Creato da on_the_nature il 05/02/2008

on_the_nature

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Post n°60 pubblicato il 04 Settembre 2011 da on_the_nature

 

Ci sono creature assegnate 

che non riescono ad incontrarsi mai,

s'aggiustano ad amare un'altra persona

per rammendare l'assenza.

(E. De Luca)

 
 
 

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Post n°59 pubblicato il 03 Settembre 2011 da on_the_nature

 

Saper mettere un punto e andare a capo

è uno dei segreti di ogni storia della vita.

Se lo rirardi, lo rovini;

se l'anticipi, la bruci;

e se lasci che sia l'altro a mettere

il punto a posto tuo,

vuol dire che tu già eri 

uscito dalla storia.

(Jack Folla)

 
 
 

Ecco l'eBay della scienza

Post n°58 pubblicato il 01 Settembre 2011 da on_the_nature

 

Si chiama Science Exchange, e a molti ricorda da vicino la piattaforma di aste online più famosa del mondo. L'idea dei creatori, una ricercatrice in medicina dell'Università di Miami e due informatici diPalo Alto in California, è quella di aiutare gli scienziati che non hanno accesso alla tecnologia di cui avrebbero bisogno – o che hanno poco tempo o troppo lavoro – a esternalizzare parte dei loro studi a centri di ricerca che dispongono di materiale e personale in abbondanza. Il tutto avviene tramite un sito al quale si sono già registrate università come Stanford, Harvard e Princeton, e che funziona un po' come eBay.

Il progetto nasce da una constatazione molto semplice: molte università possiedono strumenti sfruttati meno di quanto si potrebbe, e tante altre alle prese con carenze diapparecchiature e organico. Di qui l'ispirazione di Science Exchange, per rendere più semplice l'incontro e la cooperazione tra queste realtà: “Io faccio ricerca nell'ambito del cancro al seno – spiega l'ideatrice della piattaforma, Elizabeth Iorns, del Dipartimento di Oncologia della Miller School of Medicine all'Università di Miami – e per portare avanti alcuni esperimenti ho bisogno di aiuto. Ma il processo di outsourcing, come viene chiamato, è complicato. È difficile trovare centri di ricerca con le apparecchiature adatte, e una volta individuati, non è facile pagarli direttamente per ottenere le prestazioni necessarie: i sistemi e le regole cambiano da università a università”. 

Sul sito di Science Exchange si può invece creare la pagina con i dettagli dell'esperimento che si vorrebbe esternalizzare: qui i centri di ricerca interessati possono registrare le loro proposte inserendo la tipologia di servizio che sono in grado di offrire, la strumentazione a loro disposizione e un preventivo dei costi. Successivamente parte l’asta online tra i diversi partecipanti, per scegliere la proposta migliore. Naturalmente anche i tre inventori hanno il loro tornaconto. La partecipazione alla gara ha un prezzo, una commissione che si aggira intorno al 5% del costo del progetto per quelli più piccoli e va man mano diminuendo all'aumentare della portata dell’esperimento.

“Immaginate di essere pagati per fare gli esperimenti di qualcun altro per un giorno a settimana. E nel tempo che resta, di usare questi soldi per sostenere la vostra ricerca”, ha detto la Iorns in una intervista su Nature. L'idea sembra vincente, visto che ad una settimana dal lancio la piattaforma ha già visto la registrazione di 70 centri e quasi 1000 ricercatori. Da allora, ogni giorno si aggiungono tra i 50 e i 100 nuovi utenti.

Fonte: http://www.nature.com/news/2011/110819/full/news.2011.492.html

 

 
 
 

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Post n°57 pubblicato il 01 Settembre 2011 da on_the_nature

 
Il tempo è molto lento per coloro che aspettano
molto veloce per coloro che hanno paura
molto lungo per chi si lamenta
molto breve per quelli che festeggiano...
Ma per tutti quelli che amano 
il tempo è eternità

(W. Shakespeare)

 
 
 

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Post n°56 pubblicato il 31 Agosto 2011 da on_the_nature

Ci sono ancora tante storie, tante illusioni,

tante quanto le porte di un corridoio infinito.
Ognuna è un probabile futuro,
un impossibile passato,
un assurdo presente.
Le illusioni, forse, sono la nostra vita,
la nostra unica certezza.
(Dylan Dog)

 
 
 

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Post n°55 pubblicato il 30 Agosto 2011 da on_the_nature

 


Tempo che aspetta te e nessun altra, dolce tempo, impaziente tempo.
Tempo che aspetta il tuo sorriso, la tua voce...tempo di ascoltarti.
Tempo di tenerti qui, con me, tempo di amarti.
Tempo di posare le mie mani sul tuo cuore, tempo di svegliarti.
Tempo di lasciarti andare e poi ritrovarti, tempo di capirti e poi desiderarti.
Tempo troppo tempo prima di ascoltare le tue parole, tempo poco tempo per lasciarle arrivare al mio cuore.
Tempo che vola e che mi lasci in attesa...
tempo niente altro che il tempo..
di aspettarti.

 
 
 

Come lo stress danneggia il Dna

Post n°54 pubblicato il 29 Agosto 2011 da on_the_nature

Dai capelli grigi alla comparsa dei tumori, da tempo lo stress è ritenuto alla base di una serie di danni a carico del Dna. Ma qual è il meccanismo che spiega la relazione di causa-effetto? Per la prima volta, prova a rispondere a questa domanda uno studio pubblicato su Nature da Robert J. Lefkowitz del Duke University Medical Center: lo stress cronico sembra abbassare i livelli della proteina p53, un’importante barriera antitumorale.

I ricercatori hanno creato una condizione di stress cronico in alcuni topi, somministrando loro, per quattro settimane, un composto simile all’adrenalina; questa molecola si lega a specifici recettori, chiamati beta adrenergici, posti sulle membrane delle cellule (si tratta di recettori accoppiati a proteine G, identificati negli anni Ottanta dallo stesso Lefkowitz). I biologi hanno poi osservato che questa sostanza innesca due meccanismi molecolari: uno attraverso questi recettori beta adrenergici, l’altro attraverso altre proteine, chiamate beta-arrestine. Ebbene, il risultato finale di queste due vie biochimiche è la degradazione della p53, che, infatti, si è mantenuta a livelli bassi per tutto il periodo di somministrazione, durante il quale il Dna ha accumulato difetti. 

Lefkowitz e colleghi hanno anche mostrato che i topi geneticamente modificati per non produrre la beta-arrestina 1 non hanno sviluppato irregolarità nei cromosomi: la perdita di questa proteina avrebbe infatti stabilizzato i livelli di p53 sia nel timo (una ghiandola del sistema linfatico che risponde allo stress acuto e cronico) sia nei testicoli, dove lo stress del padre può avere degli effetti sul genoma della prole.

Il prossimo passo sarà capire se la reazione fisiologica di stress (e non un modello ottenuto per somministrazione di un composto) può innescare altri processi che portino a ulteriori danni a carico del Dna

Riferimento: nature10368

 
 
 

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Post n°53 pubblicato il 29 Agosto 2011 da on_the_nature

 

Senza te,
il mare si è zittito,
i granelli di sabbia
del deserto sono spariti,
le montagne sono solo
scale verso il cielo,
i fili d’erba sono solo
un tappeto per camminare.

Ho trovato te,
ma non vedo nulla
se non sei con me.

 
 
 

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Post n°52 pubblicato il 29 Agosto 2011 da on_the_nature

 

 

Vorrei essere il raggio di sole che

ogni giorno ti viene a svegliare per

farti respirare e vivere di me;

Vorrei essere la prima stella che

ogni sera vedi brillare perchè

così i tuoi occhi sanno

che ti guardo

e sono sempre con te;

Vorrei essere lo specchio che ti parla

e che a ogni tua domanda

ti risponda che al mondo

tu sei sempre la più bella...


Modà (Favola)

 
 
 

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Post n°51 pubblicato il 28 Agosto 2011 da on_the_nature

 

Non so esattamente cosa spinge due persone a legarsi.

Forse la sintonia, forse le risate, forse le parole.

Probabilmente, l'incominciare a condividere qualcosa in più,

a parlare un pò di se, a scoprire piano piano 

quello che il cuore cela.

Imparare a volersi bene, ad accettarsi per i difetti e i pregi,

e per le arrabbiature.

O forse accade perchè doveva accadere.

Perchè le anime sono destinate a trovarsi,

 prima o poi...


P. Coehlo

 



 
 
 

Foreste artificiali contro CO2

Post n°50 pubblicato il 28 Agosto 2011 da on_the_nature

 
 Se il respiro degli alberi non basta a depurare il pianeta, l'uomo prova a intervenire costruendo foreste artificiali. Mimando il meccanismo con cui le piante assorbono anidride carbonica, questi impianti non troppo diversi nell'aspetto da un pannello solare sfruttano una reazione chimica per risucchiare la CO2 dall'aria. Se un castagno con le sue foglie larghe impiega un anno ad assorbire una tonnellata del gas serra, l'albero artificiale è in grado di raggiungere questo obiettivo in un giorno. 

Secondo l'Associazione degli ingegneri britannici, gli alberi artificiali rappresentano la strada migliore per arginare il cambiamento climatico. "I governi e le aziende - si legge in una nota del gruppo che raccoglie 35mila professionisti - dovrebbero concentrare i finanziamenti su questa tecnologia, affinché si diffonda rapidamente e raggiunga una scala sufficientemente ampia da dare risultati concreti". Gli alberi artificiali sono studiati attualmente dalla Columbia University e prodotti a livello di prototipo dall'azienda Global Research Technologies di Tucson in Arizona. Per il 24 ottobre Klaus Lackner, il ricercatore della Columbia che più se ne occupa, ha organizzato una dimostrazione pratica del loro funzionamento a Londra nel corso della "Air capture week". 
Il rapporto tecnico dell'Associazione degli ingegneri fa notare che questi impianti sono semplici da costruire e possono essere installati ovunque, per esempio ai bordi delle strade o laddove già esistono delle pale eoliche. Sono pannelli di dimensioni variabili, da uno a dieci metri quadri, che contengono idrossido di sodio. Quando questa sostanza entra in contatto con l'anidride carbonica, scatta una reazione chimica che cancella il gas serra e produce carbonato di sodio.

Fin qui il disegno è abbastanza lineare (a eccezione di alcuni dettagli mantenuti riservati per ragioni industriali). Eliminare i prodotti di reazione resta però un problema arduo e l'idea di seppellirli in grotte scavate a grandi profondità fino a oggi si è sempre arenata di fronte a costi e difficoltà tecniche. Per gli stessi alberi sintetici, l'aspetto finanziario resta un punto interrogativo. Secondo l'Associazione degli ingegneri britannici infatti il costo di un singolo albero può essere ribassato fino a 20mila dollari. Mantenendo comunque assai pesante il conto per gli 8,7 miliardi di tonnellate di anidride carbonica emessi ogni anno, che foreste (vere) e fitoplancton marino riescono ad assorbire solo a metà. Secondo uno studio dell'università del Colorado pubblicato su Environmental Science and Policy, solo per cancellare l'anidride carbonica emessa dalle auto americane (il 6 per cento di tutte le emissioni di  CO2 negli Usa) bisognerebbe spendere 48 miliardi di dollari in foreste sintetiche. 

Se l'Associazione degli ingegneri britannici ha deciso comunque di puntare sugli alberi artificiali per arginare il cambiamento climatico è perché gli altri progetti di geo-ingegneria sono ancora più difficili da realizzare. Questa disciplina, che si propone di risolvere il problema dell'inquinamento con soluzioni ad alta tecnologia, ha finora generato idee decisamente troppo complicate (come quella di lanciare in orbita dei pannelli riflettenti per respingere i raggi del sole) o che si sono dimostrate poco efficaci all'atto pratico, come l'iniziativa di spargere un fertilizzante in mare per accelerare la crescita di fitoplancton. 

L'anidride carbonica - uno dei gas che più contribuiscono all'effetto serra e quindi al riscaldamento climatico - è in continuo aumento dai tempi della rivoluzione industriale. Intorno al '700 questa sostanza prodotta dai combustibili fossili era presente nell'atmosfera con una concentrazione di 280 parti per milione, che oggi stanno per sfondare quota 400. Le previsioni per il futuro sono rese più fosche dal fatto che il tasso di emissioni non accenna a frenare. Gli 8,7 miliardi di tonnellate di oggi, secondo le stime dell'Agenzia per l'energia statunitense, sono infatti destinati a diventare 12 nel 2030. 

Fonte: la Repubblica

 
 
 

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Post n°49 pubblicato il 27 Agosto 2011 da on_the_nature

 

Come vorrei una donna a cui concedere tutto me stesso, su cui poter contare, è bello poter chiudere gli occhi e sapere che lei è dietro pronta a prendermi. Sarebbe bello starla ad ascoltare per ore magari, sugli scogli vicino al mare guardando le stelle, accarezzandole i capelli per poi guardarla negli occhi e sospirarle ti amo. Sarebbe bello avere una donna e vedere nei suoi occhi la fiamma della passione, dell’amore, del futuro, della sincerità….sentirti vuoto o incompleto quando sei solo ed imbattibile quando sei con lei. Sarebbe il massimo per i miei occhi vedere la mia donna come ultima cosa prima andare a dormire e la prima cosa appena sveglio. Sarebbe bello vedere che puoi lasciarti andare nell’amore senza avere paura di farti male, di soffrire, di finire in un pozzo senza fondo buio dove, la tua unica luce è il tempo. Sarebbe bello fare l’amore con la tua donna vicino al fuoco di un camino con candele profumate accese dove la luce fioca del fuoco crea delle ombre sul muro, ombre di due persone innamorate, abbracciate che fanno l’amore; due corpi una sola anima due cuori che si fondono in uno grande che pulpita di passione, attimi che vorresti che non finissero mai, per poi stare in silenzio abbracciati a coccolarsi mentre il fuoco del camino scricchiola.

Come vorrei ritornare ad amare…ma forse l’amore è solo un illusione che vale sempre la pena di provare. 

Claudio P.

 
 
 

Il più antico mammifero placentato

Post n°48 pubblicato il 27 Agosto 2011 da on_the_nature

 

C’era una volta, 160 milioni di anni fa, nella lontana Cina giurassica, un piccolo toporagno. Il suo nome è Juramaia sinensis ed è la nostra "bisnonna". Il suo ritrovamento nella provincia di Liaoning, nel Nordest del paese,  rappresenta una svolta straordinaria. Si tratterebbe, infatti, del più antico mammifero placentato mai scoperto: una vera e propria pietra miliare che stabilisce la data in cui i mammiferi euteri (come l’essere umano) si sono differenziati dalle altre classi di mammiferi:metateri (marsupiali come i canguri) e monotremi (ovipari come l’ornitorinco). 

Il fossile pesa appena 15 grammi, ha un teschio incompleto e solo parte dello scheletro, ma la buona conservazione dei denti e delle ossa delle zampe anteriori fa supporre che si trattasse di uno scalatore, capace di nutrirsi degli invertebrati presenti sugli alberi. Inoltre, proprio il numero di molari e premolari e la struttura minuta degli arti sono le caratteristiche che più lo separano dai marsupiali, avvicinandolo ai mammiferi viventi ancora oggi.

Zhe-Xi Luo, del Carnegie Museum of Natural History, autore dello studio pubblicato suNature, spiega come i metodi di datazione basati sul Dna, che permettono di calcolare i tempi di evoluzione attraverso un “orologio molecolare”, avevano già fissato la comparsa degli euteri a 160 milioni di anni fa. Ciò che mancava era la testimonianza di un fossile che lo comprovasse. Fino ad oggi, infatti, il più antico mai ritrovato aveva 125 milioni di anni. Juramaia (che significa “madre giurassica della Cina”), ha permesso di colmare questa lacuna lunga circa 30 milioni di anni. 

Stabilire la data della divergenza evolutiva tra vari classi di animali è una tra le informazioni più importanti che uno scienziato evoluzionista possa possedere. Come spiega Jhon Hunter della Ohio State University, un simile dato è in grado di spianare la strada a numerose altre scoperte: “Il ritrovamento di mammiferi euteri di 160 milioni di anni fa sperare nel ritrovamento di fossili di mammiferi metateri altrettanto antichi”.

Infine questa scoperta aiuta a comprendere ancora meglio quali caratteristiche di adattamento abbiano aiutato i nuovi euteri a sopravvivere nel difficile ambientegiurassico. Conclude infatti Lou:“ Il successo evolutivo dei placentati è stato garantito dal loro adeguamento alle nicchie degli alberi, diversamente dagli altri mammiferi loro contemporanei che abitavano esclusivamente il terreno”. 

Riferimento: doi:10.1038/nature10291

 
 
 

Animali serial killer

Post n°47 pubblicato il 26 Agosto 2011 da on_the_nature

Pericolosissimi,addirittura letali. Sono gli animali più pericolosi del pianeta, quelli il cui incontro potrebbe costarvi la vita. Grandi e piccoli, rettili e mammiferi: ovunque voi vi troviate, fate attenzionea questi animali. A rivelarli il sito scientifico Livescience, che stila la classifica dei primi dieci. E le sorprese sono tante, perché denti, zanne ed unghie non sono le vere minacce degli animali.

A partire da quello che troviamo al primo posto. E’, di fatti, la zanzara l'animale più pericoloso per l'uomo, perché trasmettendo la malaria provoca la morte di almeno due milioni di persone all'anno.
Il cobra asiatico è il secondo più pericoloso, e raggiunge una lunghezza di più di 1,8 metri. Anche se non è il serpente più velenoso, fa circa 50 mila vittime ogni anno.La medusa australiana, chiamata anche vespa dei mari, è armata di tentacoli che contengono, ciascuno, tossine sufficienti a uccidere 60 persone. Ogni anno alcuni bagnanti vengono urtati dai tentacoli, anche morti o suoi piccoli pezzi, provocando nell’arco di pochissimi minuti dolore e morte.E’ lo squalo bianco il primo “vero” animale da incubo, quello che incute terrore e voglia di scappare. Anche per nostri retaggi culturali. Si trova in tutti i mari temperati esub-tropicali del mondo, incluso il Mediterraneo. La nomea del leone africano è maggiore della loro reale pericolosità. E’ uno dei più grandi predatori terrestri, ma non fa molte vittime, al contrario di quanto si possa immaginare.Il coccodrillo marino australiano è un altro perfetto cacciatore: pesa fino a 1500 kg, lungo generalmente dai 4 ai 6-7 metri, ma si vocifera di esemplari che raggiungono anche i 10 metri. 


Un altro animale che sorprende, che sia africano o indiano poco importa: le otto tonnellate dell’elefante non lasciano possibilità di scampo quando si imbizzarrisce. Ogni anno gli elefanti uccidonocirca 500 persone, tra ammaestratori e semplici curiosi. Sembrano miti, ma sono capaci di furie tremende.Innocui? Per niente. Li vediamo dolci, bianchi,puri. In realtà all'orso bianco basterebbe una zampata per tranciare via la testa di un uomo. E le mamme sono gelosissime dei loro figli: mai avvicinarsi troppo.  Anche il bufalo africano ha le stesse caratteristiche: quando è nervoso è capace di calpestare ogni cosa.All’ultimo posto troviamo le rane velenose del Sud America, pericolose quanto alcuni serpenti. Dal loro dorso trasuda una neurotossina,che esse emettono in quantità sufficiente ad uccidere ben dieci persone.

 
 
 

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Post n°46 pubblicato il 25 Agosto 2011 da on_the_nature

 

Vorrei morire sulle tue labbra di rosso velluto,

camminare sulle strade di terra battuta

dei tuoi meravigliosi occhi,

per poi perdermi nella foresta chiara e profumata dei tuoi capelli,

vorrei smarrirmi nel profumo della tua pelle e 

farmi confondere dal suono dolce e rassicurante 

della tua voce per poi posare esauste le mie labbra sulle tue

e fondermi insieme a te in un unico e meraviglioso 

bacio.

 
 
 

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Post n°45 pubblicato il 24 Agosto 2011 da on_the_nature

 

 

 

Aspettare è doloroso, dimenticare è doloroso ma non sapere cosa fare è ancora più doloroso..

(Paulo Coelho)

 

 
 
 

Su Marte tracce di acqua salata

Post n°44 pubblicato il 05 Agosto 2011 da on_the_nature

 

Sui pendii di Marte potrebbero scorrere ruscelli di acqua salata. A suggerirlo le immagini arrivate dalla telecamera HiRISE, collocata a bordo della sonda spaziale Mars Reconnaissance Orbiter della Nasa.

Le foto, infatti, mostrano linee sottili che appaiono e scompaiono a seconda della stagione, un fenomeno a cui i ricercatori del Laboratorio Lunare e Planetario dell'Università dell'Arizona hanno cercato di dare una spiegazione su Science.

Qualora l'ipotesi dell'acqua salina venisse confermata da ulteriori studi, si tratterebbe della prima scoperta di acqua liquida sul suolo marziano. Le osservazioni riguardano le medie latitudini dell'emisfero sud di Marte, dove il pianeta è dominato da pendii scoscesi. In queste regioni, la telecamera HiRISE ha registrato dei cambiamenti stagionali nella colorazione della superficie: linee lunghe fino a 200 metri e larghe tra i 50 centimetri e i 5 metri che sbiadiscono durante l'inverno, per poi ricomparire in primavera.

Secondo gli autori, questi cambiamenti di colore possono essere facilmente spiegati solo ammettendo la presenza su Marte di acqua altamente salata, dunque capace di passare da liquida a solida al variare delle stagioni. “Sebbene non possiamo dimostrare che si tratti di acqua salata, è la spiegazione migliore, nonché la più semplice”, ha dichiarato Alfred McEwen, responsabile principale dell'esperimento HiRISE e direttore del Laboratorio Lunare. Secondo il ricercatore, infatti, potrebbe essere proprio la salinità dell’acqua a farla sciogliere anche a temperature come quelle di queste regioni di Marte, a cui l’acqua purarimarrebbe ghiacciata. A dar manforte alla teoria dei ricercatori dell’Arizona sono anche altre osservazioni: prima fra tutte è la presenza di depositi salini sul suolo di Marte, che suggerisce un passato in cui esistevano bacini salati sulla superficie del pianeta. Il secondo punto a favore risiede in una delle caratteristiche stesse dei presunti ruscelli marziani: i cambiamenti cromatici di questi corsi d'acqua su diversi tipi di roccia, infatti, possono essere giustificati solo assumendo la presenza di un materiale volatile. Ma quale?

Secondo i ricercatori, le temperature sono troppo fredde per l’acqua pura e troppo calde per il diossido di carbonio: anche qui la sostanza volatile più plausibile sembra essere l’acqua salata. Per stessa ammissione dei ricercatori, tuttavia, non mancano dei quesiti irrisolti: le rilevazioni del Crism – uno spettrometro anch'esso a bordo del Mars Reconnaissance Orbiter – non suggeriscono la presenza di acqua liquida sulla superficie dei presunti ruscelli salati. Per gli studiosi, le soluzioni possono essere varie: la più plausibile è che questi ruscelli ghiacciati si sciolgano solo per pochi istanti, un tempo sufficiente a farli cambiare di colore agli occhi della telecamera. “Per ora è ancora un mistero”, ha concluso McEwen. “Sono certo, però, che con altre osservazioni sarà presto risolto”.

Riferimenti: Science DOI: 10.1126/science.1204816

 
 
 

Olimpia distrutta dagli tsunami

Post n°43 pubblicato il 31 Luglio 2011 da on_the_nature

 


Non fu un terremoto né il successivo straripamento delle acque del fiume Kladeos a sotterrare la mitologica città di Olimpia sotto otto metri di sedimenti, ma un devastante tsunami. O, meglio, una serie di potenti maremoti che si susseguirono nel corso degli ultimi settemila anni di storia della città, l’ultimo dei quali, nel sesto secolo dopo Cristo, si rivelò fatale. Lo sostiene Andreas Vött della Johannes Gutenberg Universitat diMagonza, in Germania, che esporrà la sua ipotesi a settembre nel corso dell’International Workshop onActive Tectonics, Earthquake Geology, Archaeology and Engineering, a Corinto.

Olimpia, sede del Tempio di Zeus (dove si trovava la statua del dioscolpita da Fidia, una delle sette meraviglie del mondo) e dei Giochi Olimpici dell’Antica Grecia, fu scoperta 250 anni fa, sulla costa ionica del Peloponneso, sotto uno strato di sabbia e sedimenti alto otto metri. Fino a oggi, i ricercatori ipotizzavano che a causare la distruzione della città fossero stati, nel 551 d.C., un terremoto e il conseguente straripamento delle acque del vicino fiume Kladeos. 

In realtà, è piuttosto improbabile che un piccolo fiume sia riuscito a sotterrare un’intera città sotto un così alto strato di sedimenti, ed è strano che sul sito siano stati ritrovati resti di organismi marini come molluschi e gasteropodi, come fa notare il ricercatore tedesco.

Da analisi geomorfologiche, geochimiche egeoarcheologiche, Vött e i suoi colleghi hanno concluso che Olimpia fu tormentata da una serie di tsunami talmente potenti da forzare le acque del mare (che a quel tempo si spingevano nell’entroterra circa 22 chilometri oltrel’attuale linea costiera) al di là dei valichi che circondavano la città, che si trovava a ben 33 metri sul livello del mare. L’analisi dei ricercatori sembra essere confermata, oltre che da dati archeologici (la posizione delle rovine del Tempio di Zeus non è coerente con l’ipotesi di un terremoto), anche dal ritrovamento, nelle vicinanze di Olimpia, di sedimenti del tutto simili a quelli che seppellirono la città.

Quello di Olimpia, infatti, non sarebbe un caso isolato. Tutte le coste del Mediterraneo orientale, infatti, negli ultimi 11 mila anni sono state colpite da numerosi maremoti causati dall’intensa attività sismica dell’arco ellenico. L’ultimo grande tsunami della zona risale al 1908 quando, in seguito a un terremoto nello stretto di Messina, le acque si riversarono sulle coste uccidendo circa 100 mila persone.

Riferimento: Johannes GutenbergUniversitat Mainz 

 
 
 

Abbattere le zanzare tigre in tre mosse

Post n°42 pubblicato il 30 Luglio 2011 da on_the_nature

 




Tre semplici, elementari, scontate mosse, ma che sono sufficienti per dimezzare il numero delle zanzare tigre (Aedes albopictus): accertarsi che non ci sia acqua stagnante nei dintorni, usare in modo mirato gli insetticidi per eliminare le larve e gli adulti, ed evitare di accumulare spazzatura. A dirlo è una ricerca portata avanti dallUniversitàAutonoma di Barcellona (Uab), appena pubblicata su Transactions of the RoyalSociety of Tropical Medicine and Hygiene.

Lo studio è stato condotto a Sant Cugat del Vallès e a Rubì, due località non distanti da Barcellona, ed è cominciato nel febbraio del 2008. I ricercatori hanno informato la popolazione, ispezionato 3.000 abitazioni e intervistato circa 700 persone. Inoltre hanno monitorato il numero di uova depositate in trappole costruite e posizionate ad hoc (piccoli pezzi di legno posti in un bicchiere di acqua), che mimano le condizioni idealiper la proliferazione delle zanzare

Dopo aver applicato gli insetticidi, tolto parte della vegetazione in parchi e giardini, eliminato i cumuli si spazzatura dalle vie, e drenato l’acqua stagnante, i ricercatori hanno stimato il numero di uova e lo hanno confrontato con quello precedente agli interventi. I risultati indicano una riduzione dioltre il 50 per cento nelle aree trattate rispetto alle aree controllo. 

Le zanzare tigre, originarie dell’Asia, sono arrivate in Europa solo di recente. Hanno cominciato a colonizzare la  Spagna nel 2004, per poi raggiungere altre parti del Vecchio Continente. Oltre al fastidio delle punture, il vero problema è che questo insetto è uno dei pochi arrivati alle nostre latitudini in grado di trasmettere malattie tropicali come la febbre gialla, dengue e Chikungunya, che nell’estate del 2007 ha colpito circa 200 persone in Italia. 

Fonte: Uab

 
 
 

6 segreti per far durare un matrimonio

Post n°41 pubblicato il 27 Luglio 2011 da on_the_nature

 

Uno studio ha individuato le chiavi per abbassare almeno del 25% i rischi di un divorzio. Scopriamole insieme…

Sul tema della ricetta miglioreper far durare un matrimonio si sono cimentati per secoli esperti di ogni tipo,filosofi e pensatori, psicologi, sessuologi, religiosi e chi più ne ha più nemetta. Negli ultimi due decenni ci si è messa anche la scienza. E, in tempiancora più recenti, gli studi scientifici sull’argomento si sono fatti ancorapiù frequenti. L’ultimo in ordine di tempo si deve all’università dellaVirginia (negli Usa), che ha individuato 6 elementi chiave per far calare del25-30% i rischi che un matrimonio fallisca.Vediamoli nel dettaglio:

  • Almeno uno dei due coniugi deve avere una laurea;
  • almeno uno degli sposi, ma sarebbe meglio se fossero entrambi, dovrebbe aver già compiuto i 25 anni al momento del matrimonio;
  • avere un figlio;
  • avere una fede religiosa;
  • avere un posto di lavoro dignitoso, che assicuri un reddito discreto;
  • avere genitori che siano ancora sposati.


Idealizzare il partner
Un’altra ricerca, condotta da un’altra universitàamericana (a Buffalo), aveva invece sostenuto qualche tempo fa che per avere unmatrimonio lungo e felice la chiave sarebbe nellidealizzare il partner.Al termine di un’indagine su 193 coppie, infatti, gli esperti Usa hanno potutoappurare che una visione del proprio marito o della propria moglie tropporealistica e cinica rappresenta un elemento negativo che porta a dare pesomaggiore ai problemi della coppia, compresi quelli di piccola entità.

Questione di sovrappeso…
Più singolare la tesi sostenuta dai ricercatoridell’università del Tennessee (Usa), che al termine di un’indagine su 169coppie sposate hanno potuto appurare che un fattore di perfetta riuscita delmatrimonio sarebbe invece l’indice di massa corporea, vale a direquell’indicatore che stabilisce le corrette proporzioni fisiche di un uomo e diuna donna, a seconda dell’altezza e del peso. Ebbene, se il marito ha un indicedi massa corporea più alto di quello della moglie (dunque è più sovrappeso dilei o, se preferite, se lei è più magra di lui), il rapporto correrebbe benpochi rischi di rottura. 

 
 
 

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