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Alla volta del cielo

Post n°38 pubblicato il 30 Luglio 2013 da fenice1963

 

Tra le nuvole

(Lei) 

 


"... E lascio vagar la mente tra le nuvole ritrovando, a volte, dietro di esse, qualche vecchio pensiero smarrito..."

 

 

Mi rendo conto che di pensieri e sogni ne ho smarriti parecchi. mi chiedo, allora, se non sia giunto il momento di recuperarli. Decide il mio cuore per me ed è sì.

Mi accingo quindi a intraprendere un viaggio: percorrendo un arduo sentiero di montagna, potrei arrivare molto in alto e, da lassù, scrutare il cielo sotto di me, alla ricerca di quanto perduto.

I miei pensieri saranno sicuramente lì, tra le bianche nuvole, a rincorrersi e a giocare, ignari che avrebbero dovuto concretizzarsi nella realtà della mia vita.

Andrò a riprenderli tutti, e non li lascerò più andar via.

Decido fermamente di partire.

Non occorre caricarmi inutilmente di bagagli e fardelli, per procedere con passo spedito lungo un arduo sentiero di montagna è meglio sentirsi leggeri. 

Per muovere il mio cuore e la mia mente porterò solo due cose: il desiderio e la volontà.

Liberandomi quindi dei vecchi rancori e delle inutili recriminazioni intraprendo il mio viaggio.

 

 

 

 

 

Il monte che ho scelto è quello che conosco già attraverso foto ricordo, trovate rovistando fra le sue cose. Ha sempre avuto due passioni: la montagna e la fotografia. Quel giorno doveva sentirsi davvero felice. Giunto sulla vetta del monte Viglio aveva sotto di sè l'immensità del cielo. Ha scattato numerosissime foto, a nuvole bianche, leggere, curiose, dispettose... Quando a fotografare non era lui, ma un altro del gruppo di intrepidi alpinisti, nelle foto appare anche un ragazzo giovane, con riccioli scuri che incorniciano un viso intelligente. Erano abbastanza lunghi da fuoriuscire dal cappelletto di lana che, probabilmente, non ha mai tolto. Indossava poi una giacca a vento dello stesso colore del cielo, aperta su un maglioncino a righe, vivace e colorato. Sotto, pantaloni a coste di velluto marrone che gli arrivavano appena sotto le ginocchia, pesanti calzettoni di lana bianca e scarponi da trekking.

 

 

Il gran giorno, quello della scalata al monte Viglio, appartiene al bagaglio dell'anno 1981. Due anni dopo, il giovane alpinista avrebbe conosciuto quella che ben presto sarebbe diventata la sua terza passione: me!

Forse già ci pensava ad un grande amore, lassù, su quella montagna che aveva appena conquistato. Con gli occhi persi nel cielo terso di quel mattino, l'alpinista ricordava amori passati e sognava quello futuro. Di avventure ne aveva avute parecchie, soprattutto durante il periodo estivo, quando le calde serate sotto le stelle favorivano il fiorire delle amicizie. Sì, c'era stata più di qualche donna che gli aveva reso l'estate ancora più calda. L'alpinista aveva un'enorme carica emotiva ed era indubbiamente un ragazzo passionale. Aveva lasciato il segno nel cuore di molte ragazze, una di loro continuava a gironzolargli intorno anche dopo l'incontro con me.

Più che gelosa, la cosa mi aveva reso ancora più orgogliosa di lui: era un ragazzo affascinante e apparteneva a me. Ero ancora nella tipica fase giovanile in cui pensi che l'altro ti appartenga, poi avevo maturato l'idea di un amore totalmente estraneo all'idea di possesso. Pensavo che il ragazzo della montagna mi seguisse in questo percorso in ascesa, pensavo anzi di procedere pari passo con lui, poi un giorno...

La ragazza che aveva continuato a telefonargli e a spedirgli bigliettini di auguri a Natale e a Pasqua , manifestò l'intenzione di venirci a trovare di lì a qualche giorno. Aveva molto desiderio di rivedere lui e di conoscere me, la donna che lo aveva conquistato. Accettai la cosa serenamente. Certo, non ne ero entusiasta ma comunque curiosa di conoscere un suo vecchio amore: mi aveva parlato spesso di lei, descrivendomela bella nel portamento e nei modi. Ricordava i suoi lunghi capelli rossi, gli occhi da gatta, il modo di camminare tipico delle modelle in passerella. 

Il fatto che me ne parlasse lo ritenevo un buon segno (nella vecchia fase di concezione di possesso la cosa mi avrebbe infastidita) e nonostante mi ritenessi completamente diversa, non temevo il confronto. Dopotutto aveva scelto me e questo doveva ben significare qualcosa.

Avevo continuato a curare il mio aspetto durante la convivenza ma la vita sedentaria aveva favorito qualche chilo di troppo. Purtroppo non ero riuscita neppure a iscrivermi a una palestra, nonostante me lo ripromettessi da parecchio.

Però, anche leggermente rotondella mi piacevo.

Non mi sconvolse la sua reale bellezza: riuscii a rimanere perfettamente tranquilla, anche dentro, quando finalmente arrivò. L'aveva accompagnata il suo uomo, anch'egli molto alto e con i capelli scuri tutti dritti. Mi sembrò contemporaneamente un bell'uomo e un ragazzone buffo con quei capelli ispidi. Mi fece anche una buona impressione vedendolo premuroso e gentile verso la sua donna a tavola e simpatico e rilassato con noi sul divano.

Lei mi piaceva molto: era esattamente il tipo di donna che ammiravo e che purtroppo io non riuscivo ad essere. Si muoveva con molta grazia e l'altezza le era notevolmente di aiuto. Parlava in modo pacato e senza gesticolare, solo guardandoti dritto in viso.

Riusciva ad essere un'ospite gradevole, rilassandomi mostrandosi rilassata, interessandosi alla mia vita e alla casa senza sembrare eccessivamente curiosa. Quando poi, uscendo dal bagno, si congratulò per le asciugamani bellissime, mi conquistò letteralmente.

Mi insegnò, in quei pochi giorni che fu nostra ospite, a essere un po' più femminile ed esigente. Lei curava molto la sua persona, in modo globale, dall'intimo di se stessa fino all'aspetto esteriore. L'accuratezza nel vestire e nel muoversi era il riflesso di una chiarezza interiore. Sapeva sempre cosa voleva e non aveva difficoltà a chiedere, esigere, ottenere... era quella che nella vita poteva considerarsi una vincente. Ed era quasi sempre esigente. In un bar non si accontentava del cappuccino tiepido se lo desiderava bollente, di un tè qualunque se lo aveva chiesto di Cylon. Possedeva una grinta divinamente femminile, per conquistarsi il benessere materiale e spirituale.

Consapevole del fatto che non avrei mai potuto essere come lei, potevo comunque far tesoro di quanto avevo visto e ammirato e la dolce fanciulla (così mi aveva definita) poteva imparare ad essere un po' meno accomodante e più attenta alle sue esigenze.

Anche il mio compagno poteva imparare dal suo uomo ad essere un po' più rilassato nei confronti della vita. Quest'uomo possedeva infatti la capacità di prendere sul serio anche le piccole cose e quella di affrontare positivamente e serenamente quelle più gravi. Inoltre si era reso disponibile anche in casa, sparecchiando e aiutando ad asciugare i piatti con la massima semplicità. Il mio lui questo non l'aveva mai fatto. 

L'intrepido alpinista era diventato un pigrone, uno di quegli uomini che aspettano il caffè comodamente seduti sul divano e che desiderano gli si passi l'accappatoio per uscire dalla doccia. I calzini li voleva rammentati e ben riposti nel primo cassetto del comò e desiderava indossare puntualmente l'unica camicia non ancora stirata.

Dire che ho passato gli anni migliori della mia vita a cercare di essere perfetta ai suoi occhi, facendo esattamente tutto ciò che si aspettava da me e soffrendo terribilmente quando non ci riuscivo. Niente mi faceva più male che leggere nei suoi occhi un'ombra di delusione quando non trovava la casa in ordine e il pranzo lasciava a desiderare.

Quando poi mi parlava delle stupende donne con cui lavorava, sempre in ordine e impeccabili, mi sentivo davvero morire nella mia comoda tuta da casa (i calzettoni li toglievo sentendolo rientrare).

Confrontavo la mia vita con quella della mia ospite. Lei che inceneriva il suo uomo con i suoi occhi blu se questi usava espressioni poco gentili nei suoi confronti, era vezzeggiata e trattata alla stregua di una principessa, io che mi mostravo sempre dolce e accomodante ero considerata una parte dell'arredamento, andavo protetta come un bel mobile di casa, utile e funzionale.

Durante la cena si era parlato delle nostre vite in comune e i confronti erano stati inevitabili. La donna con cui mi confrontavo veniva coinvolta in ogni scelta, anche perchè lei faceva sentire la sua presenza, io venivo spesso lasciata fuori ed accettavo ciò senza replicare.

Dovevo prendere coscienza di una cosa: adoravo l'uomo con cui ero andata a vivere e avevo lasciato che fosse quello che lui desiderava essere: un capo.

Ecco perchè le cose cominciarono a cambiare dopo la visita dei nostri ospiti. Il cambiamento, anche se iniziò lentamente, sconvolse le nostre abitudini e la nostra serena e tranquilla vita familiare.

I miei occhi si spalancarono su una realtà che avevo ignorato fino a quel momento: l'uomo che avevo scelto non era un dio e non era nemmeno stato giusto da parte mia considerarlo tale. In effetti, la mia adorazione nei suoi confronti era cominciata a scemare quando mi ero accorta che non era affatto l'uomo forte e sicuro di sè su cui potevo contare e fare affidamento, come invece avevo immaginato. La sicurezza che ostentava era soltanto una maschera, un modo per coprire i vuoti che avvertiva dentro, esattamente come faceva mio padre. L'idea che l'uomo che avevo scelto potesse assomigliare a mio padre mi faceva gelare il sangue nelle vene. Non avevo mai stimato quello che consideravo un semplice datore di sperma, neppure di vita, perchè ho sempre avuto la sensazione che la vita scaturita dal suo atto sessuale fosse semplicemente un avvenimento della natura, senza che lui ne avesse piena consapevolezza. Del resto non lo aveva mai fatto il padre. Di cosa quindi dovevo essergli grata? Di avere un organo genitale e di averlo usato, traendovi tra l'altro piacere?

Il mio uomo non poteva aver nulla in comune con un individuo che non sapeva ascoltare, comprendere, amare... Lo avevo scelto proprio perchè sapeva ricoprirmi di attenzioni, riuscendo a essere così forte e tenero nello stesso tempo, protettivo e rassicurante nei miei confronti. Era piacevolissimo lasciarsi andare fra le sue braccia, spogliarsi di preoccupazioni e dilemmi, puntare tutto sull'uomo straordinario che avevo accanto e che desideravo per il resto della mia vita. Che mi comprasse personalmente gli abiti da indossare era considerato anch'esso un atto di grande premura. Così la decisione di farmi interrompere il lavoro per potermi dedicare alla famiglia, così anche ... una varietà di episodi riconducibili tutti a un'unica motivazione: proteggere la famiglia nascente e proteggere significava amare.

Sono giunta all'amara conclusione che se quest'uomo non mi  amasse forse mi renderebbe felice!

 

 

 

 

 

Vorrei ritrovare sulla cima del monte, tra le nuvole, tutti i miei vecchi sogni, rispolverarli e renderli belli e lucenti.


Io non so che genere di ragazza il giovane alpinista sognasse, ma sicuramente doveva somigliare a me se, conoscendomi, si è sentito così fortemente attratto.

Il trasporto con cui lo amavo e il modo in cui mi lasciavo amare era esattamente ciò che cercava. E io, cosa cercavo?

La sicurezza, certamente. Quella che mio padre non mi aveva mai dato. L'alpinista per certi versi sì, per altri no. Poi, sono comunque cresciuta e ho imparato una cosa fondamentale: quello che vuoi lo devi trovare dentro di te. Gli altri non sono sempre disponibili a fare esattamente quello che desideri e hanno tutto il diritto di essere quello che sono.

Forse il mio alpinista non è quello che credevo o forse lo è stato ed è cambiato nel corso degli anni, come del resto sono cambiata io.

Credo che, come ha detto una mia amica con la quale mi sono confidata ultimamente, bisogna partire dal presente.

 

 

 

 


Sono ai piedi di un monte che mi sembra altissimo, ma ho tutta l'intenzione di giungere alla cima per riprendermi, dietro quella vecchia, grossa nuvola, il mio sogno più bello: condividere il resto della mia vita con qualcuno che sappia semplicemente... ascoltarmi.

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel profondo ho il desiderio che ci sia l'alpinista della foto ad attendermi, lì sulla vetta. Vorrei che vedendomi arrivare mi riconoscesse come la ragazza dei suoi sogni, mi dicesse semplicemente Ciao e respirasse con me aria nuova.

 

 

 


Potrebbe aprire il suo cuore all'ascolto del mio.

Gli svelerebbe in quali trappole dell'amore sente di essere finito , se solo volesse finalmente ascoltarlo.

Gli direbbe che l'amore non finisce laddove si accorge che è rimasto intrappolato in un sentimento che lo attanaglia senza possibilità di espansione.

Gli direbbe che l'amore continua a rimanere amore ma non può più essere vissuto.

Gli direbbe, sofferente, ancora ti amo  ma gli direbbe anche che è un amore malato.

Allora, se davvero amiamo il nostro amore, lo lasceremo libero di guarire o di morire. E qualunque scelta l'amore farà, noi... lo avremo amato.  

 

 
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