La pattumiera

Post N° 16


 Non aveva ancora tre anni Ravi Shankar quando aveva preso a chiedere ai suoi genitori i giocattoli che aveva nell’altra casa, dall’altra parte della città. Sempre verso quell’età aveva sviluppato una fobia inspiegabile per i barbieri e i coltelli, come era inspiegabile il segno con cui era nato e che gli attraversava il collo da parte a parte. Era di colore più scuro rispetto al tessuto circostante, con le caratteristiche di una vecchia cicatrice da ferita di coltello, ormai guarita. Nell’altra casa, dall’altra parte della città vivevano un uomo e sua moglie affranti per la morte, avvenuta qualche anno prima, del loro unico figlio di sei anni assassinato da un barbiere e da un lavandaio. I due coniugi, venuti a conoscenza di quanto raccontava il bambino, si erano mossi per incontrarlo ed erano riusciti a portarlo nella loro casa nonostante la contrarietà del padre. Ravi Shankar aveva immediatamente riconosciuto la casa, la sua stanza, i giocattoli, la sua cuginetta e il posto lungo il fiume dove era stato trucidato il figlio della coppia. Aveva raccontato numerosi episodi della sua vita precedente e particolari della “sua” morte che collimavano perfettamente con quanto confessato da uno dei due assassini. A 18 anni Ravi Shankar aveva completamento dimenticato i ricordi della sua prima esistenza, aveva superato la paura dei barbieri e dei coltelli, e il segno si era spostato al di sotto del mento restando comunque chiaramente visibile come una linea ben distinta di pigmentazione più scura. (Caso esaminato da Ian Stevenson, professore di psichiatria e direttore dell’Istituto di parapsicologia dell’università della Virginia) Filosofi e scienziati cercano da millenni di scoprire se la personalità umana sopravvive, in una forma o nell’altra, alla morte: la teoria della reincarnazione, che gode di particolare favore nel mondo orientale, potrebbe essere la soluzione più logica ed esatta. Ad essa, fra gli altri, si sono dedicati eminenti studiosi come Pitagora, Platone, Kant.