Parole in confusione

l'ultimo incontro


Prima parte - Sulla panchinaMercoledì, un giorno che si sprecava nell’attesa, offrendo un menù decisamente interessante, a cui dedicarsi con il migliore dei buchi nello stomaco da riempire di nuove emozioni. La giornata di ferie portava libertà dai primi istanti successivi al risveglio e tutto l’arretrato, a parte i piatti da lavare, correva il rischio di essere depennato dalla lista dei pensieri a proposito delle cose da fare. L’appuntamento delle 10, dove avrei ritrovato Anna seduta alla nostra solita panchina, rappresentava il solo limite da rispettare e a cui offrire la giusta attenzione, senza previsioni possibili da fare sui saluti e il loro quando. Passo in banca a ritirare quei foglietti di carta con su scritto per lo più il numero 50, a misurare un mese di lavoro, un mese della mia vita senza però riuscire a ritagliarne quella fetta d’orgoglio necessaria ad una giustificazione. Poi allo sportello Soci dell’Ipercoop per depositarli sull’omonimo libretto. La fila, generosamente distribuita ad entrambe le situazioni, mi faceva restare fermo mentre le lancette dell’orologio continuavano la loro folle corsa verso la possibilità di un mio ritardo, che sarebbe stato certo se un imprevisto di lei non mi fosse corso in aiuto con una mezz’ora di dote benedetta. Sfumava comunque la possibilità di consolare quel frigo vuoto, abbandonato ad una crisi di pianto a cui non arrivavo ancora a porre rimedio. Passo da casa a lasciare un po’ di burocrazia e nessuna borsa della spesa, a scriverle il cd con quell’unica canzone di cui non mi convince ancora il ritornello e il suo testo, da piegare e infilare nei confini destinati alla copertina. Posso gettarmi in strada a spingere sui pedali, rincorrendo la speranza dell’orlo della puntualità. Arrivo. Lei è già sulla panchina mentre Tobia le gironzola intorno, assicurato al guinzaglio. Mi siedo. La trovo seria, quasi arrabbiata e non riesco a capirne il motivo. Già il buonumore, proposto nello scambio di battute per organizzare l’incontro, mi era sembrato tanto dissonante, quasi forzato e adesso, quell’espressione all’insegna della serietà che il suo viso lasciava trasparire, riusciva a farmi definitivamente capire quanto avrebbe preferito non trovarsi li. Ancora una volta a scontrarmi con i non detti delle persone, soprattutto di parte femminile e quella scomoda situazione in cui mi lasciano e che faccio veramente fatica a sopportare. Inizio a cercare di farle dire immediatamente quello che non vuole ma devo rimandare. Le parlo della mia storia con Giulia, di quelle sensazioni che credevo di non riuscire più a provare, che mentre prima mi riportavano solo a lei, adesso sapevo possibili anche con un’altra persona. Quel confronto naturale che avevo fatto in cui perdeva regolarmente, restituendomi il ricordo di una persona estranea, non più speciale come avevo sempre creduto e che avevo capito essere solo un convincimento di convenienza. Mettevo il dito proprio su quella sua comodità del tenere a galla solo il peggio dei nostri ricordi, lasciando scivolare sul fondo tutto quell’amore che ci aveva unito così tanto. Adesso toccava a lei parlare e, se le prime battute sembravano evidenziare l’inutilità di quel discorso, dovuto ad un fraintendimento degli argomenti del nostro ultimo incontro, quel continuo dialogare la portava a scoprirsi e a farmi ottenere sempre più parole, senza troppe maschere. Vengono fuori dalla sua bocca abbastanza cruente, lavorate e peggiorate per bene dal pensiero più privato e personale che non può essere bilanciato dal confronto e soprattutto da quella comprensione che dovrebbe sempre accompagnarlo. Anna: -“È normale che io provi dell’astio nei tuoi confronti… “ Come se “astio” fosse una parola leggera e ci dimenticassimo per convenienza che come primo sinonimo offre ”odio”. Glielo faccio notare e allora lei capisce che non sta molto bene e che non può passare o essere giusto un sentimento del genere nei miei confronti. Ritorna sulla sua sofferenza e su quel quadro in cui vengo dipinto come il cattivo che correva (usando il termine “sbavare”) dietro a Sara, calpestando i suoi sentimenti di 14-15-16enne ecc… innamorata. Le posso solo chiedere ancora scusa anche se su 6 anni, trovare ancora dell’”astio” riguardo un frangente che ha guastato il nostro rapporto per pochi mesi mi sembra ingiusto. Le faccio notare che parlavo proprio di questo quando ragionavo sul “tenere a galla solo il peggio” e le ricordo quel mio dormire in macchina nel parcheggio sotto casa sua per darle il Buongiorno il mattino seguente, quell’aspettare il suo ritorno di fianco alla porta di casa per ore, una sera e avrei potuto continuare anche se mi sembrava grottesco dover combattere usando i ricordi. Ci volevamo bene e basta. Anna: -“Anche se nel modo in cui ti ho lasciato forse abbiamo pareggiato i conti…” riferendosi a farsi del male l’un l’altro. Mi sembra incredibile che si possa riuscire a pensare una cosa del genere. Le dico che ho sempre creduto nella sua sincerità e se le è capitato di essersi innamorata di un’altra persona (che poi è diventata suo marito) non posso farci niente se non imparare, come ho fatto, ad accettarlo. Nessuna storia finisce col sorriso. Lei continua sulla strada del tirare fuori quello che non può più fermare: -“Mi sembra ridicolo dopo 4 anni ritrovarci ancora a parlare della nostra storia…” Su questo le ho dato ragione, anche se quel “ridicolo” unito a qualcosa come 6 anni insieme finiti senza una parola, strideva abbastanza. Non potevo far altro che guardare dentro di me e confessare ad entrambi che forse era solo una scusa quel doverle parlare, una licenza per ritrovare il viso, la voce e l’anima di una parte così importante della mia vita, adesso che finalmente potevo starle vicino senza speranze o lacrime. Le sue parole, poi addolcite per non so quale motivo, però mi avevano ferito. Da parte sua non c’era lo stesso, la mia tranquillità e sincerità nell’augurarle la felicità, raccomandarle la fine degli studi, e, al più presto, una prossima maternità si scontrava col quel suo tenermi a distanza. L’ennesima delusione ma, visto che non poteva più farmi così male, le avevo messo il cellulare sotto gli occhi e fatto assistere mentre cancellavo quel punto col suo numero dalla rubrica. Le dico arrivederci, visto quel treno per Bologna che prenderemo insieme a ridosso dell’una, aggiungendo quel “non credevo di riuscire a stare con te in questo modo” riferito a quel voler bene ad una persona con cui si è condiviso un sentimento tanto importante e l’intimità, senza secondi fini, senza speranze o lacrime, appunto. Seconda Parte - Sul trenoÈ il grande giorno di Nicola. Lo aspetta l’esame orale, l’ultima prova da superare per diventare avvocato. Non potevo assolutamente mancare ad un avvenimento di questa importanza e anche quel suo “non voglio nessuno”, non poteva impedirmi di prendere un giorno di ferie dal lavoro e il treno per Bologna proprio quel giorno. Senza una colazione decente, visto lo stomaco chiuso dai pensieri, senza il pranzo della nonna, confusasi sull’orario per cui tenere pronti i fornelli e con l’appuntamento con le F.S. da mischiarsi alla compagnia di Anna, mi ero lasciato ispirare da una piccola sosta al forno, sulla strada per la stazione. Il solito parcheggio “privato” messo a disposizione da Alice e quel breve tratto a piedi a buttare giù qualcosa dal sacchetto di carta, con dentro un po’ di piadina liscia e due streghette. Delizie che, di solito, aprono una voragine al posto della bocca ma che, in quel momento, forse perché sembrava tutto sfornato da almeno due giorni o forse per l’appetito che continuava a mancare, cercavo di destinare al pattume più vicino. Rivedo Noemi e la saluto appena, anche se in altre occasioni mi sarei volentieri fermato per due parole. Arrivo sul binario e gli occhi trovano una bella sconosciuta, ma non riesco a non distogliere lo sguardo prima del suo. Sto aspettando Anna e già due belle possibilità di confronto con l’universo femminile sono sul piatto delle offerte. Il treno arriva e tutti si precipitano verso quelle porte che continuano a spostarsi un po’ più in la. Anna non si vede e allora rivolgo una frase innocente alla sconosciuta ispiratrice. Me stesso: -“Ti va di fare il viaggio insieme?” Lei risponde con un sorriso ma senza aprire l’audio. Lascio perdere altre mie parole inutili e per evitare di darle l’idea di seguirla mi fermo alla prima occasione offerta dal vagone. Mi accorgo che anche lei, alle mie spalle a fatto la stessa scelta. Decido di salire per primo per evitare lo stesso discorso e lei è sempre dietro, distanziata di due ragazze. Siamo fermi, in piedi. È li ad un metro e lo scoglio delle due tipe non sembra poi così insormontabile. Improvvisamente mi accorgo di Anna che mi sta facendo un cenno con la mano alla “ti ricordi di me?”, appena un metro più in là. Ero riuscito nuovamente a non farla sentire importante anche se, questa volta, non era poi così grave e non avremmo potuto rinfacciarcelo. “Si sarà accorta del mio tentativo di abbordaggio?” è il mio primo pensiero. Mi sento in colpa per averle dimostrato ancora una volta qualcosa che non avrei voluto. La situazione è particolarmente critica visto e considerato la presenza della sconosciuta ispiratrice proprio fra noi. Arriva il controllore ad offrire una via di fuga, nell’uno o nell’altro senso. -“Ci sono posti liberi in coda”. Anna allora decide di iniziare la ricerca e io di seguirla, lasciandomi per sempre alle spalle, un dubbio che mi sarei tanto voluto togliere. Le cammino dietro, aiutandola con le porte e nei passaggi tra i vagoni ed è una sensazione strana quella che mi prende, quasi di complicità, al di là della stupidità del gesto in se, rimasta affidata ad un altro tempo. Stiamo facendo qualcosa insieme, forse per l’ultima volta. Troviamo due posti liberi da condividere con gli altri occupati. Iniziamo a parlare di qualcosa, di niente di importante e forse è vero che non abbiamo più niente da dirci. Siamo diventati due estranei che si guardano negli occhi e distolgono lo sguardo, perché in quel silenzio c’è troppo da sopportare e un po’, in fondo fa male. Entriamo nel merito del nostro viaggio. Lei sta andando ad assistere ad una lezione di “Idraulica” e mi viene da sorridere per quanto il destino si diverta a fare lo stupido. Le mancano ancora 5-6 esami e le raccomando ancora di arrivare fino in fondo. Anna: -“Non butterò certamente via 6 anni della mia vita” Me stesso: -“Capita alle volte di buttare via 6 anni della propria vita” Era evidente a cosa era riferita. Non ce l’avevo fatta a tenermela dentro, nonostante cercassi di contrastarla con la ragione di quello che aveva significato la nostra storia. Forse le avevo fatto male, nonostante la sua fede al dito, e forse mi ero anche accorto di riuscire a tirare fuori il peggio di me in sua compagnia. Il treno ci lasciava a Bologna. I saluti. Andrea: -“Mi ha fatto veramente piacere…” Ero sincero? Sicuramente avevo scritto l’ultima pagina di quella storia che parlava di noi, tra tanto amore e tanto dolore, verginità di emozioni dischiusa insieme. Chiudevo il libro, me ne stavo accorgendo, per l’ultima volta. Lei prendeva l’autobus mentre io m’incamminavo verso via dell’Indipendenza, volgendo lo sguardo alla ricerca della sconosciuta ispiratrice, inghiottita dal traffico e nascosta a quella felicità in cui continuo a sperare.