Parole in confusione

Verso l'Oriente


Prima ParteIl messaggio arriva appena dopo la marcatura immaginaria del cartellino lavorativo. - “Stasera sei libero?” Veramente avrei avuto appuntamento con Nicola ma non riuscivo proprio a ravvisare gli estremi che mi potessero convincere a rinunciare alla possibilità di una serata in compagnia di Y**, quel sogno orientale a cui avevo ritagliato volentieri un posto nella mia rubrica, dopo il lunedì dei “Monti “Coralli”. La mia consegna dell’immediato buongiorno mi portava a percorrere l’autostrada verso Ferrara (FE) e il messaggio di risposta l’avrei scritto e fatto recapitare ad uno qualsiasi dei chilometri che mi venivano addosso. I lavori sullo snodo bolognese mi preoccupavano e l’assenza di un cartello con la scritta gigante della città di arrivo non poteva essere un problema. Sapevo fin troppo bene che quello giusto era giallo, con il nero della scritta “Padova” a caratterizzarlo e a far lampeggiare a tempo la mia freccia di destra. L’uscita era di nuovo aperta, con ogni scomodo e incognito sentiero alternativo, scomparsi dalla cartella delle preoccupazioni. Mano a mano che i km diminuivano, offrendo solo la provincia veneta come unità di misura, il pensiero folle di proseguire per fermarmi davanti alla scuola di Giulia, mi aveva sfiorato. Poi, tutto il “non materiale” che affolla il mio corpo era tornato a sedere nella cabina del daily insieme alla ragione, lasciando solo all’immaginazione la possibilità di evitare lo scontro con la realtà. Nel messaggio di ritorno promettevo la mia presenza e una telefonata per metterci d’accordo sui dettagli. Faccio quello che ero andato a fare, cioè scaricare qualche unità interna ed esterna, impiegando poco più di cinque minuti della mia vita. Prendo tempo prima di rimettermi in viaggio, lasciando squillare quel numero di cellulare dall’altra parte. Y** mi fa sapere che non sa se ci sarà anche Fabio, un suo amico che ha pensato bene di invitare. Di logica conseguenza le faccio presente che, nel caso, non potrò esserci io. - “Perché?” mi chiede lei. Me stesso: - “Perché volevo passare la serata solo con te!” Domanda evitabile e risposta altrettanto. Dopo il tuffo nella banalità ci lasciamo per risentirci di li a poco, con gli sviluppi del caso. Non riesco neanche ad arrivare a Bologna che la situazione si è già risolta per il meglio, il mio. L’appuntamento è fissato per le 20.30, davanti alla stazione di Faenza (RA), la città che abita. Arrivo puntuale all’appuntamento e lei è già li ad aspettarmi, come mi aveva anticipato nella telefonata di qualche minuto prima, facendomi temere l’imprevisto o il ripensamento. Sale e dopo i saluti di rito decidiamo a proposito del dove spendere la serata. La ricerca di un pub qualunque ci spinge ancora più lontano, fino alle porte di Forlì (FC), senza particolari certezze. Il pensiero di tutti quei km che continuo ad accumulare non mi fa avvertire una qualunque stanchezza, guidare sembra diventata un’abitudine e farlo in compagnia è solamente più piacevole. Parcheggiamo all’inizio del centro storico e non le dispiace fare due passi sul marciapiede che costeggia la strada che lo attraversa. Tra una parola e tante curiosità soddisfatte, a proposito di lei e di quella vita che ha voluto scontare così lontana da casa, arriviamo a quella piazza che si apre imponente e improvvisa e che non riesce a lasciarmi indifferente. Il suo desiderio di birra mi porta a scegliere per entrambi il vicino Green Pub, sicuro che potesse accogliere al meglio le sue intenzioni alcoliche. Arriviamo al bancone e contrasto la sua ordinazione con un bel succo all’arancia dal cartone affogato nel ghiaccio. Le lascio preferire l’interno, scartando quel bel allestimento di tavolini e sedie, sulla piccola piazza, all’aperto, sotto la torre, appena fuori la porta.  Il locale è deserto ma solo “per l’orario” come mi fa notare lei. Continuiamo a parlare di tutto quello che si possono raccontare due persone sconosciute, provenienti da culture così diverse, da vite così lontane. Lascio sprigionare tutta la mia curiosità, dando forma interrogativa ad ogni singolo pensiero che mi viene in mente. Ogni tanto restiamo impigliati nella rete dell’incomprensione, dovuta alla padronanza della lingua e al suo continuo sforzo per cercare di conquistarla ad ogni nuovo passaggio. Immaginarmi in un dialogo nel quale tento di affrontare uno scambio di battute a base di cinese, non nel senso di trovarmelo nel piatto, mi rende comprensibile e anzi, lodevole ogni suo sforzo. Con l’impegno e la volontà di ricercare altre strade per esprimere il pensiero, senza aver fatto finta di aver capito per una non so quale forma di “educazione”, portiamo in fondo ogni discorso iniziato. Lei è alla sua seconda birra rossa, una “Kilkenny” che non avevo subito riconosciuto attraverso l’ordinazione al bancone ma che adesso, visto il secondo giro offerto e prestato ai panni di cameriere, riuscivo a decifrare attraverso il menu. Sapere che in quella piccola cittadina dell’Irlanda ci ero stato in compagnia di Niamh e Sarah mi faceva piacere e i ricordi si rispolveravano, uno dietro l’altro, mentre tornavo al tavolo e al comodo divanetto, con l’ordinazione e la personale aggiunta di un bicchiere d’acqua con cui dissetarmi. Finiamo anche le patate fritte, pasticciate con ketchup e maionese, ormai fredde e riconquistiamo, dopo lo sforzo rappresentato dal suo ultimo sorso rivolto al bicchiere, l’aria primaverile della notte. Sento il desiderio di baciarla lì, in mezzo alla via Emilia appena riconquistata, nella stretta delle case del centro storico, nella temporanea solitudine offerta dai passanti. Porto le mie labbra sulle sue ma non ricevo che una passiva risposta. Non riesco a capire. Forse usano baciare così in Cina o forse è un suo modo cortese di farmi capire le sue intenzioni a non ricambiare il gesto. Dopo un’attesa che mi sembra interminabile la mia lingua smette di sfogarsi su quelle labbra dal leggero sapore amarognolo, l’unica birra che posso permettermi, e trova la risposta più impetuosa che proprio non immaginavo potesse darmi. È lei adesso che mi sta baciando, invadendo il limite delle mie labbra e mi piace cercare di contrastare la sua avanzata, le mordo il labbro perché mi viene spontaneo farlo ma in un instante arriva il rimorso per averglielo concesso. Non succede di nuovo. Caduta di stile La stringo forte a me, continuando a non aver bisogno di parole, in un abbraccio che regala anche la mia più istintiva e incontrollabile erezione. L’accoglie con un sospiro, con un abbandono sempre più indifeso, quasi sorpresa. Ritorniamo a camminare verso quel parcheggio un po’ più lontano delle nostre intenzioni. Qualche centinaio di metri ancora e siamo di nuovo in piedi uno di fronte all’altro. Lei si guarda intorno nella penombra della speranza: - “Non c’è nessuno?” All’evidenza non esiste risposta e la scena da recitare torna ad essere quella passione. È sempre più abbandonata allo scompiglio del piacere e, senza opporre resistenza, si lascia guidare la mano sul mio sesso. Emette un sospiro nella notte, chiudendo gli occhi. I suoi apprezzamenti mi mettono in imbarazzo. Sono abituato a qualche riconoscimento da parte femminile ma solo in frangenti di intimità o limitato a qualche battuta all’interno di una frequentazione ma a frasi del tipo “Com’è grosso…” o “Mi piace il tuo cazzo duro” faccio fatica a offrire una risposta adeguata. Non sapevo proprio cosa dire e forse non c’era proprio niente dire. Sicuramente quel modo di fare aveva tolto molto dell’alone romantico che avevo cercato di intravedere, tornando a sporcare di realtà tutto il presente e il recente passato. In un turbine di squallore che forse, alla fine, era solo quello che stavo cercando. Mi stava accontentando in un certo senso ma non mi faceva poi così tanto piacere trovarmi faccia a faccia col mio desiderio. La macchina intanto sembrava sempre più irraggiungibile, troppo lontana per quella voglia obbligatoriamente sospesa che si era messa a circolare nel corpo. Non potevamo non ritrovarla però e di lì a poco eravamo già sulla strada del ritorno, a fianco, uno all’altra. Y** indossava un paio di stivali e una gonna tranquilla, appena sopra al ginocchio che lasciavano libero un spazio di carne abbastanza invitante. Era tutta la sera che desideravo toccarle le gambe, mi piaceva conservare quella voglia e adesso la potevo sfogare sulla via Emilia, con una mano ad occuparsi del volante, mentre l’altra continuava a salire, fino a scomparire, sotto la gonna, l’unico e solo limite ancora da abbattere. Le mie dita restavano a giocare sopra le mutandine, mi è sempre piaciuto farlo, tracciando il solco della sua fessura più intima, lasciando spazio all’immaginazione del piacere più intenso del primo contatto. Finalmente mi decido a mettere da parte la stoffa e a sfregarla e penetrarla ringraziando per quel monte di venere dalla pelle liscia, offerta che lei non manca di sottolineare con la domanda “Ti piace senza peli?” destinata a rimanere la battuta più leggera della serata. Mi do da fare, tenendo d’occhio la strada e cercando di approfittare al meglio delle sua gambe aperte e sempre più disponibili a quel lavoro di ricerca del piacere in cui metto sempre tutto me stesso. Adesso è il suo turno e, dopo essermi levato la cintura e aver allentato i pantaloni, licenziando i bottoni, comincia ad usare la mano e ritornare sugli apprezzamenti scomodi. Ci stiamo toccando a vicenda e mi sta facendo godere. Alla domanda “Io posso succhiare tuo cazzo?” credo di affondare nel ridicolo per dovere di risposta ma apprezzo l’educazione per aver chiesto il permesso. Glielo concedo con un “Fai pure” e lei allora si china riuscendo a stendersi sopra di me e lasciandomi la possibilità di continuare a toccarla mentre ringrazio il cielo per aver fatto della via Emilia una strada così dritta. Siamo arrivati a Faenza (RA) e credo di non aver mai sentito il peso di quella distanza così leggero in vita mia. Ci ricomponiamo per entrare nel centro storico più illuminato. Mi spiazza con un “Non so come tua ragazza ha potuto lasciare”. Anche a questo non posso dare risposta senza diventare serio e cinico, toccato nel vivo, e togliere la voglia di scoparci ad entrambi che voglio conservare per soddisfare il mio sogno orientale. Mi torna alla mente quella frase di Elisa, mentre la stavo facendo godere sul letto dei miei genitori: - “Ora capisco perché la tua ragazza è stata con te 7 anni” Lei si riferiva alla mia storia con Anna ma il pensiero trovava un inaspettato punto d’incontro a distanza di così tanto tempo, di situazioni, di una lei a cui ripensare. Seguo le sue indicazioni per arrivare davanti a casa. “Tu molta fortuna”, mi continua a ripetere “Alle ragazze piace cazzo grosso”. Mi sembra di essere dentro un film porno-comico e la mia ricerca disperata di una farmacia con un distributore di preservativi figlio della provvidenza non aiuta ad accettare la drammatica situazione. In compenso ai miei occhi si spalancano solo una marea di sportelli delle banche di cui non me ne può fregare di meno. La mia ricerca nella notte non porta ad alcun traguardo e mi devo rassegnare a far sfumare la conclusione di quel sogno orientale arrivato fino ad un passo dall’essere vissuto. Parcheggio nelle immediate vicinanze della nostra solitudine. “Io innamorata del tuo cazzo grosso”, ribadisce. Beh mi fa piacere. Ci salutiamo così, con lei che si rassegna a quella scelta dura ma inevitabile di un piacere solo rimandato. Si china per salutarlo ma è per me e il mio viso l’ultimo pensiero, l’ultimo sguardo. Che soddisfazione. Chiude la portiera e scompare dietro l’angolo. Sulla strada di casa le solite puttane, una anche carina che mi segue con lo sguardo mentre passo. Penso di fermarmi per chiederle un parere obbiettivo e magari una mano per liberarmi da questo affare scomodo che mi ha lasciato l’ultimo appuntamento, ma è contro la mia etica e mi sfiora appena mentre tiro dritto. Un’altra è seduta sul ciglio e sta sbadigliando. Penso ad una battuta ma è troppo cattiva e così la rinnego e non la scrivo. Arrivo sotto casa e posso finalmente tornare a far lavorare i bottoni. “Avrò fatto abbastanza rumore?”