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Sono nostri: riportiamoli a casa.

Post n°692 pubblicato il 29 Marzo 2014 da mondodonna_2008
 
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J’Accuse…!

Fu il titolo dell'editoriale scritto da Émile Zola al Presidente della Repubblica francese Félix Faure, sotto forma di lettera aperta con lo scopo di difendere Alfred Dreyfus, ingiustamente accusato.
In altro ambito si dovette attendere il 1977, perché, con un proclama del governatore del Massachusetts Michael Dukaki fossero assolti da ogni colpa  Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti:- “Io dichiaro che ogni stigma ed ogni onta
vengano per sempre cancellati dai nomi di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti”.
Fu abbattuta così “la colonna infame” eretta sulla loro memoria. Peccato che i due fossero stati uccisi legalmente con la sedia elettrica cinquant’anni prima. Non vorremmo che Massimiliano Latorre e Salvatore Girone fossero ricordati da qui a cinquant’anni, per l’Italia e per l’india come i “nostri” Sacco e Vanzetti.  Nei fatti quest’incidente che si
stanno “palleggiando” India ed Italia, riguarda due militari Italiani, i quali, per responsabilità del Ministero della Difesa del tempo in cui era Ministro l’on. Ignazio La Russa, erano assegnati alla sicurezza di navi commerciali italiane. Attualmente è ancora così per molti altri militari ai quali è affidato un incarico similesulla stessa rotta della “Enrica Lexie”, al servizio dei privati. Quella nave, petroliera italiana di 104.000 tonnellate di stazza, che
il 15 febbraio 2012 (quindi oltre un anno fa), incrociando di fronte alla costa del Kerala, vide avvicinarsi allo scafo una barca da pesca indiana e la ritenne guidata da pirati, per cui i fucilieri di scorta decisero di sparare alcuni colpi di avvertimento, ritenendo (pur trovandosi in una zona ben lontana dalla fascia d’azione dei pirati del Corno d’Africa) di essere sotto attacco. Stupisce?
E’ di pochi giorni fa (14 marzo 2013) la notizia che proprio militari del nucleo di protezione imbarcati a bordo di un mercantile italiano, abbiano evitato l’attacco da parte dei pirati nel Golfo di Aden. Attacco effettuato da alcuni pirati a bordo di sei piccole e veloci imbarcazioni. Le imbarcazioni piccole
sono da sempre caratteristiche dei pescatori e dei pirati e la protezione data alle navi dai militari italiani (nata in base al decreto legge, del 12 luglio 2011, con il protocollo di
accordo tra la Marina militare e la Confederazione italiana armatori -Confitarma-), non è priva di ragione. La legge La Russa, nel luglio 2011 istruiva, in effetti, un servizio anti pirateria, da cui la presenza dei militari sulle navi civili battenti bandiera italiana. I nostri militari, in una parola, su quelle navi non sono in crociera ma, lontani dall’Italia e dalle loro famiglie, compiono il loro dovere e rischiano di persona. Anche più
di quanto dovrebbero. Nel febbraio del 2012 i marine delle “Enrica Laxie” sostennero di avere sparato in acqua, allo scopo di intimorire, tuttavia lo stesso giorno e nello stesso mare un vascello di pescatori fu fatto oggetto di colpi d’arma da fuoco e due uomini furono uccisi. Da qui il calvario: sul momento le
autorità locali “invitarono” la “Enrica Lexie” a far rotta su Kochi e per i nostri marine cominciarono i guai, essendo l’accusa convinta fin dalle prime battute che la barca dove erano morti i pescatori fosse la stessa oggetto del fuoco dei marine. Non stupisce che, nel susseguirsi di accuse e difese e del via vai tra Italia ed India dei nostri marinai, lo stesso Ignazio La Russa, ex
ministro della Difesa dell'ultimo governo Berlusconi (forse allo scopo di “tendere una mano” ai due Marine), in clima elettorale offrisse ai due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, un posto in lista. Nulla di strano: è risaputo che l’essere eletti in qualche modo rende più difficilmente aggredibili. Ma la cosa non ebbe seguito. Ha avuto, invece, seguito, il rientro dei due Marine in India. Pena di morte possibile? Non possibile? Fino ad oggi
il Ministero degli Esteri che ha condotto le trattative assieme al Ministro della Difesa Di Paola non sembra abbiano avuto effetti risolutori. Intanto i nostri due militari italiani cominciano ad avere paura e con loro le famiglie (ovviamente) e noi civili che
assistiamo impotenti. Nessuno ha torto nell’avere paura: quei marine a bordo di navi mercantili lungo le coste del Kerala non sono protetti da leggi  parlamentari e neanche da accordi precauzionali scritti a garanzia dei nostri militari. Pur teoricamente presenti sul posto in nome del proprio Paese, questi lavorano per un privato che paga il Ministero della Difesa per il servizio di protezione che riceve e quindi sono equiparati a “contractor privati”. Degli “errori commessi” la storia è, purtroppo, piena. Due nomi per assonanza saltano alla mente: Sacco e Vanzetti e la loro tardiva innocenza. Per i nostri Marine non c’è stato il “J’Accuse…!” di un giornalista di fama quale quello che Emile Zola dedicò al Presidente della Repubblica Francese dell’epoca, pagato dallo scrittore a caro prezzo. Fatto sta che cominci a serpeggiare la paura. Dopo la decisione dell’attracco e la consegna dei due italiani alla giustizia indiana,
resta lo stupore della scelta effettuata (da chi?), visto che l’incidente era avvenuto al di fuori delle acque territoriali di New Delhi. Il governatore del Kerala insiste oggi e con convinzione sul fatto che Latorre e Girone abbiano commesso
un reato e siano implicati nell’assassinio di due innocenti.
Per lui non si discute sulla giurisdizione, sarà indiana:- “Il processo deve celebrarsi in India perché loro hanno ucciso due pescatori indiani su una imbarcazione indiana. Per questo non vi è alcuna ragione che sia l’Italia a giudicarli”. E i due marine, come bravi soldatini, sono rientrati in India.
Giudicati colpevoli prima del processo. Si poteva evitarlo? I nostri due italiani hanno ben ragione di chiedere che, in modo più preciso e determinato, ci si occupi di loro:- “Non ci serve ora di sapere di chi sia stata la colpa, né che le forze politiche si rimbalzino la responsabilità. Quello che chiediamo ora non è
divisione: unite le forze e risolvete questa tragedia”.
Così scrive il marò Massimiliano Latorre in un’email dall’India, e scrive ad un giornalista, Toni Capuozzo secondo quanto riferisce un comunicato di Mediaset. Evidentemente comprende che ai giornalisti spetta l’incarico di difendere chi, per difendere
le ragioni dell’Italia, che siano economiche o di altro tipo, si trova a rischiare di finire la propria vita nelle carceri indiane, che sia d’un colpo, con una pena di morte, o nella lenta agonia di anni di sofferenza. Riportiamoli in Italia, non vogliamo essere ricordati dalla storia che verrà come un popolo che ha lasciato morire, indifesi, coloro che lo difendevano. Bianca Fasano


 

 
 
 
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