Ortoressia

Post n°13 pubblicato il 05 Maggio 2008 da iltuopsicologo1964
 

MILANO - Nelle verdure ci sono i pesticidi, lo zucchero provoca la carie, il burro e la carne rossa aumentano il colesterolo. Si potrebbe fare un elenco interminabile di divieti alimentari, una lista da cui non si salverebbe alcun tipo di cibo. Ma bisogna far attenzione a non esagerare per non cadere nell''ortoressia nervosa", un nuovo tipo di disordine alimentare: persone ossessionate dalla ricerca di un'alimentazione sana.

Portando all'estremo i dettami di un'alimentazione salutistica, gli "ortoressici" arrivano a sviluppare proprie regole alimentari sempre più specifiche e fanno di tutto per restarvi fedeli, costringendosi a pianificare i pasti anche con diversi giorni di anticipo. Quando escono, tendono a portare con sè un "kit di sopravvivenza" con i loro cibi, perché non si fidano a mangiare piatti preparati da altri per timore di grassi e altre sostanze. E se "sgarrano" dalla dieta, i sensi di colpa diventano insostenibili.

L'ossessione della qualità. L'allarme è stato lanciato oggi dall'European Food Information Council (Eufic), una organizzazione no-profit le cui informazioni sono garantite da un comitato scientifico formato da ricercatori istituzionali e universitari di vari paesi europei. L'Eufic, nel descrivere il fenomeno, cita Steve Bratman, che ha descritto per primo l'ortoressia nel 1997. Secondo lo scienziato, questa malattia induce un comportamento simile a quello delle persone che soffrono di anoressia o di bulimia nervosa. Con l'unica differenza che gli anoressici e i bulimici si preoccupano della quantità del loro cibo, gli ortoressici della qualità.


Troppe informazioni nuociono alla salute. Ma c'è già più di un sospetto che si tratti di una nuova malattia della società globalizzata, dove tutti i cittadini sono continuamente sottoposti a un bombardamento di informazioni su ciò che fa bene o fa male alla salute. Il cibo oggi fa paura e la diffusione degli alimenti biologici ha aumentato la complessità delle decisioni da prendere su cosa mangiare. Bettina Isenschmid, consulente per i disordini alimentari presso lo "Hopital de l'Isle" di Berna, ritiene che questa attenzione ai cibi "buoni" e "cattivi" sia problematica e alimenti un rapporto più nevrotico con il cibo nella moderna società occidentale.

Una patologia psichiatrica. Le dà ragione Carruba, che sottolinea come l'ortoressia sia una vera malattia psichiatrica, sebbene non ancora codificata, "perché è un'ossessione: così come ci sono persone ossessionate dalla pulizia, che si lavano le mani venti volte al giorno, ci sono persone che hanno l'ossessione di mangiare sano. E inseguendo questa ossessione, finisce che mangiano male, incorrono in un disordine alimentare legato a una patologia psichica, esattamente come gli anoressici e i bulimici".

Per Bratman, è difficile curare e guarire queste persone, perché hanno la ferma convinzione di agire in modo corretto, sono estremamente sicuri delle loro convinzioni, e si sentono superiori alle persone che non hanno un simile autocontrollo. "Una persona che si riempie le giornate mangiando tofu e biscotti a base di quinoa - ha spiegato lo studioso - si può sentire altrettanto generosa e pia di chi ha dedicato tutta la vita ad aiutare i senzatetto".

(16 luglio 2005) fonte
www.repubblica.it

Il pesce è da mettere al bando perché contiene il mercurio, lo zucchero favorisce le carie, dopo la mucca pazza prendere in considerazione la carne è impensabile, lo stesso vale per il pollo a rischio aviaria, i salumi vanno eliminati dalla dieta per evitare i brufoli, le verdure sono da scegliere accuratamente chissà mai che contengano pesticidi, e guai, in cucina, a usare il burro, alleato del colesterolo. I maniaci dei cibi sani ragionano (più o meno) così. Con il rischio di diventare vittime di un nuovo disturbo alimentare. L' ultima ossessione a tavola si chiama ortoressia (dal greco orthòs orexis, corretto appetito). È la fissazione per un' alimentazione genuina e naturale. Studiata a partire dal 1997 da Steven Bratman, dietologo americano autore del libro Health Food Junkies, l' idea fissa di nutrirsi in modo salutare adesso ha contagiato anche a Milano. È una mania pericolosa: «Un regime alimentare salutista portato all' estremo - dicono gli esperti - è dannoso per la salute». Chi soffre di anoressia e bulimia rivolge la sua attenzione alla quantità del cibo: l' ortoressico è concentrato sulla qualità. Prima di mettere nel carrello della spesa un prodotto controlla mille volte la sua origine sull' etichetta, i cibi geneticamente modificati gli fanno ovviamente orrore. Arianna Banderali, vicepresidente dell' Associazione italiana disturbi dell' alimentazione e del peso, fotografa la diffusione dell' ortoressia dal suo osservatorio di via Caldara, sede dell' Aidap, mille pazienti nell' ultimo anno: «L' attenzione ossessiva ai cibi naturali è un fenomeno in voga - spiega -. Il problema è che può essere la spia di pesanti disturbi alimentari». Negli Stati Uniti il fondamentalismo dietetico ha già fatto una vittima: Kate Finn, scomparsa nel 2003. Il suo è considerato il primo caso ufficiale di morte per ortoressia. «È un disturbo che si sviluppa in modo subdolo. Con conseguenze, a volte, davvero gravi - osserva Michele Carruba, direttore del Centro di studi sull' obesità dell' Università Statale -. Il pensiero monomaniacale rivolto al cibo innanzitutto può essere un sintomo precoce dell' anoressia e della bulimia. Escludere troppi alimenti dalla tavola porta poi anche a nutrirsi in modo squilibrato. Al fisico, per esempio, possono venire a mancare ferro e calcio». I disturbi alimentari atipici ormai colpiscono uno su quattro dei pazienti che si rivolgono all' Aidap di Milano: «Dietro la biomania spesso si nasconde una profonda insoddisfazione per il proprio corpo - rileva Banderali -. Le più colpite sono le adolescenti, a rischio anoressia e bulimia. Le diete rigide sono, infatti, sempre il primo passo verso queste malattie». La tendenza ecologica-salutista, in crescita soprattutto a Roma e Milano, è stata messa in evidenza anche dall' Eurispes: «L' ortoressia toglie perfino il piacere di una cena con amici - sottolinea il Rapporto Italia 2006 -. Gli alimenti ammessi nella dieta devono essere tutti garantiti». Per Enrico Finzi, presidente di Astra Demoskopea, la sicurezza alimentare oggi è in cima alle preoccupazioni di chi si siede a tavola, prima ancora del gusto stesso del cibo (basta pensare che il 37% dei consumatori è un lettore ossessivo delle etichette): «È una sensibilità che si è sviluppata sulla scia degli ultimi scandali alimentari - rileva il sociologo -. Quando non è patologica, però, la nevrosi alimentare dura poco». In questo caso, è decisamente meglio adottare la filosofia di Oscar Wilde: «Resisto a tutto, fuorché alle tentazioni». sravizza@corriere.it La smania del «naturale» ortoressia la fobia dei «veleni» Dal greco «orthòs orexis», giusto appetito, indica l' ossessione di eliminare dalla propria dieta non solo gli alimenti a rischio di contaminazione, ma anche quelli non «naturali» regole gli alimenti vietati Niente carne per gli ortoressici. E nemmeno pesce perché contiene mercurio, zucchero perché favorisce le carie, né salumi né burro (perché fa alzare il colesterolo) sicurezza occhio alle etichette La sicurezza alimentare è in cima alle preoccupazioni di chi si siede a tavola, prima ancora del gusto del cibo: il 37 per cento dei consumatori è un lettore ossessivo delle etichette

Ravizza Simona (20 aprile 2006) - Corriere della Sera

vedi anche articolo Ortoressia ed effettuta il relativo test  sul sito www.iltuopsicologo.it

 
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SINDROME DI AMSTERDAM

Post n°12 pubblicato il 05 Maggio 2008 da iltuopsicologo1964
 

Sempre di più i mariti che mettono sul web video spinti delle proprie partner
Le vecchie perversioni non tramontano mai: il «famolo strano» semmai si aggiorna, sfruttando anche le nuove tecnologie. E internet diventa il luogo virtuale dove scatenare fantasie e esibizionismi: è il caso della ’Sindrome di Amsterdam’, la nuova moda segnalata dai sessuologi. Come nella capitale olandese, ma in modo virtuale, il gioco è mettere in vetrina le grazie di una donna, nello specifico della propria compagna, magari riprendendola con un telefonino mentre si fa l’amore e diffondendo il video su YouTube.

È quanto segnala il rapporto 2008 sugli italiani a letto, presentato oggi a Roma alla vigilia del nono congresso della Federazione Europea di Sessuologia. Un fenomeno sempre più diffuso: «Grazie a YouTube e a una videocamera amatoriale - spiega Chiara Simonelli, sessuologa dell’università La Sapienza di Roma e vicepresidente della Federazione - ma basta anche un telefonino, si filma la propria donna in atteggiamenti spinti e si manda in rete.

Tutti la possono vedere, anzi tutti la devono vedere, ma nessuno la può toccare». Peccato che non sempre le donne siano consenzienti, anzi: è capitato spesso di relazioni interrotte bruscamente, dove lui, per vendicarsi, ha messo in rete i filmati osè dell’ex compagna. Ma a volte anche quando il rapporto prosegue, avvertono gli esperti, può sorgere il «vizietto» di rirprendere la compagna a sua insaputa, per farne il sogno erotico di migliaia di internauti sparsi per il mondo.

 
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EFFETTO PLACEBO E NOCEBO

Post n°11 pubblicato il 30 Aprile 2008 da iltuopsicologo1964
 

C' è un nuovo farmaco: si chiama placebo

 

Una persona ha un dolore insopportabile che se ne va solo con un forte analgesico, per esempio un oppiaceo. A sua insaputa gli si dà invece una fiala di acqua e sale o una compressa di zucchero, e il dolore scompare lo stesso, si scioglie come neve al sole. Il placebo (il termine, in latino, significa letteralmente «io ti piacerò») è croce e delizia della medicina moderna. Da sempre alleato segreto dei curatori di tutti i generi e di tutti i tempi, dagli sciamani ai camici bianchi di oggi, è tuttora uno degli ultimi misteri che resiste all' indagine scientifica. Addirittura la rivista britannica New Scientist lo elenca tra le 13 cose (dalla energia occulta alle «costanti» fisiche che variano) capaci di sfidare il senso comune e ogni tentativo di spiegazione. Qualcosa però si comincia a chiarire. Studiosi dell' Università del Michigan hanno dimostrato che il placebo induce il nostro cervello a produrre una maggior quantità di endorfina, l' analgesico naturale fatto «in casa». Jon-Kar Zubieta e i suoi collaboratori lo hanno potuto osservare grazie alle tecniche più avanzate di immagine al computer, che consentono di «vedere» quello che succede nel cervello mentre è in funzione. E questo loro risultato conferma uno straordinario esperimento condotto già qualche mese fa dall' italiano Fabrizio Benedetti, dell' Università di Torino, e pubblicato sulla rivista americana Science: il naloxone, farmaco che blocca l' azione della morfina e dell' endorfina, dato insieme al placebo ne annulla gli effetti. La mente dunque controlla in qualche modo la chimica del cervello. E non solo per quello che riguarda il dolore, sintomo soggettivo per eccellenza: lo stesso Benedetti ha misurato l' effetto del placebo su un disturbo visibile e oggettivo come il tremore dei malati di Parkinson, osservando stupefatto che i neuroni coinvolti cominciano a «sparare» meno impulsi quando la falsa medicina entra in azione. Quindi il pensiero comanda anche alle singole cellule e gli effetti del placebo sono reali, non apparenti o espressione di pura suggestione, come molti continuano a credere. Tutto ciò è affascinante, ma lascia intatto l' enigma maggiore: quale stato della mente fa sì che un effetto così potente entri in gioco? E come lo si può indurre, quando è utile? Indubbiamente occorre che ci sia l' aspettativa convinta che qualcosa di buono (o di cattivo: esiste anche l' effetto nocebo, per esempio sulla nausea da chemio) sta per accadere. La potenza del placebo rappresenta dunque in qualche modo anche una misura della fiducia che la gente, in un certo momento storico, ha nei medici e nei loro rimedi. Ma qui sta il paradosso: il suo abuso è anche una misura di quanto i curanti sono disposti a tradire quella fiducia. Persa la quale, peraltro, anche molte medicine vere finirebbero per non funzionare più.

 

Satolli Roberto

 

 

Pagina 51

(27 novembre 2005) - Corriere della Sera

 

Corpo e psiche Come la paura di soffrire diventa dolore

Svelato l' effetto «nocebo»

 

La paura di soffrire scatena un meccanismo ansioso che fa sentire ancora più intensamente il dolore: è l' effetto «nocebo», di cui si comincia finalmente a capire qualcosa dopo tanta enfasi e studi sul suo opposto, il placebo, fenomeno che rende in qualche modo efficace anche una pillola «finta» (a base di zucchero, ad esempio) se chi la prende è assolutamente convinto di avere a che fare con un farmaco vero. Suggestione efficace, quanto transitoria. Il passo avanti importante nella comprensione dell' effetto «nocebo» viene da un esperimento di Fabrizio Benedetti, del Dipartimento di neuroscienze dell' università di Torino, appena pubblicato sulla rivista Journal of Neuroscience. Ad un gruppo di volontari è stato procurato un forte dolore ad un braccio, bloccando la circolazione nell' arto. A questo punto a tutti i partecipanti è stata data una compressa «finta» dicendo loro che, purtroppo, avrebbe intensificato il dolore. «Come previsto, il dolore in queste persone è effettivamente aumentato», spiega Benedetti. Fin qui, nulla di nuovo: basta annunciare che il dolore sarà più intenso perché aumenti davvero. Oggi sappiamo che l' ansia attiva una serie di circuiti nervosi che dall' ipotalamo passano all' ipofisi e da qui arrivano alla ghiandola surrenale, sfociando nella produzione degli ormoni tipici dello stress; cortisolo in testa, ben noto e studiato. Un meccanismo potente, ma abbastanza aspecifico. Ma ecco il colpo di scena: ad un altro gruppo di persone sottoposte allo stesso trattamento il dolore non è aumentato. Come mai questa strana analgesia? «La spiegazione c' è - risponde l' esperto - . A questi soggetti abbiamo dato una sostanza che blocca i recettori della colecistochinina, ormone che oltre a dare il senso della sazietà si è rivelato avere un ruolo centrale nell' effetto nocebo». Ruolo centrale confermato da questa osservazione: la colecistochina riesce a trasformare l' ansia di soffrire in un vero e proprio dolore agendo su circuiti cerebrali specifici, le vie nervose del «nocebo». La scoperta affascinante sotto il profilo della ricerca, potrebbe trovare in futuro anche una ricaduta pratica. Prospettive di cura significative che ci fa intravedere Fabrizio Benedetti: «È importante mettere a punto farmaci capaci di bloccare i recettori per questa sostanza. Queste nuove molecole, già in fase di sperimentazione, date insieme a potenti narcotici come la morfina, potrebbero migliorare ulteriormente il controllo del dolore, agendo anche su quello più sfuggente e difficile da trattare perché di origine psicologica». Luca Carra

 

Carra Luca

 

Pagina 52

(19 novembre 2006) - Corriere della Sera

 

Le sorprese delle «false» medicine

 

Sono più di 12 anni che Fabrizio Benedetti si occupa dell' effetto placebo. Ecco alcune delle scoperte del suo gruppo di ricerca. Nel Parkinson la sostituzione della terapia con un placebo non solo non interrompe gli effetti benefici su sintomi visibili come il tremore, ma è quantificabile anche la sua azione a livello delle cellule cerebrali responsabili della malattia. In pratica, quando la falsa medicina entra in azione le cellule nervose "sparano" meno impulsi. Uno studio, pubblicato sulla rivista Science, ha dimostrato che il naloxone, farmaco che blocca l' azione della morfina e dell' endorfina, dato insieme al placebo ne annulla gli effetti, cioè impedisce al placebo di stimolare la liberazione di queste sostanze oppioidi. Oltre che dell' effetto placebo, Benedetti si è occupato anche del suo opposto, il cosiddetto nocebo, quello per cui si soffre di più quando ci si aspetta di provare dolore. In uno studio, pubblicato sul Journal of Neuroscience, ad un gruppo di volontari è stato procurato un forte dolore a un braccio, bloccando la circolazione dell' arto. A tutti i partecipanti è stata poi data una compressa finta dicendo loro che, purtroppo, avrebbe intensificato il dolore. E così è stato. A. S.

 

A. S.

 

Pagina 56

(4 novembre 2007) - Corriere della Sera

fonte www.corriere.it

 

 
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Volete combattere la depressione? State lontani da casa, chiesa e ufficio

Post n°10 pubblicato il 29 Aprile 2008 da iltuopsicologo1964
 

ROMA - State lontani da casa, evitate le chiese, non andate in discoteca e nemmeno nei centri commerciali. Piuttosto dedicatevi alla palestra. E scordatevi che la depressione sia legata ai problemi di cuore (solo il 9% li segnala come causa scatenante). La fotografia del dove e perché in molti italiani scatta la molla della depressione, arriva da un'indagine realizzata da Riza Psicosomatica, in edicola da domani e condotta su circa 1000 intervistati, maschi e femmine, tra i 25 e i 55 anni.

La ricerca parte dall'assunto che il luogo dove ci si trova ha un effetto decisivo sul proprio umore. Il 64% degli intervistati ritiene, in maniera molto (22%) o abbastanza (42%) elevata, che il luogo in cui si vive possa essere un elemento determinante per l'insorgere della depressione. Al contrario invece solo per il 23% il malessere non dipende dal luogo. E fino a questo punto non pare esserci nulla di insolito. Che l'ambiente eserciti un forte condizionamento interno è cosa nota.

Ma quando si passano in rassegna quelli sono i luoghi che stimolano la depressione, qualche sorpresa salta fuori. Al primo posto c'è la propria abitazione (34%), con il definitivo crollo del detto "casa dolce casa", poi l'ufficio (16%). Ed ecco spuntare le chiese (12%) e i centri commerciali (9%), la discoteca (7%), la casa dei propri genitori (8%), gli aeroporti e le stazioni (4%). A seguire i più scontati ospedali (5%), sale d'attesa (3%) e cimiteri (2%).


Ma la depressione non è causata solo dal luogo. Tra le situazioni più a rischio ci sono la solitudine in città durante l' estate che colpisce il 26% degli intervistati, e i luoghi molto affollati (24%). Immancabile anche la sindrome da rientro dalle vacanze (18%).

Che fare allora per combattere la depressione? Prendersi cura di se stessi. Curando il proprio corpo, andando in palestra, (24%), stando all' aperto (23%), prendendosi cura di un animale animale (15%), facendo del volontariato (10%). Bocciato l'utilizzo indiscriminato di farmaci (26%) e la scelta di isolarsi da tutto e da tutti (21%). La solitudine, infatti, sarebbe la principale causa della depressione per il 26% degli intervistati. Così come la frenesia e lo stress della vita di tutti i giorni (21%) e le eccessive aspettative di genitori e amici (16%).

Ultimo aspetto analizzato dalla ricerca è come riconoscere i primi segni del disagio. Il primo segnale è la tendenza a isolarsi (25%), poi il trascurarsi (22%) e l'irritabilità improvvisa (18%). E ancora sbalzi d'umore che portano a crisi di pianto (14%) e a una svogliatezza generale (10%). Senza trascurare i comportamenti ripetitivi, quasi maniacali (6%) che potrebbero rappresentare il campanello di allarme di uno stato depressivo.

(9 settembre 2007)

fonte www.repubblica.it

 
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"Gli antidepressivi? Sono inutili Meglio una chiacchiera del Prozac"

Post n°9 pubblicato il 29 Aprile 2008 da iltuopsicologo1964
 

Gli italiani: "No alle prescrizioni facili, ma è innegabile che funzioni"
di SARA FICOCELLI

 

ROMA - E' il farmaco che a metà degli anni Novanta ha sconvolto l'Europa e rivoluzionato il campo della terapia antidepressiva, una pasticca cui sono stati dedicati libri, canzoni, film, persino il nome di un gruppo punk. E' il Prozac, ovvero Fluoxetina cloridrato, comunemente detto Fluoxetina, e secondo un recente studio inglese la sua efficacia curativa sarebbe quasi completamente nulla. Stando a una ricerca dell'equipe del professor Irving Kirsch dell'Università di Hull, pubblicata sulla rivista on line "Public Library of Science (PLoS) Medicine", la pasticca usata in tutto il mondo per curare depressione, disturbi ossessivi-compulsivi, bulimia nervosa e attacchi di panico avrebbe nella maggior parte dei casi un mero effetto placebo.

Lo studio, ha precisato Kirsch, è stato presentato alla FDA (l'ente americano per il controllo sui farmaci) e sarà sottoposto anche alle autorità regolatorie europee. Gli antidepressivi come Prozac and Seroxat, stando alla ricerca, indurrebbero miglioramenti minimi rispetto al placebo, valutabili in due punti sulla scala Hamilton della depressione, che si compone in tutto di 51 punti. Questo è stato sufficiente perché le molecole in questione ottenessero l'autorizzazione alla commercializzazione, ma, sottolinea la rivista, in Gran Bretagna non sarebbe dovuto bastare. L'Istituto nazionale per l'eccellenza clinica (Nice) stabilisce che sono necessari tre punti sulla scala Hamilton per stabilire una differenza clinica significativa.

"Stando ai risultati - ha osservato il professor Kirsch - non sembrano esserci grandi motivi per prescrivere gli antidepressivi se non alle persone affette da depressione grave, qualora le terapie alternative non abbiano prodotto effetti. Questo studio solleva gravi interrogativi sul modo in cui vengono concesse le autorizzazioni per i farmaci e sulla divulgazione dei dati della sperimentazione".


Secondo il dottor Salvatore Di Salvo, psichiatra e presidente dell'Associazione per la ricerca contro la depressione, l'effetto farmacologico del Prozac è però innegabile: "Io lavoro con pazienti affetti da patologie gravi ogni giorno e credo che i farmaci antidepressivi debbano essere somministrati limitatamente ai casi che rispondono ai criteri diagnostici del DSM quarto, ovvero il manuale diagnostico di riferimento degli psichiatri americani. Al di là di questi casi un antidepressivo come il Prozac è fuori luogo, bisogna tentare strade alternative. Ma non possiamo negare la loro efficacia".

Secondo Di Salvo, gli antidepressivi non possono essere usati come farmaci di terapia preventiva. "Sarebbe un po' come dire che appena uno ha un po' di febbre prende subito l'antibiotico. E' importante prima diagnosticare la malattia". E, a proposito del famoso effetto placebo: "Anche questo fa parte della loro proprietà curativa, perché si parla di psiche, di cervello. Di un organo composto da circa cento miliardi di cellule e dal funzionamento estremamente complesso".

Lo studio inglese mette sotto accusa le multinazionali farmaceutiche, accusate, scrive il giornale, di aver manipolato i dati clinici. La popolarità degli antidepressivi, introdotti negli Usa alla fine degli anni ottanta e in Europa nel 1996, è schizzata alle stelle, scrive il quotidiano Independent, dopo le campagne in cui le industrie farmaceutiche assicuravano che si trattava di prodotti sicuri e con minori effetti collaterali rispetto ai vecchi antidepressivi triciclici. Il libro del 1994 "Listening to Prozac" (Ascoltare il Prozac), in cui si affermava che chi soffriva di "scarsa gioia di vivere" poteva curarsi con un farmaco che "ravviva l'umore", è diventato un best seller. La stessa comunità scientifica italiana continua a guardare con fiducia all'utilizzo di queste sostanze, che aumentano il tasso di serotonina nell'organismo e ridanno vita all'umore. Anche nei casi meno gravi, di cosiddetta "predisposizione alla depressione".

"Al di là delle strumentalizzazioni spiega il dottor Francesco Cro, psichiatra e dirigente medico del Servizio diagnosi e cura di Viterbo, - l'efficacia degli antidepressivi è comunque innegabile. L'utilizzo di questi farmaci ha fatto diminuire drasticamente il numero di suicidi negli ultimi 15 anni, e ci sono dati statistici che lo confermano". Questi antidepressivi sono noti come inibitori selettivi del reuptake della serotonina (SSRIs); il più diffuso, prodotto dalla Eli Lilly, era il farmaco più venduto del mondo, prima di essere soppiantato dal Viagra. Lo studio, condotto su sei dei più noti antidepressivi, tra cui Prozac, Seroxat, prodotto dalla GlaxoSmithKline, ed Efexor, della Wyeth, mostra che sono efficaci solo su una parte minima dei depressi più gravi.

Dunque quale cura per chi è lievemente depresso? Per chi ancora, cioè, non ha varcato la terribile soglia di non ritorno che ti costringe a letto atterrito anche solo dall'idea di respirare? Il dottor Giuseppe Dell'Acqua, già allievo di Franco Basaglia e direttore del Dipartimento di Salute mentale di Trieste, spiega che la cosa migliore è "ascoltare il paziente, stargli vicino. La cura farmacologica è l'extrema ratio di un lavoro complesso e delicato, che lo psichiatra deve saper fare prima come essere umano che come medico. L'efficacia degli psicofarmaci è nulla, senza un accurato lavoro di assistenza al paziente. Credo che sia questo il senso profondo della ricerca effettuata in Gran Bretagna e credo che, più della serotonina e dell'illusione del Placebo, siano le affinità emotive tra medico e paziente a poter guarire davvero una persona".

(26 febbraio 2008)

fonte www.repubblica.it

 
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DRUNKORESSIA

Post n°8 pubblicato il 24 Aprile 2008 da iltuopsicologo1964
 

Lanciato l'allarme “drunkoressia''

Emerge il nuovo pericoloso volto dell'anoressia

Articolo pubblicato il: 2008-03-03 su Fonte
http://notizie.alice.it/

NEW YORK - Ubriache e magre da morire: medici e famiglie negli Usa sono in allarme per un nuovo disturbo alimentare che si aggiunge ai mille volti dell'anoressia. Il New York Times punta i riflettori su quella che i medici Usa chiamano ‘‘drunkoressia'': la variante letale di chi smette di mangiare per poter bere di più. Gli esperti di disordini alimentari hanno creato nuovi termini per definire le varie forme attraverso cui il disagio davanti al cibo diventa malattia: c'è l'ortoressia, ad esempio, in cui l'ossessione maniacale per i cibi sani porta a smettere di mangiare.

Manoressia (da ‘‘man”, uomo) è invece l'anoressia maschile, di cui di recente ha confessato esser stato vittima l'attore Dennis Quaid. Drunk in inglese significa ubriaco: «Ci sono donne che hanno il terrore di mettere un chicco d'uva in bocca ma non esitano a bere alcolici», ha constatato Douglas Bunnell, direttore di una clinica privata per la cura dei disordini alimentari a Filadelfia, il Renfrew Center.

È un fenomeno che Bunnell, ex presidente dell'Associazione Nazionale contro i Disordini Alimentari, ha riscontrato in molte ragazze: «L'ossessione per la magrezza, combinato con l'esempio di celebrità come Paris Hilton, Linsdey Lohan e Britney Spears fa sì che molte lo considerino un dato di fatto, se non addirittura un trend alla moda».

Una dieta Slim Fast, solo più divertente, fino a che le conseguenze del cocktail di abuso di alcol e diete estreme non comincia ad avere un costo pesantissimo per la salute.

‘‘Drunkoressia'' non è ancora un termine medico ufficiale, ma si basa su un crescente numero di casi clinici di donne che si affamano per tutto il giorno per bilanciare le calorie che ingurgiteranno la sera sotto forma di alcolici.

Secondo uno studio citato di recente sulla Fox tv il 30 per cento delle ragazze in età di college - quasi una su tre - è pronta a ridurre drasticamente quanto mettono sul piatto pur di poter bere liberamente la sera con gli amici.

Le anoressiche e le bulimiche usualmente evitano l'alcol come la peste per via dell'alto contenuto calorico di vino, birra e superalcolici: alcune di loro però cedono al bere o perché un bicchierino calma l'ansia di dover mangiare o perché allevia l'ansia di aver mangiato troppo. Nei casi più gravi l'alcol è l'unica fonte di calorie della giornata. C'è poi chi beve e vomita: con l'alcol, sostengono gli esperti di disordini alimentari, è molto più facile.

 
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La felicità? È una questione di DNA

Post n°7 pubblicato il 27 Marzo 2008 da iltuopsicologo1964
 

Secondo uno studio scozzese dipende per il 50 per cento dal nostro corredo genetico

SCOZIA (Regno Unito) - Chi non si è mai interrogato sul perché sia così difficile essere felici? Una risposta potrebbe giungere da una ricerca condotta dall'Università di Edimburgo in collaborazione con l'Istituto di Ricerca Medica di Queensland in Australia.

LO STUDIO - Sono state prese in considerazione 900 coppie di gemelli, omozigoti ed eterozigoti, poiché i primi hanno un identico patrimonio genetico mentre i secondi presentano differenze sostanziali pari a

quelle di normali fratelli. Il criterio di scelta degli individui che hanno preso parte al test è stato determinato in base a caratteristiche personali che precedenti studi hanno dimostrato incidere sulla curva della soddisfazione, vale a dire una scarsa tendenza alla preoccupazione, la socievolezza e la coscienziosità. La comparazione dei risultati dei due gruppi ha consentito ai ricercatori di determinare quanto un particolare tratto caratteriale venga influenzato dalla genetica. La conclusione alla quale sono giunti i ricercatori scozzesi è che metà della nostra possibile felicità è legata al nostro corredo cromosomico, mentre il restante cinquanta per cento dipende dallo stile di vita, dalla carriera intrapresa e dalle relazioni sociali. Il direttore dello studio, il dottor Alexander Weiss, sostiene che la felicità, unitamente alla vita e alla libertà, sia uno dei desideri fondamentali degli esseri umani e che una cospicua quota di gioia di vivere possa essere spiegata soltanto attraverso l'architettura genetica della personalità.

SCIENZA DELLA FELICITÀ - La scienza della felicità è un campo in rapida espansione, grazie a una richiesta sia pubblica che aziendale finalizzata alla comprensione di tutto ciò che è benessere. Qualche tempo fa l’Economist dedicava una copertina al tema Happiness, sdoganando definitivamente questo tema dal terreno delle emozioni e facendolo entrare a pieno titolo anche in settori prima poco famigliari, come l’economia. Ora è un argomento trasversale, studiatissimo come mai e inseguito come sempre. E si inizia a pensare che dove non è riuscita la politica, la finanza o la psicologia, possa arrivare proprio la scienza della felicità.

EREDITÀ - Dunque secondo lo studio dell'Università di Edimburgo, dai genitori non si ereditano soltanto i tratti somatici, ma anche quelli caratteriali, e si riceve una sorta di lasciapassare per la felicità (o per l'infelicità). Ma questo lascito, nel caso sia negativo, non deve spingere alla rassegnazione e all'accettazione passiva di una triste sorte. Esiste pur sempre un residuo cinquanta per cento che è nelle nostre mani. E poi, come suggerisce il direttore della ricerca, bastano pochi semplici accorgimenti per portare un po' di luce anche nelle vite più buie. Per esempio, richiamare alla mente i propri punti di forza o evocare con la memoria, la sera prima di dormire, tre avvenimenti della giornata che ci hanno procurato piacere. Ciascuno di noi potrà continuare a inseguire la propria felicità, con buona pace dei genetisti.

Emanuela Di Pasqua 06 marzo 2008 fonte www.corriere.it

vedi anche http://www.iltuopsicologo.it/pensieri%20_terapeutici.asp

 
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«Alcuni videogames nuociono alla salute»

Post n°6 pubblicato il 27 Marzo 2008 da iltuopsicologo1964
 

Allo studio messaggi simili a quelli che si trovano sui pacchetti delle sigarette

MILANO - «Alcuni videogames nuociono gravemente alla salute’. Questo o altri messaggi simili a quelli che si trovano sui pacchetti delle sigarette potrebbero presto trovarsi sulle confezioni dei video giochi venduti in Gran Bretagna, scrive il Times.

LA PROPOSTA - E’ la proposta che scaturisce da un report commissionato dal governo britannico - in risposta alle ansie crescenti dei genitori sui rischi di internet e videogames - e redatto da Tanya Byron, psicologa infantile famosa sulle emittenti britanniche e collaboratrice del giornale britannico. «I genitori hanno paura a lasciar uscire i bambini così li tengono a casa ma danno loro la possibilità di incappare in rischi on line», dice l’esperta che propone una campagna informativa per genitori, insegnanti e bambini per trarre il maggior profitto dal mondo digitale senza alcun rischio.

LE INFORMAZIONI - E’ essenziale, secondo Byron, indicare sulle confezioni di ogni gioco l’età minima richiesta, i contenuti e le eventuali controindicazioni. I negozianti poi dovranno assolutamente rispettare i limiti d’età al momento di vendita e i genitori farebbero meglio a tenere il computer in soggiorno piuttoso che nella camera da letto del figlio. Esistono già alcuni sistemi di classificazione, dice Byron, sia britannico che europeo, ma sono inefficaci perché troppo confusi nella simbologia delle indicazioni e spesso si limitano a indicare solo i contenuti con scene di sesso o di violenza estreme.
27 marzo 2008 fonte
http://www.corriere.it

vedi anche http://www.iltuopsicologo.it/cyberbullismo_o_bullismo_online.asp

 
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Suocere, clown e colori tutte le fobie del mondo

Post n°5 pubblicato il 27 Marzo 2008 da iltuopsicologo1964
 

Lo psicologo: "Noi siamo propensi a dare un'etichetta
a qualsiasi cosa ci porti turbamento"
dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI

 
LONDRA - Paura delle parole troppo lunghe, paura dei clown, paura della suocera, del numero otto e del telefono. Sono le nuove fobie che affliggono l'uomo moderno. Un sito web americano, che sostiene di avere un rimedio per ciascuna, ne ha contate 1500, che vanno ad aggiungersi alle "vecchie" claustrofobia e aracnofobia (la paura dei ragni). Divisi gli esperti: per alcuni le paure bizzarre sono frequenti. Ma c'è chi dice: "Ormai cerchiamo di dare un nome a qualunque cosa ci provochi turbamento".

È la paura che non osa pronunciare il proprio nome. Per cui, se per caso chi sta leggendo queste righe ne soffre, smettete subito di leggere: si chiama "ippopotamostrosesquipedalofobia". Ovvero, la fobia di cui sono, o forse conviene usare il condizionale, sarebbero afflitti coloro che hanno paura delle parole troppo lunghe, cominciando a tremare ogni volta che ne incontrano una, scritta o parlata, su un giornale, dizionario o in bocca alla gente, sconvolti dall'abbuffata di sillabe una dietro l'altra. A scoprirla è un sito americano che sostiene di avere il rimedio per ognuna delle fobie che tormentano l'uomo moderno,
www.ChangeThatsRigthNow.com, che le ha catalogate tutte: sono, o meglio, usiamo di nuovo il condizionale, sarebbero, ben 1500, dunque molte di più di quelle generalmente note come la claustrofobia (paura dei luoghi chiusi), l'agorafobia (paura dei luoghi aperti), l'aracnofobia (paura dei ragni) e via elencando. E la cura, per restare in tema, costa all'incirca 1500 dollari, un migliaio di euro, a fobia.


Sembrerebbe uno scherzo o un imbroglio, e forse almeno in parte lo è, ma qualcuno l'ha preso sul serio: la rivista scientifica britannica New Scientist, che pur con una forte dose di scetticismo ha esaminato con una squadra di psicologi le più curiose fra le fobie citate dal sito. La faccenda è finita a tutta pagina sul Times di Londra e da lì è presto rimbalzata sul tam-tam universale del nostro tempo, Internet. Il verdetto è che forse la fobia delle parole troppo lunghe non esiste, o perlomeno non si ha notizia di quante persone ne soffrano, senza contare che la cura suggerita dagli esperti del sito americano per questa curiosa paura è la stessa consigliata anche per curarne un'altra, non meno originale, la "coulrofobia", la fobia dei clown, e chi ne soffre fa meglio a stare alla larga dal circo.

Tuttavia uno psicologo interpellato dal New Scientist concede che qualcosa di vero in fobie di questo tipo potrebbe esserci. "Non è poi così insolito avere delle paure bizzarre", dice Robert Endelmann, psicologo membro della National Phobics Society. "Si tratta sempre di retaggi ancestrali, che ci riportano agli albori della specie umana. Aver paura di queste cose poteva essere utile alla sopravvivenza dei nostri progenitori".

La lista compilata dal sito Usa, bisogna dire, comprende fobie che i nostri progenitori certamente non potevano conoscere, come l'octofobia, la paura del numero otto, la telefonofobia, la paura del telefono, la xantofobia, la paura del colore giallo, l'aulofobia, la paura del flauto, la pentherafobia, la paura della suocera (che, ammettiamolo, sembra più ragionevole), l'odontofobia, la paura dei dentisti (ragionevole anche quella). È possibile che il logorio della vita moderna, per citare un vecchio slogan pubblicitario, abbia aumentato il numero delle fobie di cui soffriamo? Il professor Endelmann non ne è del tutto convinto: crede piuttosto che oggi siamo più propensi a dare un'etichetta, insomma a dare un nome, a qualsiasi cosa che ci dia un turbamento. Ma poiché le fobie nascono da un'esperienza traumatica, dichiara la psicologa Emma Citron, specializzata nel trattamento dell'astrofobia (la paura dei tuoni), a priori non si può escludere niente, o quasi. Il Times ironizza che stranamente il catalogo delle paure "online" non contiene la fobia dei "siti Internet ripetitivi" o delle "strategie di marketing idiote". E un terzo psicologo, infastidito dalle domande dei reporter del quotidiano londinese, rivela di soffrire della "fobia dei giornalisti". Speriamo che, se questa esiste davvero, un giorno o l'altro non si diffonda anche in Italia.

(12 gennaio 2008)
fonte http://www.repubblica.it

vedi anche http://www.iltuopsicologo.it/Fobie.asp

 
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L'amore per dolci e carboidrati? Colpa del "sesto senso" del cervello

Post n°4 pubblicato il 27 Marzo 2008 da iltuopsicologo1964
 

di ALESSIA MANFREDI

 

DOLCI, carboidrati, grassi: se non riuscite proprio a farne a meno, potete evitare di sentirvi in colpa. La preferenza per questi alimenti non è casuale: c'è un "sesto senso" nel cervello che porta dritto alla scelta dei cibi ricchi di calorie, che attivano il sistema di ricompensa cerebrale.

La scoperta di un gruppo di ricercatori guidati dal dottor Ivan de Araujo, della Duke University negli Stati Uniti e pubblicata su Neuron, fa luce sui meccanismi che attivano questo sistema di gratificazione interna e potrebbe aiutare a spiegare meglio le cause dell'obesità.

Nel loro esperimento, i ricercatori hanno usato topi geneticamente modificati che non sono in grado di riconoscere i sapori dolci perché privi di un componente chiave dei recettori del gusto, che permettono loro di percepire il dolce. In una serie di test hanno messo a confronto i topi insensibili al dolce con animali normali, osservando le loro preferenze rispetto ad una soluzione contenente zucchero ed una contenente un dolcificante ipocalorico, con potere dolcificante 600 volte superiore rispetto al saccarosio. Risultato? L'acqua zuccherata ha vinto nettamente su quella con il dolcificante, anche per i topi non in grado di sentire il sapore dolce che però l'hanno preferita lo stesso a quella "light". A dare piacere, quindi, non è tanto il sapore del cibo quanto direttamente il suo contenuto calorico.

"Il sistema di ricompensa del cervello può essere descritto come l'insieme delle regioni cerebrali che permettono agli animali, uomo compreso, di individuare gli stimoli esterni importanti per la loro sopravvivenza e di 'aggiustare' le risposte comportamentali in modo da moltiplicare le possibilità di incontrare tali stimoli in futuro: fra questi ci sono i cibi appetitosi come carboidrati o grassi, ma anche le immagini di tipo sessuale", spiega il dottor Ivan Araujo, che ha diretto lo studio.


Un elemento chiave di questo sistema è la dopamina, un neurotrasmettitore che risponde in modo forte al gusto dei cibi particolarmente gradevoli al gusto, ricchi di zuccheri e grassi.

"Il gusto - continua Araujo - è un meccanismo ausiliario che ci aiuta a trovare la vera ricompensa, cioè le calorie": e lo studio ha dimostrato che il sistema di ricompensa interno degli animali viene attivato dall'assunzione di calorie, indipendentemente dal sapore; e i livelli di dopamina, l'ormone del benessere, crescono in base all'assunzione di calorie, non al sapore dei cibi assunti.

"Ciò significa che i percorsi all'interno del cervello non 'codificano' esclusivamente l'impatto edonistico, sensoriale, del cibo, ma possono svolgere anche funzioni non osservate in precedenza, fra cui l'identificazione di segnali metabolici e gastrointestinali" spiegano ancora i ricercatori.

Un cambio di prospettiva rilevante: "Fino ad ora si pensava che i meccanismi di gratificazione legati all'assunzione del cibo dipendessero da canali sensoriali come il gusto, l'olfatto, la vista" commenta il professor Stefano Cappa, preside della Facoltà di Psicologia dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. "Ma il modello sperimentale proposto in questo lavoro, molto interessante, mostra invece che c'è la possibilità di avere un meccanismo diretto di ricezione diretta delle calorie, di per sè gratificanti".

Dal punto di vista dell'evoluzione, ha senso. Se oggi ci troviamo in un'epoca di abbondanza di cibo per una grossa fetta della popolazione - continua Cappa - storicamente non è stato sempre così: "L'evoluzione può aver privilegiato un meccanismo che porta all'assunzione di alimenti ad alto contenuto calorico, necessario per la sopravvivenza, indipendentemente dal loro sapore".

Lo studio potrebbe aiutare anche a capire meglio le cause dell'obesità, spiegando, ad esempio "perché alcune persone mostrano una decisa preferenza per cibi calorici anche a lungo termine, nonostante i tentativi di sostituirli con versioni meno caloriche, ma ugualmente piacevoli al gusto", conclude Araujo.

(26 marzo 2008)
fonte www.republica.it

 
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Medicina: Lo Studio, Scoperti i Geni Della Felicita'

Post n°3 pubblicato il 26 Marzo 2008 da iltuopsicologo1964
 

Adnkronos - Mer 5 Mar - 19.02

Roma, 5 mar. (Adnkronos Salute) - La felicità è scritta nel nostro Dna. La 'buona sorte' nasce da un fortunato mix di geni che determina la nostra personalità consentendo ai più fortunati di sorridere alla vita. Le relazioni personali, il fidanzato ideale, amici sinceri, buona salute e una carriera invidiabile sicuramente aiutano: incidono sull'happiness di un buon 50%. Ma per il resto, è la genetica a far la differenza. La prova arriva da uno studio condotto su ben 900 coppie di gemelli dagli psicologi dell'università di Edimburgo in collaborazione con i ricercatori dell'australiano Queensland Institute for Medical Research. La ricerca sui gemelli consente agli studiosi di identificare i geni in comune tra i due fratelli, e vedere così l'eventuale 'link' con il tema che si sta indagando. In questo caso, i ricercatori hanno passato sotto la lente di ingrandimento i tratti del Dna che sembrerebbero definire alcuni aspetti della personalità determinanti per la gioia di vivere. E, usando un modello noto in psicologia come quello dei cinque grandi fattori di personalità, i cosiddetti 'Big Five', i ricercatori hanno visto che le persone che non si preoccupano troppo, sono socievoli e coscienziose tendono ad essere più felici. Il mix di geni che ne tratteggiano la personalità finisce per agire come un argine quando accadono cose negative, aggiungono gli autori dello studio pubblicato sulla rivista 'Psychological Science'. In altre parole, il Dna - nei più fortunati - crea una sorta di 'riserva di felicità' ereditaria, alla quale attingere nei momenti bui. Dal papà o dalla mamma, dunque, è possibile ereditare non solo i capelli di un colore piuttosto che di un altro, o gambe snelle e lunghe, ma anche la chiave per essere felici. "La ricerca della felicità - spiega Alexander Weiss, dell'università di Edimburgo - è un desiderio umano basilare, come può esserlo, ad esempio, il bisogno di libertà. Anche se la felicità è influenzata da una vasta gamma di fattori esterni, abbiamo scoperto che vi è una componente ereditaria della felicità che può essere spiegata interamente dall'architettura genetica della personalità".

Per maggiori informazioni visita Adnkronos

 
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Allarme Suicidi, Fanno Piu' Vittime Delle Guerre

Post n°2 pubblicato il 26 Marzo 2008 da iltuopsicologo1964
 

Agi - Gio 6 Mar - 18.50

(AGI) - Montevideo, 6 mar. - I suicidi fanno oltre un milione di vittime all'anno nel mondo: piu' delle guerre, degli omicidi e degli incidenti stradali. Secondo il presidente dell'International association for suicide prevention (Iasp), Brian Mishara, il tasso globale dei suicidi e' cresciuto del 60 per cento negli ultimi 50 anni e le societa' dovrebbero interrogarsi su questo fenomeno che la prevenzione puo' contribuire a combattere drasticamente. "Il suicidio esiste da sempre", ha affermato Mishara, professore di Psicologia all'Universita' del Quebec, "molte societa' dedicano a questo problema poca attenzione", ma quelle che hanno investito nella prevenzione hanno avuto risultati significativi. Per esempio, ha spiegato, "negli Stati Uniti il tasso e' sceso ragionevolmente e siano propensi a ritenere che cio' sia dovuto al fatto che l'Amministrazione ha investito nella prevenzione". Il tasso di suicidi e' particolarmente alto tra gli uomini (28 su 100.000; contro 7 su 100.000 tra le donne) ovunque tranne che in Cina dove la discrepanza tra i generi si assottiglia. Da Montevideo, dove il prossimo anno si terra' il 25simo Congresso mondiale sulla prevenzione, Mishara ha poi spiegato che i Paesi dell'ex blocco sovietico guidano la classifica dei morti per suicidio: in base alle cifre dell'Organizzazione mondiale della Sanita' (Oms) in Lituania si uccidono 70 uomini e 14 donne ogni 100.000; in Russia 61,6 e 10,7. "La gente non si toglie la vita perche' vuole morire", ha sostenuto, "la gente si uccide perche' non vede alcuna speranza di sentirsi meglio in futuro". Per l'Italia l'Oms ha a disposizione dati che risalgono al 2002, secondo i quali il tasso di suicidi e' di 11,4 uomini e 3,1 donne ogni 100.000. -

 
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Psicologia: i soldi rendono felici? solo se li doni

Post n°1 pubblicato il 26 Marzo 2008 da iltuopsicologo1964
 

Ansa - Ven 21 Mar - 12.28

(ANSA) - ROMA, 21 MAR - Chi ha detto che i soldi non fanno la felicita'? Tutt'altro, ma per comprarla bisogna spenderli per gli altri, in doni o beneficenza. Lo rileva uno studio della University of British Columbia in Canada in base ad alcuni sondaggi, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Science: la felicita', dunque, passa per il possesso di soldi solo quando questi sono devoluti da chi li possiede in cause benefiche o semplicemente per acquistare un dono per una persona.

 
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