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Tiri liberi sul mondo della Pallacanestro Olimpia Milano

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CHI SI ACCONTENTA GODE?

Post n°84 pubblicato il 16 Aprile 2007 da JayVincent
Foto di JayVincent


Mettiamola così: torniamo da Treviso senza le ossa rotte, addirittura con un po’ di rimpianto, ed è già una notizia.
Si poteva realmente vincere? Probabilmente si, con un antidoto un po’ più efficace ai momenti di black out, che quando arrivano fanno davvero paura.
Quei minuti in cui tutta la squadra smette di pensare e respirare, sono da encefalogramma piatto: certamente uscirne per ben due volte, con la Benetton che colpisce furiosamente e non si ferma, è un elemento di rilievo da incasellare tra le note positive.
E dimostra che per vincere su un campo come quello di Treviso serve ancora un step, serve quel quid che oggettivamente ancora manca e che non può essere sicuramente trovato nella serata in cui Bulleri, Calabria e Gallinari fanno sostanzialmente virgola, mettendo insieme 68 minuti e -8 di valutazione, senza canestri dal campo.
Milano, come più di una volta accade, inizia forte: la palla gira, Garris aggredisce Zisis e lo mette sotto, si va profondi per Watson che ci piazza fisico e rapidità, Nate Green resta nello spartito e non c’è antidoto per fermarne le gambe a mulinello.
I tiri sono buoni e, guarda caso, i tiri buoni e ben selezionati hanno l’abitudine di entrare.
Un battito di ciglia e voilà, Milano è a +12.
Poi Treviso si sveglia, butta sul campo Nelson e Mordente, lo strappo si ricuce fino al primo pesantissimo black out che apre un parziale dilagante in cui l’Olimpia sembra un punching ball.
Lo spettro della partita di Cantù è una sinistra presenza che aleggia nei miei pensieri, il copione è quello.
Ma, udite udite, nel terzo quarto la musica cambia e di molto: Milano rientra subito, alza il volume dei chili, Blair e Watson fanno letteralmente il vuoto radendo al suolo la batteria di finti lunghi verdi.
Si intravedono ottimi momenti, due giochi alto-basso TJ-JB e il tamburo battente di Green ci portano nuovamente avanti, addirittura a +7.
Fatichiamo solo a contenere qualche penetrazione dei piccoli, ma la partita sembra saldamente in mano milanese.
Poi, il secondo black out: Treviso finisce il terzo quarto accorciando, poi ci pensano uno scatenato Shumpert e uno Zisis fino a quel momento agonizzante a confezionare un altro parzialone che sembra mettere i sigilli al match.
Il nuovo contro-break biancorosso apre nuovi scenari, la Benetton crede di averla già vinta ma con l’energia dei soliti e monumentali Green e Watson siamo ancora a meno due e tiri liberi del pareggio.
Sappiamo come finisce, non indagherò ulteriormente sulla bruttura in occasione del secondo libero di Nate, che non centra il ferro e annulla la chance di andare a rimbalzo offensivo.
Un neo che non sporca la sua straordinaria prestazione ma che è un errore tecnico e tattico abbastanza grave.
Errore che mi fa fare spallucce anche perché la partita non l’abbiamo persa lì, ma quando non abbiamo saputo tenere l’inerzia dalla nostra a fine terzo quarto, quando la squadra di Coach DJ ha avuto completamente in mano le sorti della partita.
Troppo facilmente, qui sta la questione cui porre rimedio, perdiamo la bussola quando invece la strada segnata è chiara e non improba.
Poi naturalmente il cammino è sempre difficile e tortuoso, però smarrirsi in una pineta è abbastanza pericoloso e anche inspiegabile.
Abbiamo visto chiaramente che per violare certi campi bisogna fare tutto, ma proprio tutto, al meglio e noi commettiamo ancora errori superficiali che, però, accatastati, si pagano a carissimo prezzo.
A questo proposito andrebbero analizzate le prestazioni di Gallinari, Bulleri e Calabria.
Probabilmente il giovane Danilo è incappato in una serata completamente negativa, nella quale non è mai sembrato in ritmo, nonostante avrebbe potuto abusare di Shumpert in ala grande. Un aiuto nella lettura dalla panchina forse sarebbe stato importante.
Dante è il caso più evidente, limitato dai guai fisici deve comunque spremere 30 minuti sul campo: la situazione non è più sostenibile e merita una decisione definitiva. Djordjevic e il buon samaritano Gino fanno capire a ogni piè sospinto che il mercato è sempre aperto, che qualcosa si può fare. Ma non si muove nulla.
Se si vuole prendere un esterno comunitario la si faccia subito, adesso, evitando inserimenti dinamitardi alla vigilia dei playoff.
Se non si è sicuri, o se ancora peggio non si ha idea di chi prendere e ci si deve affidare al primo agente che vuole tenere attivo un neo pensionato, si abbiano le palle per chiudere l’equivoco, andare avanti con gli uomini che ci sono senza appellarsi alla schiena calabrese ogni due per tre.
Dulcis in fundo, Massimo Bulleri.
Che io non lo adori è un fatto, che io sia onesto e mi complimenti con lui ogni volta ne sia meritevole – come testimoniato da ciò che ho scritto post Virtus – è altrettanto vero.
Ma la partita di Bullo, ieri sera, è qualcosa di sconcertante, prescindendo anche dallo scout, già ampiamente sufficiente per dipingere la iattura.
Ciò che mi risulta incomprensibili non sono assolutamente i tiri sbagliati, quanto gli atteggiamenti, i linguaggi che parlavano il suo corpo e la sua faccia.
Totalmente scollegato, allucinanto scelte nel fare fallo, compreso un quinto fischio che ha dell’incredibile, un deragliamento a cento all’ora accettabile per un esuberante dodicenne al campetto.
Bullo, volevi uscire dalla partita al più presto? Bullo, come si può pensare di fare 5 falli uno più inutile e marchiano dell’altro e pensare di farla franca?
Io fossi Djordjevic chiuderei Bulleri in uno spogliatoio e mi farei spiegare perché non ha avuto nemmeno per un secondo l’atteggiamento del giocatore che vuole stare su un campo.
Non mi inaczzerei neppure, gli farei capire che la fiducia è tutto e non si può avere fiducia di chi battezza le partite, di chi ti lascia per strada nel momento del bisogno.
Quando ci si riempie la bocca e si parla di imprese, di gruppo, addirittura apertamente di scudetto, bisogna rendersi conto che prima di tutto ci vogliono sotto due palle grosse così.

 
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