Donne alate

Post n°43 pubblicato il 08 Marzo 2014 da fenice1963

 

Le nostre mani...


 

 

 

 

 

 

 

... che imparino ad accarezzare anche il nostro cuore

 

 

 

 

 

 

e ad abbracciare la nostra anima

 

 

 

 

Le nostre corse e i nostri voli...

 

 

 

 

Il magico mondo che abbiamo dentro...

 

 

 

 

Le nostre fantasie...

 

 

 

 

I sogni e i desideri...

 

 

 

 

Il nostro mistero...

 

 

 

 

 

 

che URLA per vedere la luce

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E se abbiamo un segreto...

 

 

lasciate che sia un segreto

 

 

 

 ... anch'esso, nel cuore di una donna, emana la sua luce.

 

 

 

 

 

Questo è il nostro coraggio...

 

 

 

 

 

Svelare i palpiti del proprio cuore

denudare la propria anima...

e nascondere il tormento di entrambi.

                           (fenice)

 

 

 

 

 

 

 
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alla volta del cielo

Post n°42 pubblicato il 18 Settembre 2013 da fenice1963

Uccelli in volo

(La terza storia)

 

 

Sono Adelaide. Mi presento così perchè non sono ancora riuscita a trovare un diminutivo a questo nome orribile.

Non mi è mai piaciuto il mio nome e, a pensarci bene, niente mi è mai piaciuto di me. Rispetto alle mie amiche mi sono sempre sentita inferiore, per un motivo o l'altro. Il mio viso era quello maggiormente segnato dai brufoli adolescenziali e, sentendomi brutta, diventavo anche impacciata nei rapporti con gli altri.

Per questo alle feste di compleanno mi appiccicavo al muro e vi restavo tutto il tempo, mentre le altre si sfrenavano in ogni tipo di ballo. Mi sarei messa a piangere quella volta che quel ragazzo carinissimo mi venne a chiedere di ballare e io scossi la testa, senza neppure riuscire a spiccicare una parola.

A casa, davanti allo specchio, cercai allora di esercitarmi in qualche tipo particolare di ballo, ma il mio corpo non conosceva il ritmo. Persino Lilla, che era più grassottella di me, sapeva muoversi con grazia quando ballava.

Non potevo neppure unirmi a loro quando si attorniavano a Pio, un vero artista con la chitarra, e cantavano le più belle canzoni italiane. Ero anche stonata. Me lo aveva fatto capire Lilla al catechismo, quando con una gomitata mi aveva fatto smettere l' Alleluia. Cercavo comunque di non isolarmi, per questo continuavo a partecipare alle feste di compleanno, pur senza ballare, e a far parte del gruppo di catechiste, pur senza cantare. Questi erano i miei limiti: il mio corpo e la mia voce non riuscivano a rendere il meraviglioso mondo che avevo dentro. Soprattutto mi sentivo priva del piacere di poter liberare il canto che mi sgorgava dal profondo.

Eppure sono riuscita a trovare il modo di farlo.

Un giorno una trasmissione televisiva catturò la mia attenzione. Si trattava di un servizio sugli aquiloni.

Un bellissimo mondo mi si prospettò davanti, mentre se ne inquadravano tantissimi, dalle forme più strane e dai colori sgargianti. L'intervistata, una giovane donna che li progettava e costruiva, ne teneva uno a forma di stella e mentre questo seguiva il vento, lei ne illustrava le caratteristiche: si trattava di un aquilone piano, dalla forma geometrica, perfettamente simmetrica, provvisto di coda; nella costruzione di simili aquiloni occorreva essere molto precisi e utilizzare materiali leggerissimi. Mi sembravano leggeri anche i pensieri della donna mentre, attraverso quel filo che le partiva dalle mani, arrivavano fino a quel cielo splendido che si sprigionava dallo schermo del televisore di casa mia.

 


"La velatura dell'aquilone deve essere molto leggera, ma nello stesso tempo resistente" spiegava la donna, senza mai lasciare con gli occhi quello che mi sembrava il suo sogno.

Per costruire un aquilone, appresi, si può usare carta velina, carta di riso, carta da pacchi o seta. Sulla carta si possono fare disegni e decorazioni da dipingere con pennarelli colorati o con strisce di carta incollate, senza però appesantire troppo.

La donna che li costruiva era stata inquadrata, quindi, mentre decorava un bellissimo aquilone a forma di farfalla e sembrava che prestasse molta attenzione alla simmetria. Poi l'immagine seguente fu di nuovo quella che la proiettava verso il cielo, aggrappata alla sua stella.

Dalla velatura passò a parlare della nervatura spiegando che solitamente il telaio dell'aquilone è costruito con il bambù o la canna delle paludi, che si può trovare nei negozzi di giardinaggio. Si possono utilizzare anche asticciole di tiglio, faggio e ramino, disponibili invece presso i negozi di modellismo.

Da tutto quello che andava dicendo emergeva che la caratteristica fondamentale era la leggerezza, rapportata alla flessibilità e alla resistenza. Parlò anche del cavo di briglia, che ha la funzione di costringere l'aquilone a salire sotto la spinta del vento e di mantenerlo nella giusta posizione per il volo. Anche di briglie ne esistono vari tipi e si differenziano principalmente per il numero di cavi da cui sono composte.

 

 


"Quanto devono essere lunghi i cavi di briglia?" le chiese il giornalista che stava conducendo il servizio.

"Una briglia non deve essere nè molto lunga, nè troppo corta - rispose l'esperta - altrimenti l'aquilone o perde facilmente la tensione sotto la spinta del vento e si comporta in modo imprevedibile o non si assesta in presenza di turbolenze del vento."

"Assieme alla briglia - concluse - le code mantengono il giusto assetto dell'aquilone, rendendo più stabile il volo."

Queste, spiegò, sono realizzate con carta crespa o velina, con stoffa o nylon. Le più semplici sono lunghe striscie di carta fissate agli angoli oppure riunite insieme in un solo punto.

Il servizio terminava con l'immagine di un aquilone a forma di uccello che ben esprimeva il sogno del volo.


 

 

Mi rimase dentro per molto tempo, anche quando sullo schermo apparvero altre immagini e non in sintonia col volo.

Qualche giorno dopo mi ritrovai sola in casa. I bambini erano a scuola, mio marito al lavoro e io mi godevo il mio giorno libero. Veramente, finiva con l'essere il giorno più faticoso di tutta la settimana per tutto quello che programmavo di fare. Anche quella volta cominciai la routine del mercoledì: spalancai le finestre della camera, disfeci il letto e lasciai che il materasso prendesse aria.

Poi, mentre radunavo in giro i panni per il bucato, l'idea di fare qualcosa di diverso cominciò a balenarmi nella mente. Così, in fretta e furia avviai la lavatrice e, senza perdere altro tempo, mi chiusi nello studio. In breve radunai il materiale occorrente per realizzare quello che avevo in mente: carta velina, righello, matita, forbici, taglierino, nastro adesivo, filo di nylon, colla.

 

Cominciai la costruzione dell'aquilone cercando di ricordare quello che esattamente aveva detto l'esperta durante l'intervista. Così tagliai i fogli di carta velina lungo la diagonale, li unii con la colla. Poi, tagliai l'asticciola 10x2cm e la fissai verticalmente agli angoli con il nastro adesivo. Fissai anche l'asticciola orizzontale facendo attenzione che la carta rimanesse tesa e le due parti fossero simmetriche tra loro (ricordavo che l'esperta aveva dato molta importanza alla simmetria, durante l'intervista).


 

Per evitare strappi alla velatura, rinforzai il perimetro dell'aquilone con il nastro adesivo trasparente ed anche gli angoli con nastro adesivo largo e resistente, facendo in modo che aderisse bene all'asticciola. Ad un terzo circa del longherone, rinforzai la velatura sempre con il nastro adesivo, poichè in quel punto avrei dovuto legare il secondo cavo di briglia. Aiutandomi con un ago feci passare il filo attraverso la velatura e lo legai sul vertice superiore dell'aquilone. Tendendo bene il nodo lo ripetei più volte, fino a quando il filo di briglia fuoriuscì dalla parte opposta della nervatura. Era un suggerimento che l'esperta aveva dato per evitare che il vento strappasse la velatura dalle asticciole. 

 

 


Misurai una quantità di filo pari al perimetro dell'aquilone e ne legai un'estremità alla parte inferiore dell'aquilone. Infine aggiunsi le code ai vertici laterali e a quello inferiore. Quando l'aquilone fu pronto ne fui entusiasta: l'avevo realizzato senza neppure l'ausilio di una guida, ricordando solo quanto avevo appreso nell'intervista e osservando un aquilone realizzato da mio figlio durante un laboratorio artistico a scuola. Fu proprio guardando il suo aquilone che mi venne un'ulteriore idea. Egli vi aveva disegnato un bel calciatore perchè, in quel periodo, desiderava entrare a far parte della stessa squadra di calcio del suo amichetto preferito.

Se, anch'io avessi dato al mio sogno un simbolo? Lesta presi la matita e tracciai pochi significativi tratti sulla carta. Ritagliai il disegno e lo incollai sull'aquilone azzurro.

Era passata buona parte della mattinata, quindi spensi la lavatrice senza preoccuparmi di stendere il bucato, infilai velocemente una tuta da ginnastica e, con l'aquilone sotto il braccio, mi avviai alla macchina.

Perchè il mio aquilone "spiccasse" il volo c'era bisogno del vento.

 

Non fu mai vento senz'acqua, non fu mai pioggia senza vento. Prima il vento poi la brina l'acqua in terra domattina.


Non so perchè ripetevo questo vecchio proverbio durante il tragitto in macchina, verso il luogo ideale per far volare il mio sogno.

Lo raggiunsi dopo solo quindici minuti di macchina. Respirai a pieni polmoni quell'aria frizzantina e, senza togliermi la giacca a vento verde smeraldo, cominciai a sciogliere il filo dell'aquilone.

Quando fu in alto vi incollai gli occhi, proprio come avevo visto fare all'esperta in tv, e sentii il cuore riempirsi di emozioni. Mi sarebbe piaciuto costruire un aquilone più sofisticato, magari a forma di gabbiano. Amavo molto questi volatili e seguirne uno in volo era ogni volta una bella emozione. Il mio aquilone, semplicemente a forma di rombo, era comunque un uccello in volo. Il disegno che avevo velocemente realizzato, come espressione del mio desiderio più grande, era infatti una piuma. L'avevo poi un po' decorata, senza esagerare. Ora era lassù, in balia del vento proveniente da chissà dove. Non riuscivo a vederla ma ne ricordavo benissimo i tratti e, soprattutto, ne avvertivo nel cuore la punta. Come il gabbiano si lancia in picchiata nel mare cobalto avvistando l'aringa, così la mia piuma era protesa verso il suo mare azzurro, l'inchiostro. 

 

 

 

Correvo col mio sogno nello spazio infinito di quel mattino tutto mio ed ero felice. La mia corsa era già come un canto.

 

 

 

 

Avevo scoperto il modo per udire e far udire la mia voce ed era un modo molto simile al canto. Un modo che mi avrebbe fatto continuare a volare perchè quando scrivere è un'esigenza e dà emozioni fortissime equivale al volo degli uccelli.

E' volare nella propria fantasia, oltrepassando limiti che la fantasia non ha.

 

 

 

E questa è la storia di una giovane donna che uscendo da se stessa vi è ritornata carica di iNFINITO.

 

 

 

 

 

 

 
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Alla volta del cielo

Post n°41 pubblicato il 25 Agosto 2013 da fenice1963

Uccelli in volo

(La seconda storia)

 

 

 

 

 

 

 

Ero proprio una bella pollastrella. Mi chiamavano Aldina la rossa. Le mie piume, infatti, stavano assumendo una bella tonalità ramata e questo mi portava a pavoneggiare fra le compagne. Sicuramente un bel maschio della mia specie si sarebbe accorto della mia bellezza, mi avrebbe corteggiata e dall'accoppiamento sarebbero nati tanti bei pulcini.

 

 

Il mio orizzonte era questo e nello spazio ridotto entro cui ci muovevamo era davvero il massimo. Non sopportavo però i polli che si atteggiavano a galletti.

 

 

Il mio compagno doveva conquistarmi con dolcezza e tenerezza, facendomi sentire l'unica gallina del suo cuore, al centro del suo piccolo universo. Già, perchè l'universo dei polli è davvero limitato.

 

 

Non so per quale strano motivo, nel mio minuscolo cervello (dicono tutti che è il più piccolo dei cervelli, ma io ho delle perplessità al riguardo!) si insediarono una serie di grandi velleità. Prima fra tutte il volo.

 

 

Avevo visto un giorno un grande uccello attraversare il mio cielo. Ero con un'amica e entrambe rimanemmo affascinate da quel maestoso volatile che sovrastava gli alberi, i campi. Fu come se avesse rapito il mio cuore e lo avesse portato chissà dove.

 

 

 

 

Qualche giorno dopo mi sorpresi ad allargare le mie ali piumate più che potevo, desiderosa di provare l'ebbrezza del volo. Questo fu basso e breve come sempre ma qualcosa dentro mi suggeriva di ritentare. Cominciai così ad esercitarmi, giorno dopo giorno, trascurando il cibo, le compagne, i polli e i galletti... il mio cielo si era incredibilmente colorato di azzurro e volevo intensamente esplorarlo. Poi, dopo un ennesimo volo, abbastanza deludente, mi rassegnai a tornareal pollaio, rinunciando al mio sogno più bello. E lo rividi. Il meraviglioso esemplare di uccello tornò ad attraversare il nostro cielo e, come l'altra volta, lo guardai incantata.

 

 

 

Compresi che dovevo riuscire in quell'impresa o non sarei mai più stata felice.

 

 

 

 

Le mie compagne, accorgendosi di quanto cercavo di fare, cominciarono a prendersi i gioco di me. Prima faceva il pavone, ora vuole fare l'aquila sentii dire da una di loro.

"Bhe - le risposi a becco stretto - è una vita che tu fai l'oca!!!"

La mia amica, quella che aveva assistito al volo dell'incredibile uccello, le rispose più diplomaticamente che non era poi un'impresa tanto assurda. Aveva sentito di un certo Anthony De Mello, scrittore gesuita, di alcuni polli che erano riusciti a librarsi in alto, proprio come le aquile.

Non persi altro tempo e chiesi alla mia amica di dirmi qualcosa in più di questa storia. Lei mi confermò che era una teoria abbastanza insolita, criticata anche da alcuni cattolici che ritenevano i polli i veri adoratori, il perchè l'ho capito poco.

Tu che ne pensi? chiesi allora alla mia amica. Tenevo in gran considerazione il suo parere perchè il suo cervello doveva, probabilmente per qualche anomalia della natura, essere un fuori misura.

L'assurdo è solo un'opinione e l'incredibile non è ciò che non accade ma ciò a cui non si crede. Quindi decidemmo che optando per un'opinione diversa, sia pure di minoranza (eravamo solo in due) e una fede più forte, avremmo anche potuto tentare l'impresa.

Ci demmo davvero dentro, non risparmiandoci un solo istante. Se una delle due era tentata di mollare, l'altra era pronta a sostenerla e incoraggiarla. Quando si è in una minoranza come la nostra, l'impegno personale si intensifica al massimo.

Finalmente notammo un primo progresso. Ci eravamo sollevate dal suolo più di quanto normalmente riuscissimo a fare e questo fu sufficiente per rafforzare la nostra volontà. Il desiderio era forte ma quest'ultima richiedeva spesso una spintarella.

Ci accorgemmo che le nostre misere ali erano più robuste di quello che pensavamo, un giorno che il volo fu abbastanza lungo. L'esercizio le fortificava di certo.

C'è qualcosa che possiamo fare per muoverle ancora di più disse la mia amica, pensierosa. Ancora non sapeva cosa, ma avremmo dovuto comprenderlo per riuscire nella nostra impresa. Continuammo comunque a esercitarci ogni giorno, senza posa, se non per beccare qualcosa al volo, e nel vero senso dell'espressione.

La realizzazione del nostro sogno ci sembrava ogni giorno più vicina.

Ma, non so come e non so quando, non fu più il  traguardo la cosa più importante. Ci piaceva provare, sperimentare, divertirci in quella sorta di sperimentazione. E, a ogni piccolo volo eravamo sempre più consapevoli di noi stesse.  Eravamo delle galline, certo, ma acquistavamo consapevolezza di quello che eravamo dentro, nel profondo. 

Le nostre compagne continuavano a insultarci. Lasciamole perdere quelle due ... guardatele, pensano di essere figlie della gallina bianca.

In verità non avevano tutti i torti. Anche se mi piaccio abbastanza rossa, dentro mi sento bianca. Come la leggerezza dell'aria quando è pulita, dei pensieri quando sono positivi, dei sentimenti quando sono autentici.

Continuammo a fare sforzi notevoli ma dopo un po' eravamo già in grado di non cedere allo scoraggiamento. Tutte le nostre energie erano concentrate nelle nostre ali, non tanto per raggiungere quell'uccello che ci aveva fatto perdere la testa, quanto per sentire cosa desideravano fare e dove desideravano andare. Muovendo le nostre ali piumate, ci accorgemmo, muovevamo anche quelle del cuore e l'esperienza di cielo che stavamo facendo ci rendeva felici. Semplicemente felici. 

Così ci immergemmo nel silenzio, mentre librandoci in volo attraversammo una valle che sembrava incantata, per quanto era bella.

 

 

 

 

 

 

Sembra la valle dei sogni disse infatti la mia amica.

Di quelli che sembrano impossibili aggiunsi.

Poi, proseguimmo il volo alla volta del cielo.

 

 

 

 

Questa è la storia di due meravigliose creature che, con un'apertura alare piuttosto ridotta, hanno conquistato un'impressionante apertura mentale, tale da farle virare tra gli spazi sconfinati delle possibilità, dove l'unica aria che si respira è quella della pura LIBERTA'.

 

 

 

 

Ma la storia potrebbe anche essere un'altra...

 

 

 
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Alla volta del cielo

Post n°40 pubblicato il 02 Agosto 2013 da fenice1963


Uccelli in volo

 (La prima storia)

 

 

 

 


Non sono mai stata slanciata, eppure l'altezza è una delle nostre massime aspirazioni.

Ho un fusto sottile e una bella chioma verdognola.

Dal mio punto di osservazione posso apprendere molto perchè ho una visuale abbastanza ampia della realtà.

Riesco persino a vedere, sotto di me, il vecchio paese in cui risiedo da anni. Vedo la gente percorrere il viale principale durante i giorni feriali mentre si reca in ufficio, a scuola, nei negozi a far compere e la domenica nella chiesa della piazza.

Osservo tutto e tutti, desiderosa di conoscere oltre il mio regno, quello umano.

Cerco di dare il meglio di me, aiutando le persone a respirare l'aria di questo mondo che, non so perchè, sta avviandosi verso uno stato di degrado ecologico davvero preoccupante. Ripeto: non so per quale assurdo motivo, gli umani non tengano a un bene tanto prezioso quanto la loro casa.

E' quello che ha detto anche il mio inquilino, un simpatico e allegro fringuello che allieta spesso le mie giornate.

E' un piacere ospitarlo fra le mie fronde primaverili e lui, d'altro canto, mi fa proprio dono del suo canto.

 

 

 

Ora, per quanto la mia percezione della realtà sia più intensa di quello che comunemente si creda e per quanto da qui ne possa vedere di cose (mi si prospetta tutto il viale principale collegato alla vecchia piazza centrale), da qualche tempo ho cominciato ad elaborare un'idea, un progetto: vorrei fare qualcosa di nuovo e di straordinario.

Nella vita credo che succeda a tutti, prima o poi, di volersi misurare, di voler azzardare oltre il limite delle proprie capacità. L'idea mi è venuta osservando un giorno una grossa nuvola bianca che percorreva il cielo sopra di me.

 


La prima volta che l'ho vista ho semplicemente pensato che mi sarebbe piaciuto raggiungerla, così tanto per esprimere un desiderio, destinato a rimanere tale.

Lo avevo espresso solo al mio amico fringuello, confidando nel fatto che lui, che fra le nuvole ci vive, mi avrebbe sicuramente capito.

Solo il giorno dopo, la nuvola mi sembrò più vicina e il giorno dopo, ancora di più.

 

 

 

 

Non so se è lei, la mia fata del cielo, che mi viene incontro o se invece io sto davvero crescendo. Fatto sta che ogni giorno che passa mi sento sempre più vicina al cielo, nonostante sia una pianta di piccole dimensioni.

Sento che manca pochissimo, ormai quasi la sfioro quella candida nuvola.

Forse è solo un sogno che sembra realtà, ma nulla perde della sua bellezza. Quello che conta in fondo è quello che sento e io mi sento davvero in pace: con la terra nella quale continuo ad affondare le mie radici e col cielo verso cui sono protesa, quasi a toccare la mia bella nuvola bianca.

E da quassù quello che vedo non è cambiato: gli uomini continuano ancora a parlare di pace, a cercare la pace, a lottare per la pace e intanto... non costruiscono la pace!

Da qualunque altezza mi trovi realmente, io invece riesco a sentirmi davvero in pace, sia con la terra che amo profondamente che col cielo al quale intensamente anelo.

Un uccello che ho per amico dà voce a questi miei pensieri, ben esprimendo col canto, l'armonia del mondo.

 

 

Questa è la storia di una pianticella che un giorno è arrivata a sfiorare una bianca nuvola, percorrendo quel filo sottile e invisibile che unisce Cielo e Terra, quello su cui un tempo fu edificata la Pace. 

 

 


Ma la storia potrebbe anche essere diversa...

 

 
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Alla volta del cielo

Post n°39 pubblicato il 01 Agosto 2013 da fenice1963

Tra le nuvole

(Lui)

 

 

Era esattamente il tipo di ragazza che avevo sognato. Me ne resi conto già dalla prima volta che la vidi. Indossava una camicia a quadri rossa e bianca su pantaloni neri, credo. Non potevo vederli perchè il grosso banco di legno, dietro il quale serviva i clienti, me lo impediva. Ero entrato per una bibita fresca in quel caldo pomeriggio di fine giugno. Mi accolse un dolce sorriso tra le lacrime. Aveva pianto e lo notai.

 

 

 


"Ciao" le dissi e poi più niente.

Lei aspettò l'ordinazione e furtivamente si asciugò l'ultima lacrima che le sostava tra le labbra. Avrei voluto, già da allora, baciarle quelle labbra, tremolanti e magnifiche. Le chiesi la prima cosa che mi venne in mente e mi ritrovai con un succo alla pera tra le mani. Lo sorseggiai senza lasciarla con gli occhi, sorridendole tra un sorso e l'altro.

"Buono!" le dissi, poggiando il bicchiere vuoto sul banco.

"Seicento lire" fu la sua risposta. Poi sorrise anche lei.

"Sì, certo!" dissi estraendo dal portafoglio un biglietto da mille.

"Ce l'hai cento lire spicce?" mi chiese.

"Credo di sì!"

Cercai la moneta nelle tasche dei jeans e, invece di lasciarla sul banco, la tenni sospesa tra le mani. Quando lei fece per prenderla, gliela misi delicatamente tra le mani, come fosse un fiore.

"Grazie!"

"Grazie a te, per la bibita deliziosa e il sorriso incantevole!"

Su quest'ultima battuta lasciai il locale.

Non fu sorpresa di rivedermi il giorno dopo e il giorno dopo ancora, sempre verso lo stesso orario.

"Il solito?" mi chiese.

Confermai.

"Non sarebbe meglio un aperitivo a quest'ora?" mi suggerì.

"Già, è quasi ora di pranzo! Vada per l'aperitivo!"

Mi servì un analcolico con una bella fetta di limone.

"E' ghiacciato!" le dissi dopo il primo sorso.

"Fa molto caldo, credevo..."

"Va benissimo!"

Di lei mi andava tutto bene. Mi piacevano i suoi capelli che immaginavo morbidissimi al tatto, gli occhi indagatori, persino il naso con la punta leggermente rivolta in giù, e soprattutto le labbra che non sapevo definire ma le trovavo bellissime. Sotto la maglietta poi, immaginavo un seno sodo, della grandezza, secondo me, perfetta: nè troppo piccolo, nè grande. E mi piaceva la sua cordialità, la gentilezza che mostrava verso i clienti, la simpatia che irradiava il suo sorriso.

Era, nel complesso, una personcina gradevole. 

Me ne innamorai così, semplicemente e profondamente.

Un giorno l'aspettai alla chiusura del bar e l'accompagnai fino a casa. Con lei chiacchieravo piacevolmente, dimenticando completamente la mia introversione. Mi ritrovai a parlare di me, delle mie esperienze più significative e dei miei progetti per il futuro. Anche lei era una gran chiacchierona ma aveva altresì una gran capacità di ascolto: chiudeva le labbra come una diga sul fiume di parole che le erano appena uscite e mi ascoltava, attenta e curiosa di tutto. 

Di lei apprezzavo soprattutto la grinta che metteva nelle cose che faceva, l'avevo sorpresa svariate volte con i libri della scuola aperti su un tavolino che aveva sistemato vicino al banco. Si era appena iscritta all'Università ed era determinata a completare gli studi entro i tempi stabiliti, nonostante il bar le desse un gran da fare.

Una come lei non l'avevo mai incontrata prima. Ero abituato alle ragazze delle vacanze estive al mare o dei fine settimana in montagna, preoccupate soprattutto di divertirsi e prendersi una bella tintarella. Anche se la mia ultima conquista era stupenda, questa dolce ragazza me ne offuscò definitivamente l'immagine.

Forse fu proprio a causa di questo forte impatto che ebbe su di me che mi spaventai. Le prospettai così, come un perfetto idiota,  un'unica estate d'amore. Lei, inaspettatamente, accettò di viverla, anche se la mia partenza l'avrebbe poi fatta soffrire. Non volle mai pensare alla fine di settembre e a quando silenziosamente me ne sarei andato. E quel giorno arrivò senza che nessuno di noi due lo avesse mai nominato... fino al giorno prima.

"Domani..." accennai.

Lei fece un veloce gesto affermativo con la testa e ponendomi un dito sulle labbra mi fece capire che non serviva parlarne. Entrambi sapevamo, sapevamo tutto quanto c'era da sapere e non c'era bisogno che rovinassimo l'ultimo giorno insieme pensando all'addio.

 

 

 

Non so se un'altra avrebbe avuto quella sua straordinaria percezione delle mie paure, quella assoluta comprensione delle contorte motivazioni dei miei atteggiamenti. lei mi amava e basta. Eppure, nonostante mi avesse mostrato fin dall'inizio un amore totale e sincero, avevo paura di perderla e, come un cretino, facevo il possibile per allontanarla. Provocavo io stesso ciò che maggiormente mi spaventava. 

Così ero partito intenzionato a non tornare più, ma non fu così. Dopo un mese non resistetti alla tentazione di rivederla, un'ultima volta mi dissi, e ritornai. 

Lei aveva tagliato i capelli e il visino pulito, acqua e sapone, risaltava vivamente. 

La adoravo. Mi piaceva immergermi nella sua freschezza di ventenne, soprattutto ora che avevo intrapreso la carriera militare e vivevo in un regime che mi teneva molto in tensione. Con lei tornavo, per brevi intensi momenti, il ragazzo spensierato dell'estate appena passata.

Poi, di nuovo la paura di perderla mi attanagliava il cuore e, prima che succedesse, la lasciavo andare. Lei accettava da me qualunque decisione, in nome di un amore che voleva nascesse nella più assoluta libertà. Una che ragionasse come lei, che agisse come lei, non l'avevo mai incontrata fino a quel momento. La mia ultima avventura, quella dell'estate scorsa, premeva perchè scegliessi finalmente la compagna della mia vita e mi faceva sentire assiduamente la sua presenza, con telefonatine serali, lettere frequenti...

Fino al giorno prima di entrare nel bar avevo pensato fosse la donna adatta a me: bella, raffinata, una vera e propria donna di classe. E si sa, mi ero ripetuto di frequente, la classe o la si ha o non la si ha!

 

Questa ragazza invece era... non riuscivo neppure a definirla, questa ragazzina che mi aveva sconvolto la vita. Ora era un tipetto sveglio e determinato, che da sola riusciva a gestire un locale e nel migliore dei modi, ora era una ragazza dolcissima che mi amava senza chiedere nulla, dando di sè il meglio, ora una specie di selvaggia...

 

 


L'estate successiva mi colpì per un'ulteriore trasformazione. Aveva fatto qualcosa ai capelli che erano diventati incredibilmente ricci, pur restando morbidi al tatto. Sotto una blusetta bianca di pizzo, la sua pelle abbronzata mi mandò visibilmente in delirio. Le chiesi subito un appuntamento e lei questa volta tentennò: stava perdendo fiducia nel nostro rapporto. Consapevole di aver esagerato, chiedendole amore senza darle in cambio nessuna sicurezza, ebbi veramente paura di averla perduta e l'idea di non godere più di lei mi fece star male anche fisicamente.

Tornai a cercarla ripetutamente, fino a quando lei cedette e accettò di uscire ancora con me. La pregai di indossare di nuovo i vestiti con cui l'avevo vista qualche giorno prima e lei lo fece. Quando venne all'appuntamento aveva quel delizioso corpettino di pizzo bianco su una gonna scura con l'orlo di pizzo bianco come la blusa.

Mi inebria di Zagara, la colonia di cui faceva regolarmente uso e le giurai che non l'avrei lasciata mai. Mai più!

E' la cosa più bella che mi sia mai capitata nella vita e mi sono impegnato a custodirla come un bene sommamente prezioso. E lei non ne è stata felice. Non riesco a capire dove posso aver sbagliato. Nonostante la mia reputazione di libertino, che lei più volte mi aveva rammentato, le ho dimostrato quanto invece sia profondamente legato alla famiglia che abbiamo deciso di costruirci. Ma non è bastato!

L'ho ricoperta di ogni attenzione, consapevole che le donne amano e vogliono le premure, ma non è bastato! Le ho concesso interamente il mio cuore, offerto senza più remore la mia anima, ma non è bastato! Sento che lei sta andando via.

Tutto è cominciato da... sì, credo che sia iniziato da quel giorno che la mia ex e il suo uomo sono stati nostri ospiti. Eppure è stata eccezionale in quell'occasione. Non ha mostrato alcun segno di gelosia, fiduciosa nel nostro rapporto e nei nostri sentimenti. Anzi, mi è sembrata persino contenta di aver conosciuto la mia vecchia fiamma. Si sono entrambe piaciute. Pur essendo così diverse, si sono intese subito e veramente, mi sono ritrovato a pensare, sono due donne che si completano a vicenda. Se l'una possedesse il fascino e la classe dell'altra e l'altra la freschezza e spontaneità dell'una, sarebbero perfette, entrambe.

Comunque io amo perdutamente la mia donna. L'amo per tutto quello che di bello ha e l'amo pure per quello che non ha. Purtroppo questo lei non l'ha mai capito. Ha sempre percepito come un'offesa profonda i miei commenti negativi nei suoi confronti, trincerandosi dietro al silenzio quando aveva il sospetto di non essere sufficientemente apprezzata.

Ecco, subito dopo la convivenza ho scoperto un aspetto di lei che non avevo neppure lontanamente intuito. E', come me, piena di paure, nascoste nel profondo di se stessa. Teme di non essere amata e spesso finisce per convincersene. Eppure il mio amore glielo riverso addosso, in tutta la sua forza.

Ultimamente mi dice delle cose che ho difficoltà a comprendere. Addirittura sostiene che la rendo infelice perchè la amo.

Perchè le donne sono così maledettamente complicate? Eppure capisco che lo sono stato io per tanto tempo e lei... lei è stata meravigliosa. Mai ha mostrato segni di insofferenza, mai ha cercato di sottrarre tempo ai miei tempi...

Anch'io forse ora dovrei fare lo stesso con lei, ma io, purtroppo, ho un carattere diverso, o forse semplicemente sono un uomo e non ho la sensibilità che ha una donna...

 

 

 

 


Io non posso darle tempo quando il tempo me la può portare via, non posso concederle spazio se questo crea una distanza fra noi, io ho disperatamente bisogno dell'aria che respira lei.

O forse abbiamo bisogno entrambi di respirare aria nuova.

 


Mi piacerebbe portarla con me in montagna, lì dove l'aria è appunto più pulita, e con lei immergermi nell'incontaminato, per poter ricominciare tutto daccapo. Le vorrei dire un'infinità di cose ma lei sembra non volermi più ascoltare. Lei... lei che sapeva farlo così bene... Mi sento un uomo disperato perchè la mia donna non mi vuole più e non riesco a capire cosa c'è nel mio amore che non và.

Per questo la porterò lassù, sul monte dei miei sogni, dove l'aria è deliziosa e fresca quanto lei, perchè lasci parlare finalmente il suo cuore. Non sono ancora sicuro di poter accettare tutto quello che potrebbe dirmi, perchè oggi come allora sento di aver un disperato bisogno di lei. Di quella tipetta sveglia e perspicace, dolce e arrendevole in amore, selvaggia, trasandata dentro casa... in continua metamorfosi. L'unica che è riuscita a inchiodare il mio cuore, senza tattiche, stratagemmi... essendo semplicemente se stessa, una creatura che vive la vita nella sua semplicità e complessità, assorbendo ogni palpito di vita che le viene da fuori e irradiando quella che ha dentro.

Il mio cuore non vuole perderla, perchè sarebbe come perdere ossigeno, linfa vitale, sarebbe come perdere la ragione della mia esistenza, quella di vivere la mia vita dentro la sua. Nel profondo ho il desiderio di ritrovare quella dolce fanciulla che mi amava incondizionatamente, di sentirmela di nuovo accanto, di poterla ancora e ancora amare. Se, come dice lei, devo imparare un altro aspetto dell'amore, voglio impararlo da lei, perchè è come una fonte inesauribile di amore vivo.

Forse nel silenzio della montagna riuscirei finalmente a sentire il grido del suo cuore e il mio... il mio gli risponderebbe come un'eco. Perchè non desidera altro. Perchè è un richiamo che viene  da lontano e dal profondo. Perchè lo riconosce.

 

 

 

 


Anche quando è turbata e tace, il suo cuore continua a dirmi ti amo!

E il mio non ha una risposta diversa dal suo.

Potrei solo aggiungere infinitamente.

 

 

 


 

 

 

 

 

 
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