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SENSY

Post n°17 pubblicato il 14 Febbraio 2010 da oderc_c
 
Foto di oderc_c

Venerdì sera in un ufficio ormai semivuoto, ore 19:00.
Mentre sono lì che parlo da sola con un foglio di Access mi si avvicina una collega del reparto accanto.
- cara, volevo salutarti, io vado via… ci vediamo fra una settimana
- una settimana?
- vado in montagna, a sciare.
- ah.

 Ah.

Ho spento il pc così. Dito fisso sul pulsantino rotondo finché windows non mi ha fatto bye bye.
A me le ferie non me le danno mica. La prima settimana del mese non si tocca.
L’ultima, neppure.
Quelle centrali, forse. Un paio di giorni al massimo, se si chiedono con un certo preavviso e si organizza il lavoro in maniera tale che non rimanga in arretrato niente.
Nessuno può sostituirmi,
Eppure io sono un livello basso.
Eppure io guadagno quasi quanto guadagnavo quando lavoravo nel call center.
Eppure io lì dentro non valgo niente.

Ma tu sei un tempo indeterminato,mi dice la gente.
Di questi tempi, sai, sei fortunata.
Sei un tempo indeterminato! mi dice la gente.

Sono una merce rara, io. Lavoro da quando ho 19 anni e da allora ho un tempo indeterminato. Ho già versato anni di contributi,
ho le ferie e le malattie pagate.
Ho il posto fisso, io.

 

Mi è venuto in mente quando stavo a Cagliari. E lavoravo nel call center.
Quando la mattina mi alzavo piangendo, e non smettevo fino a quando la macchina entrava nel parcheggio. Quando ho desiderato fare un incidente d’auto pur di non andare al lavoro.
Quando una volta mi è venuto un attacco di panico mentre ero al telefono col cliente, e la prima preoccupazione del mio capo è stata quella di passare la telefonata alla collega di fianco.
Quando il mio fidanzato non capiva perché ero sempre così in ansia,
quando i miei genitori mi rispondevano “è solo un lavoro, dai…”
quando i capi, piccoli o grossi, alzavano le spalle e ci dicevano che non c’era futuro,
che così saremo morti, con le cuffie, dovendo avvisare quando si voleva andare al cesso per due minuti,
che saremo morti così, senza un’ambizione, senza uno stimolo, che eravamo giovani già vecchi, che era tutto già scritto,
quando tutti approfittavano di un banale raffreddore per stare a casa 10 giorni, e ogni gravidanza era una gravidanza a rischio, perché si arrivava ad un certo punto per cui l’ unico scopo era quello di far passare gli anni velocemente, e lavorare meno possibile, e sfruttare il più possibile l’unica cosa buona che quel lavoro aveva: la regolarità contrattuale.

Lavorare il meno possibile, stare a casa, annullarsi, a 19-20 anni.

E tutti. Tutti.
Dal collega, al capo, all’amico, al fidanzato, al parente,
tutti , nessuno escluso, dicevano
“ma è un indeterminato, al giorno d’oggi, chi lo fa più??”
E io, quando non ero troppo depressa o sfinita e per un attimo smettevo di sentirmi in colpa nel rinnegare quello che avevo, rispondevo:
“cosa me ne faccio, indeterminatamente, di un lavoro di merda?”

Così mi è venuto in mente che infondo le cose non sono cambiate granché.
Certo, il mio lavoro è notevolmente migliorato.
Certo, non vivo più in una città dove non c’è neanche un’alternativa.

Eppure continuiamo a vivere in un paese dove ci dobbiamo sentire privilegiati per il semplice fatto di avere qualcosa che ci spetta di diritto,e dove non ti è nemmeno concesso azzardarti a chiedere di più perché sarebbe uno sputo in faccia verso chi non ha niente,e il continuo ricatto morale del pensa a chi sta peggio sovrasta continuamente nella tua testa, alimenta il tuo senso di colpa, ti fa credere che è giusto ingoiare di tutto.

Ecco, il paese in cui viviamo.

E io mi iscriverò all’università quest’anno.
Per poter imparare a fare davvero qualcosa che amo.
Per poter vedere i miei colleghi giovani laureati stagisti e frustrati.
Penserò che tanto è tutto inutile.
Mi dirò che sono fortunata a stare dove sto.
Aprirò il mio foglio di Access, e riprenderò a fare le mie tabelle.
Io, che avevo 2 in matematica e 9 in lettere.
Io, che a 15 anni leggevo Montale e Verga e i compagni mi prendevano in giro chiamandomi “sensy”, derivato dal termine “sensibile”, come amava definirmi sempre l’insegnante di italiano, di cui ero la prediletta.

 Ecco, il paese in cui viviamo.

 

 

 
 
 
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Un blog di: oderc_c
Data di creazione: 18/11/2009
 

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