Parole in confusione

Mantova, finalmente


"Continuai a camminare lasciandoti attrice di ieri..." (Mogol/Battisti)Seconda ParteIn macchina ascolta Elisa e tutto il mio entusiasmo va scemando, cercando un modo ragionato per confrontarmi con lei, impostare una conversazione, riempire quella sensazione di incapacità a farla sentire a suo agio, come vorrei, che riesco d avvertire così bene. Non sento più quella vena d’ispirazione naturale pulsare ed è triste perdere qualcosa. Arriviamo in anticipo, troppo in anticipo e così prendiamo qualche passo in giro per il paese. Ha una farfalla che le tiene in ordine i lunghi capelli castani, soccorsa da altre due mollette sbilanciate solo da un lato. La catenina al collo è sempre quella dell’ultima volta, mentre intorno ai bluejeans una sciarpa di stoffa le fa da cintura, stretta sotto quella parte di pelle lasciata scoperta fino alla maglietta nera. Il maglioncino diventa ben presto inutile come la mia felpa e arriviamo a sederci sotto il sole, in prossimità della nostra prenotazione, su una panchina di pietra sul bordo della strada deserta. Parliamo e scendiamo tra le storie personali, le sue sensazioni a proposito di quel ragazzo che l’ha lasciata sola, li con me, fanno riaffiorare così bene tutte quelle passate nel percorso dell’accettare che il ricordo di Anna fosse solo un ricordo. Riesco a capire il suo momento e mi dispiace saperla costretta ad affrontare tutto quello che lascia indietro l’amore. Entriamo e ci sediamo, vicino alla finestra come piace a lei. Mi sento già più a mio agio e anche se potrebbe essere imputabile al cibo so non essere così. Decidiamo per il menu dello chef che oltre all’antipasto di bruschette prevede un primo diviso tra un risotto con gocce di tartufo e i bigoli alla mediterranea. Siamo già pieni ma il secondo incalza con la tagliata, le verdure grigliate e le zucchine fritte nella pastella. Il menu fisso prevedrebbe anche un dolce a scelta ma sono proprio impossibilitato a fare uno sforzo in quella direzione e rinunciare coscienziosamente al cioccolato è un segnale importante, per chi mi conosce. Lasciamo il paesino e torniamo alla città della moda, vista la richiesta di soccorso economico di una sua amica, uscita di casa senza portafoglio, che lavora proprio in uno di quei negozi del quartiere dedicato al commercio. Intanto qualche ricordo è stato messo in cassaforte e non è così difficile sentirsi a proprio agio nonostante la distanza e quella necessità di capire che continuo ad avvertire. Parcheggiamo ed entriamo in questo quartiere del commercio che mi impressiona un po’ per quello che significa. Mi sembrano uno spreco tutti quei metri quadri dedicati solo a negozi, spazio occupato dai vestiti e dai vari punti di ristoro. Faccio fatica ad accettarne l’idea. La pausa pranzo dell’amica si esaurisce in fretta e possiamo finalmente puntare al piatto forte, il centro storico della tanto sospirata Mantova. Corinna è armata di cartina, il libricino mi ricorda quelli che si portava dietro Anna durante le nostre vacanze, pieno di cenni storici ma non ci faccio troppo caso. Passeggiare con lei per il centro è piacevole e mi verrebbe voglia di portarle una mano a stringerla, intorno a quella vita scoperta, ma mi trattengo per quanto la mia educazione, in conflitto col desiderio, me lo permette. Raccolgo il suo profumo e capisco quanto sia importante per il mio sorriso a fianco di una ragazza. Attraversiamo le vie e le costruzioni più meritevoli, armati di macchina fotografica per lasciar fluire almeno quella passione. Una piccola pausa sulla panchina dei giardini mi regala uno scorcio del suo profilo e del sole che sta volgendo al termine della corsa. Sulla panchina vicino due signore, di mezz’età e un po’ oltre, che non finiscono più di spettegolare mentre dall’altra parte una giovane coppia che si bacia. Lei mi fa ricordare quanto riusciva a infastidire anche me il dover assistere all’intimità altrui, nel mio primo momento di solitudine lontano da Anna. Adesso non è più così e quel disturbo sento non appartenere a Giulia. Non so se pensarlo come ad una sensibilità perduta. Stare su quella panchina mi faceva stare bene ma il mio desiderio non poteva essere il suo, lei che sentiva il bisogno di riprendere il cammino. La sera volgeva al termine e l’ultimo parcheggio aveva preso forma. Il mio desiderio di non lasciare niente in sospeso mi aveva portato a spalancare i rubinetti del ragionamento, mescolando gettate di acqua fredda e calda, senza ritegno. Dentro, la mia grande confusione che non poteva trovare un filo logico con le parole del momento. Sapevo che avrei dovuto salutarla semplicemente con la promessa di sentirci presto, per un’altra uscita ma dovevo almeno cercare di capire a cosa aveva portato quell’incontro. L’unica certezza era che non lo potevo sapere. Dopo mezz’ora in macchina i miei discorsi non portavano a nessuna conclusione degna di nota e non riuscire ad essere chiari, nemmeno con se stessi, è difficile da fronteggiare. Sapevo che, da parte sua, sicuramente un interesse nei mie confronti non esisteva ma, non avevo avuto bisogno della sua esternazione per capirlo. Il momento emotivo che stava attraversando era così chiaro ai miei occhi che non poteva lasciare spazio a fraintendimenti. Da parte mia forse ricercavo solo il desiderio di sentirmi amato. L’ultimo abbraccio significava la promessa di non risentirsi più. Una mia scelta dovuta al problema della voglia di rivederla, probabilmente incompatibile con quella figura di conoscenza che sicuramente non potevo vederle addosso. Altra tristezza d’abbandono da aggiungere per non rischiare di trovarsi in un rapporto sbilanciato, dove il cuore ha sempre qualcosa da chiedere in più e la mente appigli da cercare per camuffare a piacere la realtà. Sull’autostrada del ritorno capivo di non essere ancora uscito dalla storia con Giulia, che la mia mente era ancora abbastanza impegnata li. Sapevo che Corinna era una ragazza che non si trova tutti i giorni, capace di emozionarmi dal primo momento e me la stavo lasciando alle spalle solo per un bianco o nero, ancora una volta, figlio del mio “non può essere altrimenti”. Non avevo avuto quella risposta che credevo di trovare e stavo prendendo la stessa strada già percorsa di un’imposizione che nel senso straordinario della vita non può esistere. Appena varcata la porta di casa la chiamo, mi faccio lasciare il numero di casa a cui lei acconsente un po’ titubante, e la promessa di uno squillo per quando si fosse liberata dalla telefonata. Il cellulare mi avverte. Le dico delle foto che vorrei avere e di quell’incontro, in un futuro prossimo che mi piacerebbe ripetere, libero da scelte precotte, in un momento almeno più giusto per me. Lei si dimostra disponibile, giochiamo a carte scoperte e sono contento di poter aspettare il mio momento di calma per poterla chiamare. Yashal I’ve tried and I’ve tried to forget about you Just little lies for myself And you.. you were innocent and true as can be, And now you are not here with me I can’t go on and keep on keep on Crying inside and blame destiny... I can’t go on and keep on keep on Crying inside and blame destiny... I need to know that you’ll come back to me... back to me.. And you'll come back to me, in my arms Your name is Yashal Strong like the mountain, Yashal You’re soft like snow, Yashal… Your're strong like the mountain, Yashal You’re soft like snow, Yashal… Yashal… Elisa ascolta...