Parole in confusione

l'Arcobaleno mancato


Il sabato mattina era destinato a partire con un funerale. Un lutto atteso che non coinvolgeva direttamente la sfera familiare ma una conoscenza affondata nei rapporti di vicinato... (il resto è stato scritto ma ho deciso di non pubblicarlo per rispetto alla sofferenza di una ragazza a cui la vita ha riservato un lutto troppo grande. Le mie condoglianze e il mio silenzio... per quello che puo' servire.)Torno a casa. Mangiamo da mia nonna le tagliatelle verdi col ragù. La vita torna a scorrere. il tempo è incerto. Dopo un saluto da lasciare ad Alex che mi rivela la sua ultima infatuazione, la prima (finalmente) dopo tanto tempo e che mi lascia sicuramente sorpreso, sono ancora a casa. Monto in sella con qualche volantino della rassegna del Gold Win a cui ho dato forma grafica e, sempre nel cestino, la spia da riparare. Punto il centro e spingo sui pedali facendo attenzione al peso non indifferente portato sull’anteriore. Prima Ca’Vaina (centro musicale), l’Elio’s (pellegrinaggio d’aperitivi) e “All the best” (negozio di dischi) per la pubblicità da lasciare ad ogni sosta pensata sul tragitto. Infine il negozio imputato per la riparazione di cui ho bisogno. Lascio qualche locandina anche lì ed è anche l’occasione per rivedere Giorgio di “Willy Nilly”, da raggiungere a piedi, quando la certezza di aver bucato in modo significativo la ruota davanti, mi costringe ad una camminata in compagnia delle due ruote da far girare a spinta. Il ritorno ha sempre gli stessi tratti e la vicinanza con l’orologio mi fa ritrovar Teresa in compagnia del suo ragazzo. Pronuncio il suo nome e lei si gira proprio sul passaggio della circolare color rosso. I nostri visi si ritrovano a tratti nei vetri del mezzo, dal suo sorriso capisco che mi ha riconosciuto, nonostante l’ostacolo semovente. Il dialogo risente di qualche goccia di una pioggia che inizia in quel momento a cadere ma, in compenso, la presenza del suo ragazzo viene accantonata grazie alla passeggiata di una coppia di suoi amici, che gli forniscono un momento di interesse. Ci informiamo uno della vita dell’altro, lei in dirittura d’arrivo con l’università, io in procinto di cominciare nonostante i tre anni di scarto a mio favore o sfavore, a seconda dei punti di vista. Mi fa piacere averla ritrovata così, per caso, dopo tanto tempo e glielo dico prima di salutarla e prestare attenzione alla pioggia che inizia a farsi più insistente. Monto in sella fregandomene della foratura e dovendo fare caso, per questo, all’eventualità di una caduta. L’acqua aumenta ma l’acquazzone primaverile raggiunge il suo apice quando mi sono già messo in salvo tra le mura amiche dell’Elio’s bar (pellegrinaggio d’aperitivi) a cui avevo chiesto asilo. Non ho un soldo. Non posso neanche ordinare qualcosa per ricambiare la benevolenza legata al tetto sopra la mia testa e comunque non ne sento il bisogno e questo, l’ho sempre considerato il solo motivo per far annotare una consumazione sul mio conto. La pioggia non smette ma ha smorzato la sua intensità. Non mi fanno impazzire i bar, non mi sono mai piaciuti e guardare il film “Forrest Gump“ mi ha convinto ancora di più, aprendomi gli occhi su quanto sia sbagliato restare fermi a guardare la vita scorrere, senza mai alzare il culo per andare a prendersene una bella fetta. Saluto e ringrazio e mi rimetto a pedalare sulla mia cara, vecchia bicicletta forata, compagna di tante consegne. La pioggia mi è sempre piaciuta, non come i raggi di sole ma conserva un suo fascino… è una cosa diversa e questo mi basta. La ciclabile alberata filtra quello che rimane di un acquazzone che conserva un buon temperamento, offrendo buchi dove l’intensità ci tiene a farsi riconoscere, nella rete di rami e foglie, a protezione del mio contorno di umidità. Evito le docce localizzate di un percorso ad ostacoli immaginario mentre il sole arriva dirompente, a tratti, come se là sotto non stesse succedendo niente. Cerco l’arcobaleno col pensiero ma l’effettiva dedica me la risparmio al balcone di casa, perché è bello avere qualcosa d’aspettare (torniamo sempre lì) e metto tutte le mie energie sui pedali, alleggerendo per quanto possibile il peso sull’anteriore. Un gruppo di bambini resiste sulle panchine, al riparo sotto l’albero che protegge tutto quello che può. Penso alla preoccupazioni dei loro genitori, alla sgridata che seguirà e al ricordo che rimarrà dentro ognuno di loro per quel piccolo disobbedire in un impeto di indipendenza e libertà che è il bene più prezioso a quell’età. Sorrido. Sono a casa. Mi aspetta la sgridata dei miei genitori che non mi aspettavo. In effetti una sensazione di libertà, ripensandoci, mi aveva accompagnato nel mio preoccuparmi, per quanto mi bastava, di me stesso. Dopo una decina di minuti passata a cercare di imbastire una discussione a cui riuscivo ad offrire solo il mio sorriso avevo abbracciato e baciato sulla guancia mia madre in cucina, con un bel “Ti voglio bene” di contorno. Mi parlano dell’arcobaleno imponente e mi accorgo di essermene completamente dimenticato. Mi precipito in balcone e poi dalla finestra di camera mia ma non c’è più, ho fatto tardi al nostro appuntamento. Qualche minuto dopo mia madre ricambia la visita e i contenuti. Tutto è tornato a posto e va bene così.