ancora pezzettini
Quasi una pizza margherita... ma senza pomodoro
Mi piacciono le parole...mi piacciono più di quel che mi piace la gente...
le mie parole (a volte) piacciono alla gente...più di quanto piaccio io...
e comunque...sono le mie parole,sono mie queste parole...le partorisco io...ma non sono io...loro hanno una vita diversa...le partorisco,vero,ma come i figli (che non ho né avrò)fanno poi la loro vita...propria e sua...come detto,diventano molto,troppo,tanto,diverse da me... a me piacciono le parole...a volte il senso a volte il suono a volte il disegno che fanno sulla carta,a volte il disegno che fanno sui miei pensieri... e sembrano chiare le parole,sembrano obiettive... sembrano,solo sembrano...il senso non è mai lo stesso per tutti... sembra,solo sembra... è quello che un po’ mi fa soffrire, o qualcosa come soffrire...perché ogni parola porta un senso diverso per ognuno...sembra lo stesso il senso,ma solo sembra...
dico viaggio e fioriscono sensi dappertutto...e fioriscono pure parole intorno attorno sotto e sopra,e fioriscono sensi dappertutto, e per ognuno il senso è altro,e viaggio, luce, amore, casa,piscina,porta,ascensore,locomotrice...scappano...non sono le stesse per me che per gli altri...dico viaggio luce amore casa piscina porta ascensore locomotrice e il profumo è diverso per ognuno...e tutto scappa e tutto scorre e dico scappare e scorrere e scappare e scorrere fioriscono ed il profumo è diverso per ognuno...
a me piacciono le parole...a volte il senso a volte il suono a volte il disegno che fanno sulla carta,a volte il disegno che fanno sui miei pensieri... ma pure il suono è sempre altro... ritmo... respiro... e pure disegnate sulla carta son diverse...chi tratti lunghi,chi piccoli tratti,chi tondo,chi ordinato...e poi sul pensiero,diverse pure... ma adesso vado a nanna,sono stanca... anche se il mio "stanca"… solo io so cosa significa...
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Post n°537 pubblicato il 10 Luglio 2011 da messaggeria.normale
Erano poche le persone a frequentare quel corso d'italiano per stranieri nelle vicinanze di piazza Solferino. Un paio d'anime affamate di parole benedette tra cui la signora Ippolitakis era senza dubbio la più famelica. Era arrivata in Italia non si sapeva da dove e non si sapeva da quanto. Anzi, nessuno sapeva perché la chiamavano "signora". Nel dito non c'era la fede e nessuno avrebbe mai potuto confermare esattamente la sua età. Anche se tra gli altri studenti ogni tanto se ne discuteva, (Trenta? Cinquanta? Dodici? Centomila?), neanche uno aveva mai osato domandarne. Perché certe domande, si sa, non devono mai essere fate. E va bene così. La signora Ippolitakis arrivava col quaderno e la matita e si sedeva silente nel primo banco. Per assorbire tutte le parole e non smarrire nessuna, che tutte erano pecore bianche per lei, anche le più nere parole della lingua. Ah la signora Ippolitakis, la studente più accanita della città. Era successo che una volta, molto o poco tempo fa ( questo dettaglio non si sa), l'avevano raccontato di una città triste. E forse per quel motivo l'aveva scelta. La tristezza non le era un peccato sconosciuto. Oppure solo aveva scelto di non scegliere e dopo un paio di voli di finta farfalla, il suo dito insicuro si era posato in un punto preciso su un vecchio mappamondo. Torino. Un paio di centimetri più all'ovest e adesso la signora Ippolitakis si scioglierebbe in un appiccicoso "oui" francese. Un paio di centimetri in giù e la signora Ippolitakis cercherebbe di ripetere il succoso suono di un "shucron". Ma Torino fu. Una città malinconia e un po' grigia che senza dubbio le donava e dove ogni giorno si innamorava della lingua musicale del buon Dante. Il professore scriveva con lentezza a stampatello ed in maiuscolo sulla lavagnetta verde. ASSAGGIARE E pronunciava la parola con cura, come se lo facesse per la prima volta, assaporando ogni sillaba. Sorprendendosi ancora, malgrado l'abitudine. ASSAGGIARE "Cosa vi viene in mente"? "Cioccolato", disse subito la signora Ippolitakis. E gli occhi le brillavano, scuri come il cacao. "Parola" sussultò, ma un po' si vergognò del suo intervento. "Assssssaggggggiare", si sforzava, anzi, si deliziava la signora Ippolitakis chiudendo gli occhi. "Mandarino" "Labbra" "Lo sguardo di un marinaio che torna a casa dopo secoli di non esserci" "Amore e Psiche di Canova" "Taormina" "Tuffo nelle tue braccia", esplodeva la signora Ippolitakis dimenticando che intorno gli altri studenti la guardavano, un po' beffardi. "Ciliegie" "Le rovine di Volubilis" "Vento colmo di profumo di lavanda", non si fermava la signora Ippolitakis, come se non sapesse cosa fosse un ancora, come se non sapesse che di mongolfiere. (Certi giorni, la signora Ippolitakis vorrebbe che la sua classe d'italiano non finisse mai.) Valentina Einaudi,"La signora Ippolitakis impara ad assaggiare", Feltrinelli, 503 ac p.45. La musica (Variazioni Goldberg - Glenn Gould) La voglia di scrivere non è quella di altri tempi. Anzi, spesso la voglia in generale non è che un ricordo sgualcito. Il vuoto per adesso resta solo vuoto, perché nemmeno le parole... Passerà, si spera... |
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L'amore ha sempre fame
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. Avrebbe voluto porsi delle domande, ma preferiva che restassero domande mai FATTE, domande di una STUDENTESSA dell'idioma di Dante.
I suoi anni precedenti non erano stati belli. Si era trovata in una situazione incasinata che voleva allontanare da sé. Cosa meglio dell'Italia, con la sua arte e la sua gente? Vedere e vivere i luoghi dove erano nati tanti capolavori. “Amor ch' a nullo amato amar perdona”. Si era impressa nella mente queste parole del sommo poeta, e le trovava profondamente vere ….......
:-)
Ciao, Gabriela :-)