Parole in confusione

Languidamente


Apro gli occhi ed è lunedì mattina, intorno alle 8. Nel buio, i primi rumori che arrivano mi lasciano una giornata di pioggia da immaginare, da fronteggiare una volta alzata la tapparella. Posso solo rassegnarmi a quei sospetti inequivocabili con un po’ di rammarico, restando fermo in orizzontale. Poi il rumore della pioggia improvvisamente cessa e capisco di essermi lasciato ingannare, complice la poca lucidità del momento, dall’acqua agitata nei tubi dai vicini del piano di sopra. Il relativo silenzio mi lascia nell’incertezza di quello che sarà il sottofondo alla giornata appena iniziata e così mi decido ad alzarmi per scoprirne il volto. Sole. Sono soddisfatto. Mi aspetta la donazione semestrale presso l’Avis e un bel resto di libertà compreso nel prelievo. La casa è ancora addormentata e decido di lasciarmi convincere da quel ritorno sotto le coperte, con la finestra a farsi carico dell’illuminazione e “Il ritratto di Dorian Gray” ad evitare l’inutilità del gesto... “… Tutta la tavola scoppiò in una risata. Egli giocava con l’idea e vi si ostinava; la lanciava in aria e la trasformava; la lasciava sfuggire e la riafferrava; la rendeva incandescente di immagini, le dava le ali del paradosso. Mentre continuava a parlare, l’elogio della follia assurgeva a filosofia e la filosofia stessa diventava giovane, afferrava la musica folle del piacere, si vestiva, per così dire, della sua veste macchiata di vino e della sua ghirlanda d’edera, danzava come una Baccante sui colli della vita e scherniva per la sua sobrietà il lento Sileno. I fatti fuggivano dinanzi a lei come creature della foresta spaurite. I suoi piedi bianchi pestavano l’enorme torchio presso il quale siede il savio Omar, finchè il succo spumeggiante dell’uva non salì in purpuree onde spumose lungo le sue membra nude o colò giù in una schiuma rossa lungo i fianchi gocciolanti, viscidi, del tino. Era un’improvvisazione straordinaria. …” Oscar Wilde La lettura fantastica viene disturbata ogni tanto da quelle nuvole che continuano a scherzare col sole, come in un acceleratore immaginario, spinto tra la tavoletta da raggi luminosi e la prudenza del contrasto più tenue, in cui impegnarsi per dare continuità al racconto. Arriva il momento in cui devo alzarmi definitivamente. Niente colazione. Il digiuno va rispettato come sempre. Mi accompagna mio padre, anche lui diventato donatore sulle mie orme e con una convocazione da assolvere. All’ingresso nella struttura, i tempi di attesa si prospettano immediatamente lunghi così, dopo essermi lasciato punzecchiare il dito e ricevuto in cambio il buono per la colazione, insieme al numero per la visita medica, decido di uscire per fare due passi con l’obbiettivo della sede universitaria, il cui dilemma agita le mie giornate, a cui dare un volto. I locali sono ricavati dal vecchio complesso usato, un tempo, per la cura delle malattie mentali (non era il solo), caratteristica che rende famosa Imola (BO) nel circondario, come “la città dei matti”. Dopo la riforma si è cominciato a pensare alla riqualificazione di queste strutture, ritagliando uno spazio anche al mondo universitario. Mi fermo davanti alla porta a vetri iniziando a farmi una cultura di tutte le indicazioni combinate con le freccette che addobbano il cartello. Una ragazza entra, accompagnata da uno zaino. Decido di seguirla con la calma di chi ha tempo da spendere. Un’anticamera e nessuna indicazione. La mia guida ha oltrepassato un’altra porta a vetri, imboccando un lungo corridoio dal soffitto tondeggiante, con la classica luce sul fondo a rappresentare un chissà quale traguardo. Languidamente continuo la mia rincorsa, dovuta ad una piccola curiosità che posso permettermi di soddisfare, grazie alla sala d’attesa che sto facendo attendere a sua volta. Si apre un piccolo chiostro con una fontana nel mezzo, in disuso. La ragazza scompare dietro l’ingresso del mio interesse, circondato da altre comparse. Entro senza avere niente da chiedere a parte la pura voluttà di riempirmi gli occhi. La segreteria è sulla mia destra, il corridoio continua e decido di seguirlo. La primavera dona all’atmosfera calma e serenità, in sintonia col mio sentire e mi sento a mio agio. Si apre uno stanzone con la reception ideale, molte porte su cui leggerne il segreto e la bacheca piena di fogli dai contenuti più disparati. Chiedo informazioni a proposito del corso di laurea per Educatore Professionale ma la ragazza che sta fotocopiando qualcosa non può essermi d’aiuto e comunque mi sento già soddisfatto. Riprendo la via del ritorno con una piacevole sensazione ad accompagnarmi. Cambio strada, immaginando un percorso alternativo e compiacendomi per aver colto l’opportunità di fidarmi del mio senso dell’orientamento. Sono di nuovo davanti all’Avis. Mi aspetta ancora l’attesa, la visita, il prelievo sul lettino regolabile e la colazione. A pomeriggio sono di nuovo per strada. La bicicletta riparata da poco non sentiva la necessità di un collaudo, come scusa per approfittare della bella giornata, visto che la bella giornata bastava a se stessa. Dopo la firma all’assicurazione, il permesso straordinario portato all’Adecco, avevo deciso di tornare a fermarmi alla facoltà del mattino. Qualche informazione più dettagliata a cui dare risposta in mente e la solita tranquillità a cui togliere mezzo litro di sangue. Nello stanzone ritrovo Lucia, la ragazza di Matteo, in pausa dalle lezioni per qualche motivo. Scambiamo due parole, in merito alla scuola che mi sta coinvolgendo, a sua cugina Rachele a cui mi piacerebbe dare un volto, finalmente, alla serata dei Monti Coralli a cui prometto la mia partecipazione. Quella sera avrei parcheggiato la macchina e notato la mancanza di abbastanza sorelle per sperare in un locale affollato al punto giusto. Sarei entrato a concerto già iniziato e unito al solito tavolo, seduto tra Jessica, la sorella di Melissa (ragazza di Nicola) e Lucia. Un concerto dalle sfumature blues che avrei gradito in formazione di trio, ritrovando Pepo dietro ad una batteria contaminata dalle percussioni, un chitarrista già conosciuto e una cantante dai capelli lunghi come piacciono a me e dalla voce interpretata in un modo che mi avrebbe fatto sempre piacere. Poi avrei fatto i complimenti ai musicisti, espresso rammarico per lo scarso pubblico e infine salutato tutti dando appuntamento al venerdì seguente, andando incontro al meritato riposo.