Creato da tuacyrano il 25/11/2011

Tua Cyrano

piccante quanto basta, ma anche con un retrogusto un po' amaro ...

 

 

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Pensare veloci. Camminare lenti.

Post n°26 pubblicato il 27 Novembre 2011 da tuacyrano

Bisogna essere lenti come un vecchio treno di campagna e di contadine

vestite di nero, come chi va a piedi e vede aprirsi magicamente il mondo,

perchè andare a piedi è sfogliare il libro e invece correre è guardarne

soltanto la copertina. Bisogna essere lenti, amare le soste per guardare

il cammino fatto, sentire la stanchezza conquistare come una malinconia

le membra, invidiare l'anarchia dolce di chi inventa di momento in

momento la strada.

Bisogna imparare a star da sé e aspettare in silenzio, ogni tanto essere

felici di avere in tasca soltanto le mani. Andare lenti è incontrare cani

senza travolgerli, è dare i nomi agli alberi, agli angoli, ai pali della luce,

è trovare una panchina, è portarsi dentro i propri pensieri lasciandoli

affiorare a seconda della strada, bolle che salgono a galla e che quando

son forti scoppiano e vanno a confondersi al cielo. E' suscitare un

pensiero involontario e non progettante, non il risultato dello scopo e

della volontà, ma il pensiero necessario, quello che viene su da solo,

da un accordo tra mente e mondo.

Andare lenti è fermarsi su un lungomare, su una spiaggia, su una scogliera

inquinata, su una collina bruciata dall'estate, andare col vento di una barca

e zigzagare per andar dritti. Andare lenti è conoscere le mille differenze

della propria forma di vita, i nomi degli amici, i colori e le piogge, i giochi

e le veglie, le confidenze e le maldicenze. Andare lenti sono le stazioni

intermedie, i capistazione, i bagagli antichi e i gabinetti, la ghiaia e

i piccoli giardini, i passaggi a livello con gente che aspetta, un vecchio

carro con un giovane cavallo, una scarsità che non si vergogna, una

fontana pubblica, una persiana con occhi nascosti all'ombra.

Andare lenti è rispettare il tempo,

abitarlo con poche cose di grande valore, con noia e nostalgia, con

desideri immensi sigillati nel cuore e pronti ad esplodere oppure puntati

sul cielo perchè stretti da mille interdetti. Andare lenti è ruminare,

imitare lo sguardo infinito dei buoi, l'attesa paziente dei cani,

sapersi riempire la giornata con un tramonto, pane e olio.

Andare lenti vuol dire avere un grande armadio

per tutti i sogni, con grandi racconti per piccoli viaggiatori, teatri

plaudenti per attori mediocri, vuol dire una corriera stroncata da

una salita, il desiderio attraverso gli sguardi, poche parole capaci di

vivere nel deserto, la scomparsa della folla variopinta della merci e

il tornar grandi delle cose necessarie.

Andare lenti è essere provincia senza disperare, al riparo dalla storia

vanitosa, dentro la meschinità e ai sogni, fuori dalla scena

principale e più vicini a tutti i segreti.

Andare lenti è il filosofare di tutti, vivere ad un'altra velocità, più vicini

agli inizi e alle fini, laddove si fa l'esperienza grande del mondo,

appena entrati in esso vicini al congedo. Andare lenti significa poter

scendere senza farsi male, non annegarsi nelle emozioni industriali,

ma essere fedeli a tutti i sensi, assaggiare con il corpo la terra che

attraversiamo. Andare lenti vuol dire ringraziare il mondo, farsene

riempire. C'è più vita in dieci chilometri lenti a piedi che in una rotta

transoceanica che ti affoga nella tua solitudine progettante,

un'ingordigia che non sa digerire.

Si ospitano più altri quando si guarda un cane, un'uscita da scuola,

un affacciarsi al balcone, quando in una sosta buia si osserva un

giocare a carte, che in un volare, in un faxare, in un internettare.

Questo pensiero lento è l'unico pensiero, l'altro è il pensiero che

serve a far funzionare la macchina, che ne aumenta la velocità, che

si illude di poterlo fare all'infinito.

Il pensiero lento offrirà riparo ai profughi del pensiero veloce, quando

la macchina inizierà a tremare sempre di più e nessun sapere riuscirà

a soffocare il tremito.

Il pensiero lento è la più antica costruzione antisismica.

Bisogna sin da adesso camminare, andare a piedi, guardare lentamente

le casa, scoprire quando il loro ammucchiarsi diventa volgare, desiderare

che dietro ad esse torni a vedersi il mare. Bisogna pensare la Misura

che non è pensabile senza l'andare a piedi, senza fermarsi a guardare

gli escrementi degli altri uomini in fuga su macchine veloci. Nessuna

saggezza può venire dalla rimozione dei rifiuti. E' da questi, dal loro

accumulo, dalla merda industriale del mondo che bisogna ripartire se

si vuole pensare al futuro. I veloci, i progettanti, i convegnisti, i giornalisti

consumano voracemente il mondo e pensano di migliorarlo. La lentezza

sa amare la velocità, sa apprezzarne la trasgressione, desidera anche

se teme (quanta complessità apre questa contraddizione!) la profanazione

contenuta nella velocità, ma la profanazione di massa non ha nulla della

sacertà che pure si annida nel sacrilegio, è l'empietà senza valore, un

diritto universale all'oltraggio. Nessuna esperienza è più stolida della

velocità di massa, della profanazione che non si sa.

 

Ringrazio Sergio S., per avermela fatta conoscere ...

e nel riproporla in questo blog,

lo bacio.

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Di me si è detto tanto, che sono una randagia, una ribelle, 'na folle ed una schiva - si è detto praticamente troppo, ma ancora per fortuna non è tutto ... abbiate quindi pazienza e vi fornirò nuovi aggettivi per descrivermi, poi che sian veri o meno poco importa, quel che conta si dice "è che se ne parli!". Io intanto, seduta davanti al mio portatile, scrivo quel che penso e mi passa per la mente.
 
 

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