Parole in confusione

a spasso per un sabato


Un sabato mattina, quello di ieri, allietato, ancora una volta, dalla sveglia imposta dallo straordinario dell’azienda a cui, a turno, bisogna prestarsi. Avrei dovuto presenziare al prossimo ma, vista la trasferta padovana per questioni musicali, che mi attendeva, ero stato costretto ad elemosinare un cambio dell’ultimo minuto. Sveglia puntata allora e ancora i panni da prendere in prestito all’anta dell’armadio. A questo giro mi tocca la compagnia di Max e non è un male soprattutto visti gli ultimi chiarimenti, utili a spazzare via le nuvole di un malcontento, il suo nei miei confronti, riguardo al mio modo di intendere il lavoro. I resti di quei 150 Euro di Dolce&Salato+aperitivi, offerti dal partner Ridgid, che avevo stipato nella Punto il venerdì pomeriggio, offrivano una comoda e ancora decente possibilità di colazione. Nonostante il mio solito “Gocciole tuffate nel latte freddo”, resistere alla tentazione di quei piccoli panini, dall’autonomia di un boccone e poco più, non era cosa molto semplice. Qualche cliente, lavori lasciati inevitabilmente indietro e posso finalmente abbassare i finestrini della Yaris per far entrare un po’ di aria fresca, mentre mi lascio portare fino al pranzo della nonna. Più che altro un pretesto per passarla a trovare visto quel mangiare senza fine sostenuto ad ogni passaggio dal bancone, ad intervalli regolari. Alle sue tagliatelle al ragù è comunque difficile dire di no. A casa mi aspetta la doccia e la partita di rugby, l’ultima del 6 nazioni di quest’anno. L’Italia rischia addirittura di vincerlo ma l’Irlanda fa capire che ci vuole provare anche lei e alla fine il risultato non lascia scampo. È pur vero che la lunga lista degli indisponibili ha lasciato sul campo una squadra che non poteva contrastare la giornata di grazia degli irlandesi, non annebbiati da quel San Patrizio che spalanca fiumi di birra. Mi attende un colloquio di lavoro, ad un orario indefinito del pomeriggio e, la fine delle speranze di poter mettere il naso avanti nel punteggio, me lo quantifica intorno alle 17. La settimana appena passata mi aveva lasciato la certezza che prima o poi prenderò un’altra strada e, l’idea di poter fare una chiacchierata in questo senso, non poteva che rendermi ben disposto. Bicicletta sotto il sole che acquista sempre più il significato della primavera e in cinque minuti sono lì a far scorrere le porte automatiche. Nel piccolo spazio adibito ad ufficio, di fianco alle casse, stringo la mano al signor Umberto. La persona mi lascia subito una bella conferma a quell’impressione di estrema schiettezza ricevuta attraverso la telefonata. Parliamo entrambi fuori dai denti e arriviamo anche ad affrontare argomenti che con il lavoro del commesso proprio non c’entrano granché, come la guerra, la famiglia, l’amore… ma tutto serve per capire con chi si sta parlando. Forse il colloquio più singolare a cui abbia prestato la mia persona. Sul piatto gli offro la mia disponibilità sottomessa a quella considerazione concreta dell’università ancora da venire e delle caratteristiche da turno unico che sto ricercando. Dalla sua, l’illustrazione dell’organico e la possibilità di un inserimento con contratto da tirocinio per quattro mesi e poi di apprendistato per altri quattro anni. Ci salutiamo con la solita stretta di mano anche se l’impressione che non sarebbe poi così idilliaca come soluzione mi sorprende, lampante. Il primo ricordo di mia madre sul posto di lavoro mi arriva proprio da quel luogo che una volta era Coop, prima di trasferirsi nei nuovi locali ribattezzati “Centro Leonardo”. In fondo, sulla sinistra, vendevano gli affettati. Tutti facevano un po’ di tutto, come succede nelle piccole realtà ancora a misura di persona. Alle volte l’andavo a trovare, accompagnando mia nonna o mio padre e qualche fetta di prosciutto crudo inevitabilmente finiva nelle mie mani che portavo alla bocca, seduto su una delle scansie libere, di fronte al bancone. Ritrovarmi proprio li, a distanza di tanti anni, con un camice addosso, mi sembrava potesse significare qualcosa d’importante. Un’esperienza di vita dal lato del sentimentale che mi sarebbe piaciuto fare, al di la del lavoro in se. Vedremo se ci sarà la possibilità. La sera mi aspetta Nicola e un sabato finalmente da passare insieme anche se i vecchi tempi sono lontani. Mi accoglie con la barba lunga e i capelli un po’ in disordine da ragazzo in pari con l'amore, mentre sulla tavola apparecchiata appoggio quel take-away cinese che uso portarmi sempre in dote. Non è un atto di maleducazione o di non affezione alla sua tavola ma un rito che si consuma oramai da sempre, con Kurt, il suo cane, che si apposta al mio fianco aspettando il pollo fritto, che gli allungo, cadere dal cielo. Dopo l’arrivo di Deggio, partiamo per un locale nuovo dell’imolese, il “Forum”. In ogni caso dovevo tornare e visto l’entusiasmo di Nicola nei confronti di questa nuova conoscenza non me la sono sentita di insistere più di tanto per qualche stecca al Tequila. Arriviamo e l’età media è decisamente alta. Il locale che dovrebbe, da li a poco, trasformarsi in disco pub, offre la solita difficoltà di spostamento, il DVD spogliato dell’audio di un live di Lenny Kravits, a cui si sovrappone un deejay con le sue scelte personali e un bancone a cui attingere vari cocktail in risposta ad ogni carta da 5 euro. Mi dedico alla solita cosa che posso fare in un locale pubblico, guardare. L’offerta femminile è decisamente rarefatta e di dubbio gusto tanto da farmi pensare all’immagine del “raschiare il fondo del barile”. Sono stanco e senza passatempo e il giorno dopo mi aspetta un’importante trasferta a cui voglio arrivare in forma smagliante. Saluto Deggio e Nicola che mi accompagna alla macchina. Il prossimo fine settimana forse sarà “Cafè Sant’Angelo”, a Bologna, facendo sempre i conti con quel difetto dell’imprevisto a cui mi ha abituato. Ma agli amici, quelli veri, si perdona sempre tutto.