Post n°83 pubblicato il 23 Settembre 2011 da on_the_nature
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Post n°82 pubblicato il 18 Settembre 2011 da on_the_nature
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Post n°81 pubblicato il 16 Settembre 2011 da on_the_nature
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Post n°80 pubblicato il 16 Settembre 2011 da on_the_nature
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Post n°79 pubblicato il 15 Settembre 2011 da on_the_nature
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Post n°78 pubblicato il 13 Settembre 2011 da on_the_nature
Io non voglio cancellare il mio passato, perchè nel bene o nel male mi ha reso quello che sono oggi. Anzi ringrazio chi mi ha fatto scoprire l'amore e il dolore, chi mi ha amato e usato, chi mi ha detto ti voglio bene credendoci e chi l'ha fatto solo per i suoi sporchi comodi. Io ringrazio me stesso per aver trovato sempre la forza di alzarmi e andare avanti, sempre. (O. Wilde) |
Post n°77 pubblicato il 13 Settembre 2011 da on_the_nature
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Post n°76 pubblicato il 12 Settembre 2011 da on_the_nature
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Post n°75 pubblicato il 11 Settembre 2011 da on_the_nature
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Post n°74 pubblicato il 11 Settembre 2011 da on_the_nature
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Post n°73 pubblicato il 11 Settembre 2011 da on_the_nature
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Post n°72 pubblicato il 10 Settembre 2011 da on_the_nature
Cranio, mani, piedi e bacino potrebbero fare di Australopithecus sediba il miglior candidato al titolo di progenitore di noi esseri umani. È questa la conclusione a cui sono arrivati cinque diversi studi pubblicati su Science, tutti basati su analisi estremamente dettagliate di alcuni fossili ritrovati in Sudafrica nell’estate del 2008. La scoperta, oltre a fornire preziose informazioni sull’evoluzione dei nostri antenati, colmerebbe il vuoto esistente tra gli australopitechi più antichi - quelli di cui faceva parte la famosa Lucy, per intenderci - e gli H. erectus, scalzando forse il posto al caro vecchio Homo abilis.Fin dalla loro scoperta, avvenuta nella Riserva naturale di Malapa (vedi Galileo, "Presentazioni ufficiali per Australopithecus sediba"), i fossili hanno destato particolare interesse soprattutto alla luce di alcune caratteristiche che li rendono per certi aspetti più simili all'Homo erectus, per altri ancora molto vicini al genere Australopitechus. Proprio per questo, i due paleoantropologi della Wits University di Johannesburg che li scoprirono, Lee Berger e Job Kibii, scelsero il nome di A. sediba, che nella lingua locale, il Sotho, vuol dire "ruscello" o "sorgente naturale", a voler indicare il possibile inizio del ramo evolutivo da cui discendiamo anche noi. Così ha preso il via un grande studio che ha coinvolto oltre 80 scienziati di tutto il mondo. Come hanno sottolineato gli autori, le ricerche sono pressoché uniche nel loro genere grazie agli strumenti d’analisi utilizzati e alla qualità dei reperti di sediba: suoi sono i più completi resti di mano mai descritti, il più integro bacino mai scoperto, la più accurata scansione endocranica mai realizzata; se non bastasse, vi si aggiunga anche una delle datazioni più precise mai stimate per un sito africano. Fra tutte le parti prese in esame, il cervello e le mani sono senza dubbio i tratti che avvicinano di più A. sediba agli uominidi più moderni. Come infatti ha rivelato la scansione ultrasottile del cranio del fossile MH1 (un bambino di circa 11 anni vissuto 1,97 milioni di anni fa) realizzata presso la European Synchrotron Radiation Facility di Grenoble, in Francia, la forma somiglia molto a quella umana, anche se le dimensioni (440 cm cubici) sono ancora paragonabili a quelle degli scimpanzé. Questa osservazione ha importanti conseguenze sulle teorie antropologiche: una tale organizzazione cerebrale, infatti, sembrerebbe favorire un modello di evoluzione del cervello che prevede una graduale riorganizzazione cerebrale, e che è dunque completamente in contrasto con quello finora più accreditato. Dall’analisi della mano di MH2 (una donna di circa trent'anni vissuta esattamente nello stesso periodo di MH1), i ricercatori hanno poi tratto importanti conclusioni sulle capacità manipolatorie e deambulatorie dell’ominide estinto. “Le mani sono uno dei tratti più distintivi dell’uomo”, ha spiegato Tracy Kivell, ricercatrice del Dipartimento di Evoluzione Umana del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology in Germania e autrice di uno degli articoli: “Di solito le scimmie hanno lunghe dita per afferrare rami o per l'uso in locomozione, ma hanno anche dei pollici corti e quindi una ridotta capacità ad afferrare gli oggetti”. A. sediba, invece, aveva una mano per certi versi più simile a quella dell’essere umano, pur mantenendo una notevole muscolatura carpale. Secondo gli autori, queste due caratteristiche indicano con estrema probabilità come questi ominidi fossero sì in grado di fabbricare e utilizzare utensili, ma al tempo stesso utilizzassero ancora le mani afferrare i rami. Simili conclusioni sono state tratte anche dall’analisi del bacino e del piede, mostrando anche qui caratteristiche tipiche del genere Homo, alternate ad altre peculiari degli altri primati. “ L'insieme di queste osservazioni – ha concluso Lee Berger - fa di A. sediba il più probabile progenitore dell’Homo sapiens e neanderthalensis, molto più dell’Homo abilis”. Un’affermazione forte, che in pochi, nel mondo della paleontologia umana, sembrano condividere, come dimostrano i commenti pubblicati da Nature. Donald Johanson, niente meno che lo scopritore di Lucy, ora alla Arizona State University di Tempe, aspetta di vedere dettagliate comparazioni di sediba con i primissimi Homo, compreso l’abilis. E anche Bernard Wood, della George Washington University, si dice scettico: è possibile che sediba sia un nostro antenato, dice, ma non probabile. Una seconda possibilità infatti, non esclusa dallo stesso Berger, è che questo ominide sia un altro ramo secco di australopitechi. Riferimento: Science |
Post n°71 pubblicato il 10 Settembre 2011 da on_the_nature
Lei è entrata in quella parte di cuore dove ci sono le cose più buone... Quella simile ad una credenza di dolci... dove c'è la Nutella, i biscotti, le merendine; quell'angolo di cuore che quando uno ci entra, succeda quel che succeda, da lì non uscirà mai. Non c'entra l'amore. Ci sono persone che da quando le conosci non smetti di volergli bene. (Fabio Volo) |
Post n°70 pubblicato il 08 Settembre 2011 da on_the_nature
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Post n°68 pubblicato il 06 Settembre 2011 da on_the_nature
Le cellule staminali potrebbero rappresentare l'ultima spiaggia per le specie in via di estinzione? Ad oggi nessuno sa rispondere a questa domanda, ma intanto alcuni scienziati si sono già messi al lavoro. Le basi del progetto sono state gettate nel 2006, quando Oliver Ryder, direttore di Genetica del San Diego Zoo Institute for Conservation Research, contattò Jeanne Loring, docente di neurobiologia dello sviluppo presso lo Scripps Research Institute. Il motivo del loro incontro era discutere la possibilità di collezionare le cellule staminali dalle specie animalifortemente minacciate. Ryder aveva di fatto già messo in piedi il Frozen Zoo, una banca di cellule della pelle (epiteliali) e di altro materiale biologico di oltre 800 specie, e allora non era chiaro se questo materiale potesse essere o meno utile allo scopo. Ma poco dopo, era il 2007, due équipe (quella di James A. Thomson della University of Wisconsin-Medison, e quella di Shinya Yamanaka dell'Università di Tokyo) trovarono il modo di ottenere in laboratorio cellule staminali adulte pluripotenti proprio da quelle epiteliali. Oggi la tecnica per derivare le Ipsc (acronimo di cellule pluripotenti indotte) è ormai ben sviluppata e utilizzata in molti laboratori in tutto il mondo (il metodo si serve di 4 geni che fanno regredire le epiteliali fino allo stadio di staminale, vedi Galileo, "Deja vu staminale" e "Ritornare staminali"). Già nel 2008 quindi, i team di Ryder e di Loring furono in grado di dare il via a una serie di studi per determinare se la tecnica potesse essere applicata agli animali, allo scopo di preservarli. La prima specie a fare da cavia fu il drillo (Mandrillus leucophaeus), un primate della foresta tropicale pluviale scelto per la relativa vicinanza genetica con la nostra specie e, soprattutto, perché gli esemplari in cattività soffrono frequentemente di diabete. La seconda specie fu il rinoceronte bianco settentrionale (Ceratotherium simum cottoni); il motivo è che attualmente vi sono appena 7 esemplari al mondo, due conservati proprio allo Zoo Safari Park di San Diego. Per oltre un anno, i ricercatori provarono a ottenere le Ipsc usando geni di animali strettamente imparentati con le specie scelte. In realtà, i ricercatori hanno scoperto - con non poco stupore - che a funzionare sono gli stessi 4 geni usati per ricavare leIpsc umane. Il procedimento, descritto su Nature Methods, è ancora poco efficiente: tanto lavoro e numerosi tentativi per ottenere solo poche cellule staminali. Ma questo non vuol dire che non stia funzionando. Se e come verranno poi utilizzate queste cellule è un’altra storia. Attualmente le terapie basate sulle cellule staminali sono in una fase preliminare di studio, e non è chiaro come questo strano zoo possa contribuire a salvare le specie. Ciò non toglie che progressi nei campi della riproduzione e delle biotecnologie possano un giorno permetterci di sfruttare il lavoro di Ryder e Loring (preferibilmente prima che l’ultimo rinoceronte bianco scompaia). “La cosa più importante è dare la possibilità ad altre persone di fare qualche altro passo in avanti”, ha infatti commentato Loring. In alcuni centri, per esempio, si sta cercando di differenziare le cellule staminali indotte in spermatozoi e ovociti. Se vi si riuscisse, una possibilità potrebbe essere rappresentata dalla fertilizzazione in vitro per creare un embrione da impiantare poi nell’utero di un animale vivente. I due scienziati vedono nella loro collezione soprattutto una risorsa di biodiversità. Infatti, se anche i pochi esemplari superstiti si riproducessero in cattività (cosa che comunque non avviene facilmente, come sottolineano i ricercatori), la diversità genetica verrebbe irrimediabilmente persa. Una delle conseguenze - di cui siamo già testimoni - è che la prole nasce sempre meno sana con il passare delle generazioni. Resta il fatto che prevenire sarebbe meglio (meno costoso e molto più efficace) che curare; ma nel caso dei rinoceronti bianchi e di molte altre specie, le strategie di protezione degli animali e dei loro habitat finora non hanno funzionato. Riferimento: doi:10.1038/nmeth.1706 |
Post n°65 pubblicato il 06 Settembre 2011 da on_the_nature
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Post n°64 pubblicato il 06 Settembre 2011 da on_the_nature
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Post n°63 pubblicato il 05 Settembre 2011 da on_the_nature
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Post n°62 pubblicato il 04 Settembre 2011 da on_the_nature
Per essere innamorati ci vogliono le palle. devi avere il coraggio di abbattere le barriere che ti circondano, dimenticare il passato e tutto il dolore che hai provato crescendo. Dimenticare quello che ti hanno insegnato i genitori, quello che hai visto al cinema e tutte le tue aspettative per vivere fino in fondo. Amare l'altra senza paura. E' la cosa più difficile da fare. (Kay Rush) |
Post n°61 pubblicato il 04 Settembre 2011 da on_the_nature
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Sesso: M Età: 43 Prov: BG |
Inviato da: SweetGoldenGirl
il 22/10/2011 alle 11:51
Inviato da: ancorainpiedi0
il 27/08/2011 alle 10:06
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il 26/08/2011 alle 11:49
Inviato da: veuve_cliquot
il 25/07/2011 alle 19:28
Inviato da: guchippai
il 29/05/2011 alle 08:35