Parole in confusione

la marchetta


Si parte da ieri, ancora una volta, per non raggiungere mai il presente fatto di tasti che sbattono. Una giornata rovente. La sveglia, il solito teatrino da ossa indolenzite e un’occhiata allo specchio, per confermare quei capelli rimasti indietro sullo shampoo, insieme alla barba, dispendiosa, nel fattore tempo, da tenere sotto controllo. I miei panni, puliti ad inizio settimana, che ora si portano addosso quella sensazione di polvere, dedica perenne del magazzino. Le gocciole, tuffate nel latte, che hanno ripristinato una routine spezzata dalla ciambella tagliata a fette, della nonna, comprata da mia madre all’Ipercoop poco prima della partenza. La giornata è quasi primaverile e solo il vento riesce a farsi riconoscere come estraneo alla scena. Nel piazzale e sulla strada chiusa che lo rende accessibile si alza un gran polverone, come un colpo di scopa arrivato dal cielo. La plastica semi-trasparente, usata per tenere insieme i palet dei piatti doccia, in bella mostra sulle scansie all’aperto, rilascia un leggero rumore dovuto a quelle strisce mal tagliate che friggono come bandiere all’aria. La scena mi appare così, mentre chiudo la sponda del daily e tolgo subito lo sguardo per non riempirmi gli occhi di tanti, piccoli, dolori lancinanti. Sono pronto per partire, ancora una volta. Nella tasca destra dei pantaloni ho i miei fogli, figli delle tante ispirazioni e dei momenti di scrittura che riesco a prendermi nel tragitto tra una meta e l’altra. Guidare mentre si scrive e viceversa non sembra una bella idea da mettere in pratica ma ho trovato il modo di farlo in relativa sicurezza, senza togliere gli occhi dalla strada e una mano dal volante. Questo spazio ritagliato con l’incoscienza mi aiuta ad arrivare alla fine della giornata fino a quando, almeno, la giornata non finirà fatalmente prima. Ma continuo a sperare che non succeda. Dovevo andare a Riolo Terme (RA) e il Pub Gold Win è proprio sulla strada. Non sono riuscito a non fermarmi. Scendo al volo ed entro trovando prima le solite anime disperate attaccate alle macchinette mangia soldi e poi Angelo, dietro al bancone. Premetto che non dovrei essere li. Parliamo 5min. e alla fine me ne esco con una data per il gruppo scritta con l’inchiostro blu sul poggia birra della Paulaner. Ero certo che non ci sarebbero state molte difficoltà. Poi le consegne, il pranzo da mia nonna, senza passare da casa, la palestra e di nuovo l’ultima parte del lavoro. Ritrovo la buchetta delle lettere che offre un po’ di zavorra come compagnia fino alla soglia. Entro, mangio qualcosa, mi faccio la doccia, nuovi abiti e arrivo alla lezione di piano in ritardo. Non avendo avuto occasione di toccare un singolo tasto della tastiera dall’ultima volta in terra di Venezia, che terra non ha, ci siamo dedicati ad una prova volante della scaletta del concerto che ci aspetta da lì ad una settimana. Alle 20 sono fuori e Amedeo è gia nel parcheggio che mi aspetta per prendere l’asfalto verso Forli (FC). Carichiamo il suo ampli, il basso e poi via, verso questo primo concerto di un nuovo corso. Era la serata della data al Pub Pride di Forlì, pieno di incognite in merito, soprattutto, all’affluenza di pubblico direttamente proporzionale al compenso da incassare alla fine dei giochi. All’altezza di Faenza (RA) ci raggiunge la telefonata di Marco che non lascia presagire niente di buono. Siamo gli ultimi ad arrivare, visto il mio impegno d’apprendimento, e troviamo tutti fuori, sul marciapiede. Il locale è chiuso e non abbiamo nessun numero da chiamare. Mi sembra impossibile anche se non sarebbe la prima volta che una data mi salta all’ultimo momento. La conferma a mezzo telefonico di una settimana prima però mi dava ancora un briciolo di speranza. Aspettiamo una decina di minuti e finalmente qualcuno del locale viene ad aprirci. Possiamo montare e fare le prove nel poco tempo e poco spazio a disposizione. Togliere la filodiffusione proprio non riescono a capire che è il minimo sindacale richiesto per fare i suoni. Torniamo al tavolo per le ordinazioni, da tenere separate rispetto al resto degli amici che ci sono venuti a sentire in uno slancio di generosità o di non avere niente di meglio da fare. Aspettiamo un po’ ma l’affluenza decisamente inaspettata di personalità al di fuori della comitiva ci convince a partire col concerto. Per la prima volta non ci viene chiesto di abbassare i volumi. Ritrovo Franco, organizzatore di spettacoli e attrazioni (stando al biglietto da visita) che non rivedevo da quella serata passata ad interpretare il capo giuria di una fase del concorso canoro “Una rotonda sul… “. È passato quasi un anno. Quasi per dovere, almeno così ho inteso il suo atteggiamento, mi chiede un biglietto da visita e informazioni sul gruppo con cui suono perché forse ha una situazione per cui potremmo andare bene. È in giro per promuovere la sua attività e trovare locali con cui avviare collaborazioni varie. Scambiamo due parole tra un momento e l'altro. C’è molta ruggine ancora da togliere ma alla pausa ci arriviamo bene. I panini sono sul tavolo col contorno di patate fritte che aspettano un padrone. Ritorna la filodiffusione e ce ne possiamo prendere cura. Il mio hamburger è freddo ma me lo immaginavo vista l’attesa, quello che non mi aspettavo è la miseria che si portava dietro o meglio, dentro. Carne macinata tra due fette di pane e basta. Non una fogliolina di insalata, non una striscia di pomodoro. Mi rimane sullo stomaco. Torniamo ad imbracciare gli strumenti ma non è più lo stesso. Il locale piano piano si svuota ed è tempo di caricare, di nuovo, le macchine. Vado alla cassa per definire quell’incognita del compenso. Il gestore prende una strada molto lunga e non posso far altro che starlo ad ascoltare. Gli siamo piaciuti: – “Un repertorio di brani conosciuti poi aiuta, non come quelli che vogliono fare anche pezzi loro che la gente poi non conosce…” Gli ho risparmiato l’imbarazzo di fargli notare che la nostra scaletta comprende per metà canzoni originali. Mi è venuto il sospetto che avesse prestato più attenzione al numero di persone che scaldava le sedie rispetto alla qualità delle note che gli stavamo suonando nelle orecchie. Mi propone una data per la tarda primavera e poi l’idea di organizzare un ciclo di 4 serate con gruppi della mia zona che dovrei trovargli io. Portare gente è sempre il fino ultimo, la musica sta da un’altra parte, come spesso accade. Queste persone non vogliono capire cosa significa fare una programmazione utile e che solo lavorare in un certo modo porta ad avere risultati duraturi. Alla fine gli strappo una promessa da 100Euro, la stessa cifra che riesco a mettermi nel portafoglio per la serata appena passata, come minimo sindacale, indipendente dal consumo di birra. Ci sentiremo presto. Finalmente si torna a casa. Il letto dell’1.30 e la sveglia pronta a suonare, sul comodino.