Parole in confusione

La serata delle opportunità


Prima Parte Un giovedì di ferie in cui scatenarsi. In cui ho perfino potuto riabbracciare Alice, con quella frase che mi porta sempre ogni volta che riusciamo a vederci: “Era meglio quando stavamo peggio…”. Riferendosi a quel 2004 dove, mentre io ero demolito dal pensiero di Anna e stavo cercando di riparare i cocci del cuore, lei faceva altrettanto con la sua vita e tutti quei problemi legati alla cura dei figli, al lavoro e all’amore. Avevamo tanto tempo da passare insieme, da spendere a parlare e a cercare di stare meglio, nel peggio, per quanto potevamo. Poi quel suo riavvicinamento all’uomo con cui adesso convive e che le ha assicurato un po’ di stabilità, sottraendole quella libertà che fa così tanto parte del suo spirito. Le mie varie fasi, il nuovo lavoro soprattutto, lasciavano intatta l’amicizia e quella meravigliosa intesa che ci ha sempre accompagnato, ma facevano briciole del tempo da regalare alla possibilità di vedersi, anche solo per il tempo di due parole. Ieri eravamo riusciti ad incastrare un incontro per le 15 appena passate e lei aveva avuto modo di ritrovare quella battuta. Ci eravamo sistemati ad uno dei tavolini del “Prestige”, a metà strada tra la sua palestra e la scuola. Tante cose da raccontarsi e così poco tempo ma la promessa di rivederci presto per proporre al mare, in vista della stagione che scalpita, uno spettacolo unito tra il body painting, il suo, e la musica dal vivo, la mia. Ci lasciamo con un abbraccio perché le 16 sono praticamente già sotto la lancetta e uno dei due figli ha voglia di lasciarsi alle spalle il banco di scuola. Mi muovo verso il centro, idealizzando un percorso ideale che mi porta, inaspettatamente, davanti alla rosticceria di Fabio. La saracinesca è alta al ginocchio e le luci accese della cucina mi danno il permesso di bussare tre volte alla porta a vetri senza ricevere risposta. Arrivava un po’ di musica e sicuramente le mie nocche non erano riuscite a vincere il confronto con lo stereo. Trovo un parcheggio nei pressi dell’Elio’s, evitando tutte quelle righe blu, visto che mi aspetta, finalmente, l’incontro tanto atteso con Rossella, per parlare di quella pazzia dell’università che ha iniziato a girarmi nella testa. Dopo un po’ di attesa, dovuta al mio anticipo e al suo ritardo ci possiamo riconoscere. È appena stata dal dentista e, ricordando quei quattro denti del giudizio lasciati sulla poltrona, posso solo scusarla e non invidiarla per niente. Portava con se una carpettina dove risaltava un postit segnato da un “X ANDREA” che mi faceva piacere. Tra le sue sigarette, che cercavo di combattere da una posizione defilata, come spesso mi capita di dover fare, riusciva ad espormi un percorso di studi diviso su tre anni, suscitando in me sempre nuove preoccupazioni da aggiungere alla mucchia già esistente. Mi lascia tutto il materiale di cui ho bisogno, per farmi un’idea e la promessa di altro aiuto nel caso la mia decisione diventasse definitiva. La posso solo ringraziare di cuore e lasciarla a quella bicicletta di un fascino antico che mi ricorda quella passata, in eredità, dalla mani di mia madre alle mie. Mi lascio andare ad una bella passeggiata attraverso il centro, tagliandolo perpendicolarmente, tra via Mazzini e Via Appia con l’orologio nel mezzo a separare e vigilare dall’alto. Devo firmare l’ennesimo prolungamento di contratto in Adecco. Un altro mese di precariato che non mi dispiacerebbe più di tanto se non fosse per tutti quei moduli da compilare alla fine di ogni settimana. La parola data al colloquio viene nuovamente disattesa e il fastidio rimane ancorato solo al palo del rispetto e della sincerità vacante. Ho un altro foglio che tiene lontana la disoccupazione e con quel peso ulteriore da sopportare mi lascio allietare, nel ritorno, dalla compagnia di una ragazza di cui non ricordo il nome, conosciuta grazie alla sala prove nella canonica della chiesa che ci ospita e a quel campo solare organizzato da Don Fabio. Posso volgere lo sguardo alla sera. La base è offerta dalla presenza garantita di Nicola su cui improvvisare una serata con Livio a Bologna, per assistere al suo spettacolo con i comici, su Via Mascarella, negli interni del “Bravo Caffè”. La bronchite del mio pianista preferito, scatenatasi dopo la data di sabato scorso in quel di Padova, mi lasciava in attesa di una conferma del suo passaggio dall’abituale parcheggio dissestato dell’autostrada, fuori dal casello imolese. La sua assenza poteva lasciarmi anche qualche scomoda preoccupazione sul concerto del venerdì al “Sax Pub” di Lugo (RA), nel mio estremo desiderio di conferme. L’sms arriva a spazzare via quella latente attesa per l’esito del risultato. Ceno in fretta, tra carne e purè e la telefonata di Fabrizio, propenso a spendere quei 4000 Euro sul mio Ducati, attraverso quell’offerta resa pubblica dal volantino appiccicato dal distributore del metano. La pioggia non smette di cadere dal cielo. Raggiungo il parcheggio allagato e sconnesso che non riesce proprio a ricevere la pietà di un’asfaltatura qualsiasi e Livio e già li a dare il senso giusto alla direzione del muso della macchina. Ascolta un cd e il nome del proprietario di quella splendida voce e interpretazione proprio mi sfugge per un nonnulla. Gli chiedo di rivelarmelo solo al ritorno, per cercare di sfruttare ogni momento utile per abbattere quel fastidioso ostacolo offerto dalla memoria. In fila per il semaforo su Via Stalingrado mi squilla il cellulare. È Fabio che mi offre un accredito per un concerto a San Lazzaro da assistere in compagnia da li all’immediato. Purtroppo non posso farmi un due e lo devo deludere, rimandando il nostro incontro alla sera a venire, sperando nella sua presenza nonostante il lavoro e la stanchezza, tra il pubblico del “Sax Pub”. Arriviamo al locale, passando per via Centotrecento, davanti a quell’appartamento al primo piano, sotto i portici, che mi ricorderà sempre Anna, con quel riso con la salciccia che amava prepararmi e le mie serate a prendere il treno per raggiungerla e a passare la notte insieme. E quel pomeriggio a fare l’amore, così tante volte. Una strada, un portone e due finestre con le inferriate. Stanze, custodi di ricordi. Parcheggiamo in doppia fila ed è il segnale che si tratta di musicisti, divisi tra la sponda della “Cantina Bentivoglio” e quella del “Bravo Caffè”. Una volta scaricata la strumentazione bisogna affrontare l’impresa più disperata. Trovare parcheggio nel centro storico di Bologna. Via Irnerio si rivela subito in vena di miracoli offrendo una macchina in prossimità di abbandonare le strisce blu, con la luce anomala della retromarcia a preannunciare il prodigio. Scendo immediatamente ad occupare, pedonalmente, lo spazio vitale mentre Livio si cimenta in una ardimentosa manovra ad U da ritiro di patente. Siamo in salvo sotto i portici e una ragazza raccoglie la mia attenzione. Esclamo: “Sara?” Lei, intenta al cellulare volge incuriosita il suo sguardo e pone fine a quel sottile dubbio dell’ispirazione. continua...