Parole in confusione

in precario equilibrio


Seconda parteSiamo i primi ad arrivare davanti a quella stanza dove Samanta dovrà, di li a breve, discutere la tesi. Andiamo in cerca di un bar. Lo troviamo su Via d’Azeglio, a pochi metri da Piazza Maggiore, accogliente, con un po’ di buon jazz distribuito dalla filo diffusione. Sarà la nostra scelta per i festeggiamenti. Torniamo a fare anticamera e, un po’ alla volta, intorno a noi inizia a crearsi una discreta folla. Samanta è l’ultima delle quattro ma l’attesa è gradevole, e questo lo devo ai giochi con Victoria, sua figlia. Finalmente è il momento. Poco più di un quarto d’ora di parole e il 108 arriva a dare una misura a quei 5 anni passati sui libri del Dams. Dottoressa in Discipline Teatrali, per la seconda e definitiva volta. Anche il fotografo professionista (non invitato) decide di dare una misura alle foto scattate e per 12 selezionate, da consegnare tramite posta, chiede la modica cifra di 130 Euro, da pagare sull’unghia, in contanti. Io gliele avrei tranquillamente lasciate ma Alba non era dello stesso avviso. Vuoi non avere le foto della laurea di tua figlia? Ho pensato di darmi alla fotografia. Ci lasciamo andare ai festeggiamenti nel bar perlustrato in precedenza, apparecchiati e un po’ stretti fuori, in una ressa da undici componenti distribuiti intorno a tre tavolini usati come isole della ristorazione a buffet. Il solito prosecco e un Fiano d’Avellino molto buono, che mi ha fatto spostare leggermente oltre quella linea di consumo, di un bicchiere di vino, a cui ero abituato. Nel tardo pomeriggio, con una Bologna che ci scorre a fianco, spruzzata da qualche goccia di pioggia organizziamo il rientro. Samanta e la sua amica completano l’auto di Luca, Fede e Toz mentre io, causa impegno della serata a venire, mi aggiungo alla carovana dei “vecchi” e Victoria. C’è il tempo per un gioco in Piazza Maggiore, sotto il porticato di fronte a San Petronio che mi fa scoprire proprio lei con i suoi 7 anni di vita e quel sorriso un po’ sdentato. Si mette in un angolo e io con la faccia rivolta a quello opposto. Lei dice qualcosa e la sento chiaramente, come se fosse dentro al muro che sto fissando. Mi fa sorridere. Ci mettiamo in viaggio verso l’auto. La mia giacca non riesce a coprirmi quanto vorrei e la sera che avanza fatica ad offrire un riparo sufficiente. La distanza è considerevole. Bisogna andare fuori porta e Victoria e troppo stanca. Decidiamo di lasciare le “donne” sull’incrocio e proseguire da soli per poi passarle a prendere direttamente in macchina. Prendo possesso della cartina una volta preso posto nell’abitacolo e riconquistato la temperatura perduta. Passiamo davanti alla facoltà d’Ingegneria e il pensiero va ad Anna, forse già laureata pure lei, magari in attesa di un figlio. Dopo una bella ripassata sui sensi unici rientriamo decisi nella zona tribunali, passando davanti al mitico “Cafè Santangelo” e a quella splendida piazza San Domenico. A questo punto Giuseppe deve aspettare in macchina perché la corsia riservata all’autobus e quelle telecamere pronte a raccogliere targhe significavano solo il suicidio. Corro verso l’incrocio di donne abbandonate e le accompagno al nuovo parcheggio. Il ritorno ci porta prima sulla via Emilia, poi sugli stradelli e finalmente a casa. Mi faccio lasciare al mio indirizzo. Per le 20 dovevo essere a Russi (RA) ma non era immaginabile prolungare quella tirata. Inizio a stare male. Penso a Giulia, la situazione inizia a peggiorare sempre più fino a diventare quasi insostenibile. Devo uscire, non ho fame, non ho appetito ed è una sensazione che ho imparato a conoscere a proposito delle ragazze. Mio padre mi lascia dalla stazione degli autobus e posso ritrovare la mia macchina e quella solitudine utile a non avere parti difficili da recitare, utili non gettare su altri i propri problemi inutili. Non accendo nemmeno la radio. Sono solo con i miei pensieri e così affronto la mia punta di sconforto. Non ce la faccio più e cerco aiuto. Chiamo Corinna, non so perché, forse perché vorrei parlare con Giulia ma non posso. È spento ed è strano come mi ritrovo a pensare che da quelle parti ci sono già passato. Sono tanti anni lasciati alle spalle ma le mie reazioni istintive sono sempre quelle. Ricordo che stavo parcheggiando la Yaris in garage, era il 2001, credo. Dallo stereo era cominciata a girare “Luci a San Siro” e non riuscivo a reagire, ero scoppiato a piangere da solo. Avevo bisogno di aiuto per uscirne e allora chiamai Sara. Idealmente, nella mia mente, l’antagonista di Anna, la ragione del mio dolore traboccante. Arrivai a casa sua. Cercò d’aiutarmi per quanto fosse in suo potere fare. Spiegarmi il perché di quella necessità, perché proprio lei per prima, l’avrei capito solo ieri sera, nel momento in cui la voce femminile della segreteria mi spingeva ancora pensare sopra al dolore che voleva uscire. Nicola mi avrebbe aiutato, come un amico sa fare, dicendo qualcosa che portava dentro quella sincera intenzione. Era passato finalmente. Alle 20.30 ero a casa di Gianluca e del suo meraviglioso contrabbasso, per guardare insieme tutti i brani della scaletta del concerto che ci aspetta venerdì sera. Ritrovo la musica e il sorriso, prima della buonanotte.