar.".

 
 
 
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