Parole in confusione

Non ci sono rimasto male


Mi ero appena lasciato alle spalle il cancello del magazzino. Rumori anomali mi avevano ricordato il transpalet non assicurato con il solito zoccolo di legno e la sosta fuori programma, diventava immediatamente obbligata, dopo appena una decina di metri. Riprendevo la marcia ad un tenore di media oraria per chilometro decisamente bassa, intento a spingere il tasto play sul lettore mp3 portatile che riprendeva dalla sostenuta “You know my name” dell’ultimo James Bond. Gli avvallamenti dell’asfalto di una strada chiusa della zona industriale non sono tenuti estremamente in considerazione da chi di dovere e gli alberi, con le loro radici, potevano solo fare del loro meglio per garantire quante più imperfezioni possibili. L’acqua ristagnava offrendo una bella piscina all’aperto gratuita al povero piccione di turno. Rallento, convinto che il rumore del mezzo imponente sotto il mio comando sia sufficiente ad impensierire il volatile circa la sua incolumità. Rallento sempre più ma sono sicuro che non sia necessario fermarsi. Lui volerà via spaventato, mettendosi in salvo all’ultimo momento, come tutte le altre volte. Arriva il momento in cui scompare dalla mia visuale e non mi accorgo delle sue ali spiegate nell’aere e l’occhiata dallo specchietto laterale è impietosa, con l’animale falcidiato dalle ruote. Non riesco a sopportare la scena straziante e distolgo lo sguardo, con un senso di colpa veramente duro da affrontare. Ho ucciso un piccione e mi dispiace tantissimo. Chris intanto ha attaccato la prima strofa “If you take a life…” e suona proprio come una crudele coincidenza. Sono un assassino in libertà. La sera non potevo non dedicarla, per continuare la tradizione di questa settimana all’insegna della conquista del mondo, ad un’ulteriore appuntamento. Dovevo spingermi fino a Bologna per quell’incontro con D******, accennato Lunedì e poi confermato lungo la settimana. Alle 21.15 a Porta Lame. Arrivo grazie agli Stradelli Guelfi e alla tangenziale, che scopro eccessivamente pericolosa per i miei gusti, a causa dei lavori in corso. L’uscita e quella numero 5 e attraverso via Zanardi arrivo in prossimità dei viali che circondano il centro storico. Devo trovare un parcheggio e quando questa parola ci si trova costretti ad affiancarla a Bologna, qualche difficoltà riesce sempre a crearsi. Davanti a me c’è l’ultimo semaforo e la Porta. È rosso. Posso sfruttare l’attesa per soppesare la soluzione migliore. Sulla destra noto una macchina fuoriuscire da una stradina chiusa. Do fiducia a quel “tentare non costa nulla” e mi ci butto dentro. Trovo incredibilmente parcheggio e il colore delle strisce è persino bianco, di un candore immacolato. Posso aspettare la mia compagnia della serata con il benestare della puntualità. Decido, per l’attesa, su una delle due panchine che stanno sotto quella storica costruzione, al centro della piazza circondata dal traffico. Un trio di turisti orientali sull’altra a bilanciare la situazione. Mi guardo un po’ in giro per cercare di scorgere l’inizio della mia serata bolognese ma l’unica cosa che ritrovo è la processione, guidata dal prete armato di microfono, i fedeli, qualche ragazzo con la chitarra e due poveri carabinieri ad occuparsi delle esigenze di questo corteo che deve fare i conti con la società delle macchine a motore. Manco a dirlo il probabile giapponese si interessa alla situazione apparentemente interessante andando a ficcanasare alla testa del corteo, da quel tipo vestito di bianco, fermo sul marciapiede all’angolo dell’incrocio. Arriva il momento di attraversare ed è l’unica cosa a cui poter prestare attenzione, nell’attesa della puntualità femminile. Arriva l’incontro e dentro non vi è neanche un accenno di emozioni a cui cercare di dare una spiegazione. Entriamo nel centro storico, senza progetti, valutando l’ipotesi cinema o concerto. Tendo alla seconda, nel seminterrato del “Chet Baker”, nonostante la prospettiva della spesa rilevante da sostenere. Scendiamo e il gestore, prestato per l’occasione al cabaret e successivamente al canto (fortuna per un solo standard), ha appena cominciato a presentare il trio della serata, dove l’attrazione principale è Cocò Tesoro con i suoi 86 anni, tutta l’esperienza che si portano dietro, la sua chitarra da alternare al violino, accompagnato dai due Massimiliano, divisi tra il pianoforte e il contrabbasso. Dopo la dovuta introduzione la serata può prendere il largo e vengo letteralmente rapito da questa colonna del jazz che mi affascina e mi fa entusiasmare, ad ogni nota e nuovo gesto. D****** si bagna le labbra con un caffè d’orzo mentre io devo aspettare un po’ per gustarmi quel succo all’arancia con i cubetti di ghiaccio annegati dentro. Il mio umore vira al bello stabile e la gonna della ragazza che scopre gambe interessanti, strisciate da pantacalze con scaldamuscoli sul fondo, iniziano a darmi lo spunto necessario per percorrere la strada per aggiungere qualcosa alla serata. Torniamo a livello del mare e via Nazario Sauro mi offre la possibilità di fermarmi a salutare il gestore de “il Cortile”, con gli auguri della Buona Pasqua e un promemoria musicale che non può far male. Poco più avanti la “Taverna dei Lords” e altro Jazz come sul palco precedente, con Matteo e il suo trio già impressi con l’inchiostro nella programmazione affissa nella bacheca in vetro a disposizione del marciapiede. Tre locali in 200mt, tutti con almeno un contrabbasso e un pianoforte, tutti senza abbastanza pubblico, tutti vittima del week-end pasquale che porta molti universitari fuori porta, verso casa. Raggiungiamo il “Naso&Gola”, sempre per rapporti di professione, la sua, ancora solo pura passione, la mia. Il gestore ci accoglie sull’ingresso, con la vetrata alle spalle che offre l’atmosfera del locale fatta di luce di mille candele e vino da sorseggiare in un’atmosfera soffusa e accattivante. La foto di suo nonno, scomparso nel 2000, all’età di 106 anni, con quella giovinezza passata ed ora offerta ad ogni passante come insegna del locale, mi affascina e mi lascia fantasticare su un altro tempo. Lo lasciamo tornare al suo lavoro. Provo a baciarla, sforzandomi per desiderarlo, convinto che tutti quei segnali, che non si possono equivocare, potessero portare a qualcosa di piacevole. Lei si tira indietro e, in quella punta di sollievo, mi stupisco. Mi confessa che i suoi tempi, in questo genere di cose, sono un po’ più lunghi. Non glielo dico ma non ci sarà un’altra occasione, e non perché sono qualcosa d’importante ma perché sarebbe stato solo l’orgasmo di una serata. È meglio così, alla fine. D****** - “Non ci sei rimasto male?” La tranquillizzo immediatamente con la mia solita sincerità. Dopo poco arriviamo ai saluti, senza imbarazzi, sotto la Porta che ha dato il via ad un altro piccolo ricordo di una sera, non così importante, questa volta.