Parole in confusione

Una mattina difficile da conquistare


Ieri mattina si trattava di abusare un po’ della mia qualifica, non ufficialmente riconosciuta, di “Corriere”. Prima a Riolo Terme (RA), per una consegna e quindi alla filiale di Bologna per uno scambio di materiale vario. Prendo l’autostrada a Faenza (RA), restando interdetto sul vantaggio che credevo di essermi conquistato con la scelta. Affondo l’acceleratore, senza violare il limite, restando costantemente sulla corsia centrale, con qualche sconfinamento di tanto in tanto sulla terza, per lasciarmi alle spalle qualche camion in sorpasso e una donna al cellulare, con l’obbiettivo di rispettare l’orario del mezzogiorno. Arrivo in località Cicogna (BO) intorno alle 11.20, con buone sensazioni riguardo alle mie intenzioni. Purtroppo c’è poca collaborazione e devo aspettare. Faccio un salto al bagno dove riesco a prendermi anche il tempo per leggere il cartello scocciato sopra la cassetta. Devo caricare anche della ghisa e, nonostante i piedini buttati giù, la sponda non da proprio segni di potercela fare a sorreggere quel bancale da 90 elementi (a 5 colonne) + 10 (a 4). Ci tocca spezzare il carico, sbancalando su un nuovo palet. L’operazione va in porto. Al momento di stampare la bolla di trasporto mi accorgo della voce “rotolo rame…” che proprio non avevo con me. Mi tocca riaprire e prendere altri tre bancalini. Scelgo per un ritorno sulla via Emilia, visto il carico e la frenata allungata che non è molto rassicurante da tenere in considerazione sull’autostrada. Mi permetto una piccola sosta, visto il rumore strano avvertito al momento di fermarmi nei pressi di un semaforo che non mi aveva regalato tanti buoni pensieri. Oramai la mia puntualità è andata a farsi friggere e posso tranquillizzarmi in vista della mezz’ora di straordinario da recuperare. Il pranzo prevede spaghetti col pesce ed è una bella pausa. Riesco a visitare la palestra e di nuovo il lavoro per tre ore e mezza. Al ritorno a casa ritrovo mia madre con problemi di nausea da sfogare inginocchiata davanti alla tazza. Mentre io avverto solo un leggero disturbo alla pancia mio padre non da alcun segno di cedimento. Evitiamo allora l’ipotesi da imputare al pesce. Le mie condizioni intanto peggiorano lentamente ma inesorabilmente e al momento di uscire, per assistere a Milan-Celtic in compagnia di Alex, avverto già qualche brivido scomodo venirmi a scuotere. Non rinuncio per via della mia testardaggine e all’inizio del secondo tempo sono costretto a correre in bagno, cercare disperatamente la luce e lasciare alzare il velo pendulo, dando sostegno col diaframma, per vomitare come si deve. Tre, quattro scariche e sto di nuovo meglio. Non ho sporcato ma mi dispiace aver creato disturbo visto che potevo starmene tranquillamente a casa. La salute ritrovata dura poco e sono costretto ancora una volta nello stesso posto, dando un volto all’aspetto degli spaghetti dopo 10 ore di digestione. La fine dei tempi regolamentari mi porta al ritorno verso casa. Accetto la disponibilità di Alex a farmi d’autista e al momento della scelta del tragitto non ho da obbiettare sulla sua scelta della parte con le rotonde, anche se un pensierino ce lo faccio. Non arrivo comunque a farle tutte di fila. Gli chiedo di accostare nei pressi dell’ospedale nuovo e mi accorgo che non ho più molto da dare anche se il mio fisico lo richiede. Finalmente a casa. Alex aspetta in strada il suo appuntamento delle 23, rinunciando alla mia offerta di ospitalità del frattempo. Lo saluto, lo ringrazio e mi scuso ancora per il disturbo. In casa so dove trovare la luce del bagno senza regalarmi quell’incertezza da starnuto imminente con il fazzoletto di carta da riuscire a spiegare in tempo. Sono veramente ridotto ad uno straccio. Provo la febbre e la temperatura si stabilizza intorno ai 38 gradi. Provo a dormire ma la situazione non migliora. All’1.30 o giù di lì vado in cerca del bagno, a tentoni, con l’equilibrio totalmente falsato e il tatto a cercare di restituire un senso a quell’idea del bagno che conservo da più di vent’anni. La nausea arriva e mi arrendo, fiaccato senza più la forza di reagire, vomitando anche quel bicchiere d’acqua preso per placare la sete prima di distendermi. Sono esausto. I miei genitori si sono alzati per starmi vicino perché in certi casi non si può fare granché. Decido di togliermi il pensiero del lavoro mandando un messaggio a Ivan, non avendo ritrovato, nonostante la prolungata ricerca, il biglietto da visita del capo filiale. Torno tra le coperte ma i secondi sembrano pesare come ore e questa cattiva notte non ne vuole proprio sapere di finire. Per allietare la ricerca di serenità ci si mette anche una zanzara ad esprimermi la sua solidarietà. Prendo sonno e mi sembra di dormire per un giorno intero ma sono solo una manciata di ore da affidare all’incoscienza. Ho bisogno di bere, una sete avida ma devo evitare viste le recenti conseguenze. Mia madre cerca di alleviare quella sofferenza dosando l’acqua con un cucchiaino, bagnandomi le labbra. La notte non è ancora finita e intorno alle 3 posso solo rimettere quel poco di succhi gastrici o addirittura niente, avvertendo un forte dolore ai reni e alla gola. A questo punto decido di dedicarmi alla bottiglia dell’acqua minerale visto che privarmi del suo piacere si è rivelato completamente indipendente dal mio inginocchiarmi. Non ho più incontri ravvicinati con la tazza del cesso, anche se la mattina è ancora difficile da conquistare.