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LE ORIGINI DEL LINGUAGGIO

Post n°44 pubblicato il 24 Novembre 2008 da iltuopsicologo1964
 

Imbottigliati nel traffico dell'ora di punta è facile assistere a una scena del tutto ordinaria ma che non cessa di provocare un momento di genuina perplessità. Possiamo imbatterci, per esempio, in una ragazza che gesticola in modo convulso, anche se nessuno le siede accanto. Il tempo di mettere a fuoco la scena e il mistero si dissolve: l'auricolare, nascosto tra i capelli, tradisce il carattere telefonico di una conversazione all'apparenza solitaria. A pensarci bene, però, anche ora questo comportamento non cessa di essere enigmatico: perché gesticolare quando il tuo interlocutore non può vederti? Un recente libro dello psicologo neozelandese Michael Corballis, titolato Dalla mano alla bocca. Le origini del linguaggio (Raffaele Cortina, 2008, 26 euro) cerca di rispondere all'interrogativo, riformulandolo in termini più generali: siamo sicuri di sapere quale sia il ruolo svolto dai gesti nella vita degli esseri umani? Il testo offre una ricostruzione del problema in chiave evoluzionistica: confronta le capacità linguistiche e gestuali degli umani con quelle di altre specie, soprattutto scimmie e ominidi (dagli Australopitechi fino ai nostri cugini più misteriosi, i Neanderthal). Corballis non si limita alla ricostruzione, chiara e aggiornata, dei dati oggi a disposizione circa le abilità comunicative degli scimpanzè e della morfologia dei nostri antenati. Piuttosto illustra il problema cercando di sostenere due tesi di fondo. La prima è di ordine generale e riguarda lo status del linguaggio verbale: le parole non servono semplicemente a etichettare le cose, come marcaprezzi al supermercato (idea, purtroppo, ancora molto in voga) ma a manipolare, costruire e distruggere realtà. In questo senso, più che di un terzo occhio il linguaggio sembra dotarci della manualità multiforme della dea Khalì: prima che a contemplare, le parole servono a esplorare e modificare quello che ci circonda. La seconda tesi prova ad andare più nel dettaglio, circostanziando la proposta per mezzo di un rovesciamento. Ritorniamo all'esempio col quale abbiamo cominciato.
Come un sintomo
La sorpresa di fronte al gesticolare della ragazza al telefono tradisce un assunto: il nostro comportamento verbale quotidiano tende a mettere in primo piano quel che diciamo a voce e a lasciare sullo sfondo, come mero commento emotivo ed enfatico, i gesti che accompagnano le nostre parole. Al contrario, secondo Corballis, alzare il pollice mentre diciamo «sì, va bene domani andiamo al mare» o indicare con la mano dove si trova il bar più vicino quando si fornisce un'informazione stradale sono comportamenti di primaria importanza perché hanno il carattere vestigiale ma decisivo del sintomo. Tradiscono un luogo di origine: è con le mani che gli umani (e alcune specie preumane) hanno cominciato a comunicare. Circa due milioni di anni fa, con l'aumento delle dimensioni cerebrali dell'Homo erectus, i nostri antenati avrebbero cominciato a sviluppare capacità linguistiche simili a quelle possedute ancora oggi da alcuni primati allevati in cattività: gesti formati da due o tre movimenti-parola legati tra loro da una sintassi molto elementare ma in grado di distinguere il senso di una frase secondo l'ordine degli elementi che la compongono (è questo a fare la differenza, tanto per fare un esempio, tra l'enunciato «alla Diaz i poliziotti hanno torturato i manifestanti» e l'enunciato «alla Diaz i manifestanti hanno torturato i poliziotti»). Circa 170.000 anni fa, con la comparsa dei primi Homo sapiens, gli umani avrebbero cominciato a sviluppare vere e proprie lingue gestuali, simili alle lingue dei segni impiegate oggi da molte persone sorde. Il passaggio all'oralità sarebbe avvenuto solo più tardi. Si tratta di una ipotesi descritta nel dettaglio: è proprio questo a costituire il maggior punto di forza ma anche, paradossalmente, di debolezza del libro. Corballis propone due serie di argomentazioni. La prima si basa su alcuni dati empirici: le vocalizzazioni degli scimpanzè sono molto più stereotipate dei loro gesti manuali che manifestano, invece, maggiore variabilità di gruppo (in alcuni casi vere e proprie variazioni culturali) e un carattere più marcatamente sociale. Mentre la laringe degli scimpanzè è strutturata in modo tale che per i nostri cugini è fisiologicamente impossibile scandire consonanti e vocali, i loro arti superiori sarebbero molto simili a braccia e mani umane. Dopo secoli di discriminazioni, infine, le lingue dei segni sono state riconosciute come delle lingue a tutti gli effetti e non un semplice scimmiottamento della parola orale. Morale della favola, i gesti esibiscono la complessità necessaria per fare da ponte tra il protolinguaggio degli ominidi e le lingue attuali.
Un interrogativo aperto
Il secondo ordine di argomentazioni si concentra su una stranezza della nostra storia evolutiva che può essere riassunta nell'interrogativo: perché le prime raffigurazioni rupestri, gli utensili tecnologicamente più sofisticati e le migrazioni massicce dall'Africa verso il resto del pianeta sono eventi che si sono realizzati approssimativamente 50.000 anni fa, visto che l'Homo sapiens è comparso sulla Terra molto tempo prima? A tal proposito, la risposta di Corballis è netta: questa estenuante attesa, lunga 120.000 anni, sarebbe servita per passare dalle lingue segnate a quelle orali. Fino a quel momento la comunicazione manuale avrebbe inibito le capacità tecniche umane.
Nella prima parte della loro storia, i sapiens avrebbero impiegato le mani più per parlare che per costruire. Solo l'oralità le avrebbe liberate da un pesante fardello, il carico comunicativo di una specie culturalmente sempre più sofisticata. L'ipotesi di Corballis è suggestiva perché può contribuire all'elaborazione di una teoria della natura umana materialista che prenda le mosse dalla frase del Faust di Goethe «in principio era l'azione»: una teoria capace di comprendere meglio il rapporto tra dimensione percettiva (tattile innanzitutto) e pratica, oltre che politica e linguistica, dell'animale umano. Da questo punto di vista, in futuro potrebbe essere fruttuoso discutere e riflettere su alcune delle difficoltà teoriche dalle quali il libro stenta a sottrarsi. Sono però proprio queste difficoltà a fornirci il materiale più prezioso: possono contribuire alla redazione di una agenda di ricerca che non si sottragga al compito di entrare, volta per volta, nel merito delle singole questioni senza accontentarsi né di slogan, né di proclami. Parte dei dati empirici a cui il testo fa riferimento, per fare solo un esempio, è controversa: a uno sguardo più attento la morfologia e la funzionalità delle mani umane presentano somiglianze solo superficiali con il loro analogo scimmiesco, molto più resistente ma meno versatile da un punto di vista sensomotorio.
Una misteriosa latenza
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