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LUNGO IL FIUME

Post n°135 pubblicato il 21 Aprile 2008 da JayVincent


Su quella virtuale sponda, dove ci si siede ad aspettare il passaggio dei cadaveri nemici, mi sono seduto parecchio tempo fa.
Mi sono seduto lì per farmi il sangue amaro, con l'astio degli sconfitti che aspettano il trionfo di giustizia che non arriva mai.
Poi, disciolta nel tempo, è successa una cosa strana.
Succede che mi interessa poco, nulla, di vedere oggi quei cadaveri scivolare via lenti.
L’oblio è un destino che non perdona e a volte lo sfinimento di aspettare consuma più del rancore.
Accanto a me, sulla riva, c’è tanta gente che attende con trepidazione più o meno focosa.
Ma adesso, nell’attesa che il fiume e il destino facciano parallelamente il loro corso – e l’ineluttabilità degli eventi è una condanna a morte che aspetta solo di essere eseguita – passo il tempo a osservare quello che sta nascendo dalle macerie di una stagione che era già finita sul nascere.
Già dai primissimi vagiti era stata diagnosticata vita breve a questa creatura che è l’Olimpia 2007/2008: e in effetti, i primi passi hanno confermato la gravità della malattia.
Totale acefalismo.
Da lì, senza ripercorrere le tappe di una storia nota a tutti, siamo arrivati qui, altro capo di una corda aggrovigliata, polo opposto.
Stiamo sempre e comunque parlando di campo, perché a livello societario la farsa è costantemente in programmazione e settimanalmente si evolve in sempre nuove situation comedy.
Con un solo grande protagonista al comando, impettito sulla prua della nave, con le braccia spalancate nella postura dell’eroe che ha rimesso in piedi la baracca, una Società sanissima, un vero modello di gestione sportiva, così come la definì lo stesso presidente Corbelli.
Insomma, il nuovo unto dal Signore fende le onde del mare con la brezza in viso, si attribuisce tutti i meriti, spartendoli in minima parte con l’amico fidato Caja.
E del resto, in superficie, non potrebbe essere vero? I correttivi apportati dalla cacciata dell’incapace maximo Gino Natali non sono stati molto più produttivi del mercato orchestrato dal pensionato di Montecatini?
Si, è l’unica risposta possibile.
E lo stesso Artiglio non ha realmente rimesso le cose a posto, dopo che il presunto uragano Markovski si abbattè sull’Olimpia? Si, anche in questo caso.
Siamo o non siamo probabilmente quinti, in una stagione durante la quale chi parlava di playoff veniva preso per matto? Ebbene, si anche stavolta.
Tutti contenti? No.
Perché sotto la superficie si continua a nascondere un’orrenda latrina schizzata dallo schifo dei giochini di potere, dalle scelte comunque incomprensibili.
Una latrina il cui puzzo è ammorbante.
E mentre sul parquet c’è un gruppo di ragazzi che ce la mette tutta e va realmente oltre i propri limiti, magari non proprio tutti gli interpreti, ma quasi, appena fuori c’è la miseria di un vergognoso dibattersi fatto di trattative fantasma, di ricatti nemmeno velati.
Dentro il campo ci sono le belle storie di Minda Katelynas e Fabio Di Bella, arrivati quasi per caso tra l’indifferenza generale, che hanno dimostrato come a volte, se dentro il bagaglio ci guardi bene, sotto le mutande e il pigiama ci trovi anche uno spirito guerriero che tanto ti apre il cuore.
Anche quando li vedi fare giocate che, tecnicamente, assomigliano più a quelle di un brocco che a quelle di un Campione.
C’è la storia di Dusan Vukcevic, che gioca una stagione realmente di gran fattura, e lo dice uno che – testimonianze se ne trovano scorrendo queste pagine – ha visto il suo ritorno con l’entusiasmo di uno studente prima di un compito in classe a sorpresa.
E che continua a non guardare con simpatia né affetto quel serbo greco lì, così senza cuore e remore un paio di anni fa.
C’è la storia di Casey Shaw, un ragazzo che ha capito che anche a 33 anni si può migliorare, spiegando al suo più dotato compagno di aree pitturate come il cuore, quando c’è, non batte a tempo determinato.
C’è la storia di Melvin Booker, un ragazzino che si era già ritirato ma che ha accettato una sfida non per i soldi né per l’insperato dono di campare ancora un anno, ma con l’entusiasmo e la grinta del grande giocatore che vuole mettere ancora una tacca alla sua carriera.
C’è poi la storia, giovanissima, di Danilo Gallinari, ma non saprei da dove iniziare e dove finire.
Sulla sponda del fiume c’è solo l’ottusa speranza di vederlo ancora qui, ingenua e leggera come quella di un bambino.
La coltiviamo senza perché e senza logica. Così come coltiviamo la speranza di una stagione ancora lunga, durante la quale ti riscopri temuto dagli stessi che ti prendevano in giro.
A volte, sulla sponda del fiume, seduti in compagnia, si fa di tutto per restare allegri, e anche una rondine lontana ti fa sperare in una primavera calda e verde.

 
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