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tutto quanto riguardi le donne

 

Morire d'odio. Ebook

Post n°768 pubblicato il 25 Agosto 2019 da mondodonna_2008
 
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IPOTESI
Il mio racconto "Morire d'odio", mi è stato ispirato dalla consapevolezza che, benché sia necessario punire un colpevole, ancora più importante sia non porre in carcere un innocente.
Non si riporta un caso soltanto in cui la vittima "sia scomparsa" e mai ritrovata, malgrado le ricerche.
In America secondo l'Fbi nel solo 2012 i casi di missing sono stati oltre seicentomila, poco meno di 500mila sono ragazzi sotto i 18 anni.
In Italia "abbiamo fatto l'abitudine" agli assassini che non confessano il loro delitto, malgrado ogni pressione o prova possibile ed anche agli omicidi in cui la vittima scompare misteriosamente ed il cui cadavere, prova certa del delitto, non viene mai trovato. In alcuni casi "il colpevole" è posto sotto inchiesta e, in seguito, con alterne e lunghe vicissitudini legali, anche, condannato. Benché continui a professarsi innocente dell'omicidio di una persona che non viene mai ritrovata né viva né morta.
Se il corpo non c'è e l'omicida (o presunto tale), non confessa, si ha un bel dire che in carcere sia finito il colpevole: il dubbio resta.
Da questo dubbio, senza alcun riferimento di realtà rispetto a casi che l'opinione pubblica sta discutendo in questi anni, è nato il mio racconto "Morire d'odio".
La vittima "muore d'odio". Muore, spesso, perché non fugge. Non fa come la lucertola che, pur di salvarsi, lascia la propria coda nelle "zampe" del nemico.
La vittima, solitamente, muore perché non accetta la verità. Vuole restare al suo posto. Ha mille ragioni per farlo, però una sola per andarsene: il rischio di andarsene per sempre.
Il mio consiglio, dunque è la fuga.
Qualsiasi cosa ci si lasci alle spalle, c'è modo di riconquistarla, vivendo, oppure ricostruire.
Da morti non c'è più speranza.
Buona lettura.

 
 
 

“La vicenda umana e professionale dell’Avv. Giorgio Ambrosoli: quale lascito?”

Foto di mondodonna_2008

Venerdì 22 marzo 2019, dalle ore 9:30 in due moduli temporali, presso il Teatro Comunale Mario Scarpetta in Sala Consilina (SA), Associazione Giorgio Ambrosoli Salerno, Banca Monte Pruno, Credito Cooperativo di Fisciano, Roscigno e Laurino e Comune di Sala Consilina, con il patrocinio del co-organizzatore Ordine degli Avvocati di Lagonegro e l’ulteriore patrocinio dell’Ordine degli Avvocati di Salerno, presentano: “La vicenda umana e professionale dell’Avv. Giorgio Ambrosoli: quale lascito?” Modulo delle ore 9:30 Destinato agli studenti dell’I.I.S.S. “Marco Tullio Cicerone” di Sala Consilina – con l’intento di ospitare, in futuro, altre scuole – ed in coincidenza quasi perfetta con la “Festa della legalità” indetta, per il 19 marzo, dalla Regione Campania in memoria di Don Peppino Diana. Saluti e ringraziamenti da parte dell’Avv. Nicola Colucci, Foro di Lagonegro e dell’Avv. Pasquale D’Aiuto, Foro di Salerno, ideatori dell’evento; saluti da parte del Sindaco di Sala Consilina, Avv. Francesco Cavallone, del Dirigente Scolastico Dott.ssa Antonella Vairo e della Prof.ssa Anna Colucci. Ulteriori, eventuali interventi. Presentazione del periodo storico e dell’Avv. Ambrosoli a cura del giornalista Geppino D’Amico, moderatore della mattinata; spettacolo, nella forma del teatro-canzone, intitolato “GiorgioAmbrosoli”, di e con Luca Maciacchini (durata:70 minuti). A seguire, libero contributo di professori ed allievi, sul palco del Teatro. Chiusura entro l’orario scolastico. Modulo della ore 16:00 Destinato a chiunque vorrà partecipare. In particolare, concepito in favore degli Avvocati accorsi, cui saranno riconosciuti n. 4 crediti formativi, di cui n. 2 di deontologia. Con la moderazione dei giornalisti Geppino D’Amico ed Erminio Cioffi. SALUTI Avv. Nicola Colucci, Responsabile per il Vallo di Diano Associazione Giorgio Ambrosoli Salerno. Dott. Raffaele Battista, Presidente Associazione Giorgio Ambrosoli Salerno. Avv. Pasquale D’Aiuto, Segretario Associazione Giorgio Ambrosoli Salerno. Avv. Francesco Cavallone, Sindaco di Sala Consilina. Avv. Gherardo Cappelli, Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Lagonegro. Avv. Americo Montera, Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Salerno. Arch. Gelsomina Lombardi, Assessore alla cultura del Comune di Sala Consilina. Replica dello spettacolo “Giorgio Ambrosoli” di e con Luca Maciacchini RELAZIONI sull’esempio e l’opera professionale dell’Avv. Giorgio Ambrosoli: --- Dott. Michele Albanese, Direttore Generale Banca Monte Pruno, Tutela del risparmio e trasparenza bancaria. --- Prof. Avv. Giovanni Capo, Ordinario di Diritto commerciale presso l’Università degli studi di Salerno, Figura e ruolo del commissario liquidatore. --- Dott. Gianfranco Donadio, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lagonegro, “Briganti e gentiluomini”. Attività formativa accreditata dal CNF ai fini della formazione professionale continua (n. 4 crediti, concessi dall’Ordine degli Avvocati di Lagonegro, di cui n. 2 in deontologia). Ingresso libero. Registrazione Avvocati all’ingresso ed all’uscita. Segreteria Organizzativa: Avv. Nicola Colucci, Avv. Pasquale D’Aiuto. Info www.giorgioambrosolisalerno.wordpress.com.

 
 
 

I miei libri

Post n°766 pubblicato il 28 Febbraio 2019 da mondodonna_2008
 
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I MIEI LIBRI. Sono immersa nei libri da piccolissima, mi hanno fatto compagnia nelle ore in cui ero costretta a letto. Ho fatto confusione tra i personaggi di D'Annunzio e quelli della mia vita di ogni giorno. Ho scritto libri, letto libri, recensito libri e creato copertine per i libri. Ho anche perduto un mare di libri annegati nel mio passato. Certamente, però, mi hanno forgiata, tanto di più quelli che ho dovuto abbandonare e, come fantasmi, si riaffacciano di tanto in tanto alla memoria. Amo i miei "interlocutori muti", che non restano mai uguali e parlano, invece, tanto, sempre con parole uguali, sempre con parole mutate dal fatto che sono cambiata io che li rileggo o li ricordo. Non riesco ad immaginare come si possa crescere senza di loro, fisici o in ebook. Conservo il ricordo dell'odore di nuovo che avevano i libri acquistati per la scuola e il ricordo dell'odore dei libri antichi della biblioteca Nazionale di Napoli e delle altre biblioteche che ho visitato per studio, quando google e i suoi derivati ed internet neanche era nell'iperuranio di Platone. Conservo il ricordo dei libri della biblioteca di mio padre, che spaziavano dalla letteratura alla fisica, dalla statistica al "Come giocare e vincere al poker", dagli "uccelli canori", al "I Purosangue da corsa", fino ai romanzi degli autori più conosciuti e su tutti, con il permesso di mio padre, ho messo le mani da piccola, lasciandoci il segno della matita, per poi metterci la mente "da grande", lasciandoci il segno della conoscenza. Libri letti in fretta, saltando le pagine, quando, in tempi lontanissimi, si andava a ballare a casa di amici ed io trovavo qualche libro interessante e lo leggevo, quasi fossi una "Ladra di libri", cercando di portare con me immagini di una storia che non potevo possedere tutta. Piango i libri che ho dovuto abbandonare, però sono restati come rimpianto nella mia mente. Tutti mi hanno fatto crescere e divenire quella che sono e i grandi autori del passato, finendo sulle bancarelle a pochi euro, e, a suo tempo, a pochissime lire, mi hanno fatto da monito dicendomi:-"Chi sei tu per credere che il TUO, di libro, possa avere più fortuna del mio?"- Tuttavia scrivo e studio ancora e ancora posseggo vite che non mi appartengono e ancora percorro strade di città che non ho mai visitato e mi immergo in emozioni che non potrò mai vivere e, forse, mai vorrei avere vissute, ringraziando l'autore del libro che le ha vissute per me, ha sofferto, per me, ha conosciuto fatti, storie, persone, memorie, città, mondi, che io non potrò mai conoscere se non attraverso lui. Leggete, leggete libri, leggete poesie, fatelo. Non è detto siano i miei, però, per favore leggete! Bianca.

 
 
 

SAN GIUSEPPE MOSCATI.

Post n°765 pubblicato il 24 Febbraio 2019 da mondodonna_2008
 
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LA SOTTILE LINEA BIANCA.

SAN GIUSEPPE MOSCATI. 

(La parte dedicata allo studio grafologico si potrà trovare nel mio testo in elaborazione: “La grafia dell’amore e dell’odio ed altri metodi di comprensione dell’essere umano).

  Parlare di San Giuseppe Moscati mi emoziona perché ho una propensione personale nei suoi confronti che non nasce adesso ma è profondamente radicata nel passato. Basti dire che ho portato con me per anni un pezzettino del suo camice come reliquia e me ne sono privata soltanto per darla ad una persona che amo molto al momento che mi aveva bisogno per guarire da una grave malattia. A Napoli lo si ricorda come se non fosse morto tanti anni fa, ossia il 12 aprile del 1927; forse è restato vivo in qualche modo, anche soltanto attraverso la presenza della sua statua, la cui mano è consumata dalle strette di quanti gli vanno a parlare nella chiesa del Gesù a Napoli e vanno a pregare nel posto in cui è stato sepolto. Penso che non soltanto i napoletani abbiamo l'abitudine di salutarlo e nei casi particolari, che non mancano mai nella vita, di chiedere il suo aiuto come medico per la protezione di qualcuno che è ammalato o di se stessi, potendo visitare anche la sua camera con l'inginocchiatoio, lo studio ed una bacheca con gli arnesi e gli accessori da medico. Difatti la sorella del professore Nina Moscati, nata nel 1878 è morta nel 1931, a pochi anche dal fratello, dopo essergli stata sempre vicina in vita, aiutandolo nell’esercizio della sua carità, dopo la morte di lui ha donato alla chiesa del Gesù Nuovo il vestiario, il mobilio, e le suppellettili. Venne poi seppellita accanto al fratello nel 2009 ed a lei, l’8 marzo 2018 è stata dedicata una strada, difatti vico I Quercia presso Cisterna dell’Olio è attualmente, via Nina Moscati. Il medico Giuseppe Moscati era nato il 25 luglio 1880 a Benevento, settimo tra i nove figli del magistrato Francesco Moscati e di Rosa De Luca, dei marchesi di Roseto e venne battezzato il 31 luglio 1880. Un anno dopo la famiglia Moscati si trasferiva ad Ancona e poi a Napoli, Purtroppo quando Giuseppe aveva circa 12, anni il fratello Alberto, nel 1892, durante una parata militare a Torino, cadde da cavallo, riportando un trauma cranico, che gli causò anche una sindrome da epilessia. Il 12 giugno 1904 si spense a Benevento, dove si era ritirato presso l'ospedale "Fatebenefratelli" e Giuseppe lo assistette fino alla fine. Questo non impedì a Giuseppe Moscati di laurearsi a pieni voti con una tesi sull'urogenesi epatica, il 4 agosto 1903. Dopo poco tentò il concorso per assistente ordinario e per coadiutore straordinario agli Ospedali Riuniti degli Incurabili, superando entrambe le prove. Rimarrà nel nosocomio per cinque anni. La sua biografia ricorda che in quel periodo si alzasse presto tutte le mattine allo scopo di recarsi a visitare gratuitamente gli ammalati indigenti dei quartieri spagnoli di Napoli, prima di prendere servizio in ospedale per il lavoro e poi, nel pomeriggio, visitava gli ammalati nel suo studio privato in via Cisterna dell'Olio al numero 10, laddove una targa lo ricorda. Tutto ciò che compiva era fatto con fermezza e determinazione nella piena convinzione di essere nel giusto e nel 1911 il dottor Moscati risultò vincitore al concorso di Coadiutore Ordinario negli Ospedali Riuniti, che non si bandiva dal 1880 e al quale parteciparono medici venuti da ogni parte d’Italia. Nel ricordo del professor Cardarelli, facente parte della commissione esaminatrice, restò come una figura eccezionale e a ragione di ciò lo scelse come proprio medico curante. Occorre rimarcare, per far comprendere quale personalità coerente forte e dinamica possedesse il medico, evidenziata dalla sua grafia, che, prima di questo concorso, il dottor Moscati, prevedendo che ci sarebbero stati imbrogli e favoritismi, scrisse al Prof. Calabrese, ordinario di Clinica Medica: " ... Non posso tollerare la copia degli altri, già troppo protetti, e già lieti di prenotazione ai posti stessi, che sono stati a loro fatti intravedere da amicizie e compromessi pregiudiziali. [...] Io non agisco per superbia, ma per un innato senso di giustizia. Guai a toccarmi su questo punto!... " Dobbiamo evidenziare che Giuseppe Moscati era una personalità poliedrica, non soltanto nell'esercizio della sua professione, ma in quanto "scienziato" e ne fanno fede ben 32 pubblicazioni in campo medico dall'Ureogenesi epatica del 1903 alle Vie linfatiche dall'intestino ai polmoni del 1923. A questa sua fortissima abilità e attività di medico, fa da contrappeso, ovverosia la spiega, la sua capacità di dimenticare se stesso per gli ammalati. In un suo scritto datato 5 giugno 1922 possiamo leggere: - "Mio Gesù amore! Il vostro amore mi rende sublime, il vostro amore mi santifica, mi volge non verso una sola creatura, ma a tutte le creature". Parliamo di un uomo che in quanto medico, certamente aveva riconosciuto in se stesso le caratteristiche di una malattia che lo avrebbe portato alla morte in giovane età e quindi probabilmente se l'aspettava. Ciò non toglie che fosse anche un uomo perfettamente normale e anche questo appare dalla sua grafia, che dimostra come avesse un ottimo rapporto sia con il lato superiore della vita che con quello terreno. La sua integrità sia sotto il profilo di medico sia sotto quello di uomo gli fece scrivere: “Tutti i giovani dovrebbero comprendere che nella pratica della continenza è il modo migliore per tenersi lontani dalla massima malattia trasmissibile. Mantenendo il loro spirito e il loro cuore lontano dalla turpitudine, in un esercizio di rinuncia e di sacrificio, dovrebbero giurare di concedere la loro maturità e sanità sessuale solamente all'essere unicamente amato.” Abbiamo detto che come medico si aspettava di morire e difatti quando il 12 aprile 1927, un martedì prima di Pasqua, mentre compiva le sue visite pomeridiane agli ammalati, si rese conto di star male, preferì ritirarsi in silenzio nella sua stanza e la sorella raccontò come si fosse steso sul letto, avesse incrociato le braccia sul petto attendendo serenamente la fine che non tardò a giungere. A soli 46 anni, stroncato in piena attività, lascia un Napoli privata della sua operosità così indispensabile per quanti non avessero la possibilità di farsi curare per cui, al momento che la notizia del suo decesso venne annunciata, si propagò di bocca in bocca con le parole: " È morto il medico santo ". Il Prof. Giuseppe Moscati è stato beatificato da S. S. Paolo VI nel corso dell'Anno Santo, il 16 novembre 1975.

 
 
 

uomini in cambio di carbone

Post n°764 pubblicato il 20 Febbraio 2019 da mondodonna_2008
 
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LA SOTTILE LINEA BIANCA UOMINI IN CAMBIO DI CARBONE. Il nostro paese a partire dal 23 giugno 1946 , scambiò con Bruxelles uomini in cambio di combustibile . Fu infatti firmato a Roma, in quella data, un protocollo per il trasferimento di 50.000 lavoratori italiani nelle miniere belghe, il cosiddetto accordo “uomo-carbone”, siglato dal primo ministro De Gasperi e dal suo omologo Van Acker. Fa da contrappasso a questo ricordo la teoria “immigrati in cambio di flessibilità, che circola almeno dall’aprile 2016, quando ne parlò l’allora presidente del Comitato di controllo Schengen ossia la deputata di Forza Italia Laura Ravetto. Il presunto accordo tra governo Renzi ed Unione Europea sarebbe stato ufficializzato durante l’estate e l’autunno del 2014, mentre veniva negoziato il lancio dell’operazione Triton, ossia la missione europea per la protezione delle frontiere marittime italiane guidata dall’agenzia Frontex. Ma torniamo ai minatori: Tra il 1946 e il 1957 gli italiani espatriati verso quella terra, che si riteneva essere un paradiso (almeno come appare l’Italia agli attuali immigrati), sono stati 223.972, rispetto ai 51.674 rimpatri. Si trattava di un afflusso senza antecedenti simili, che il Belgio (otto milioni e mezzo di abitanti nel 1950) non era assolutamente preparato a ricevere. Difatti le famiglie italiane, quando arrivarono, finirono nelle baracche, ossia nelle costruzioni di lamiera che durante la Seconda Guerra Mondiale erano state utilizzate prima come lager dai nazisti e poi come campo di prigionia per gli stessi tedeschi. Il contratto prevedeva per i minatori un periodo minimo di un anno di lavoro (pena l'arresto in caso di rescissione da parte loro). Per 8 anni, per molti di loro fino al giorno della tragedia di Marcinelle, gli italiani lavorarono giorno e notte in cunicoli alti appena 50 centimetri a più di 1000 metri dentro le viscere della terra, spesso vittime di esplosioni di grisù e di malattie gravi come la silicosi. Lasciavano le campagne, l’aria aperta e l’Italia (del sud), perché avevano bisogno di soldi, e durante la prima discesa “al fondo”, certamente si dicevano: “Se risalgo in superficie, laggiù non ci torno più”. In tanti sono morti di silicosi, che rende il respiro corto e uccide. In molti sono sopravvissuti, ammalati o “quasi sani”. Alcuni sono ritornati in patria, altri divenuti “Belgioti”. Trovarono un lavoro che una parte dei belgi non volevano più fare perché volevano “abbandonare una fatica quanto mai ingrata ed abbrutente, nociva, mal retribuita e pericolosa”. Tanto c’erano gli italiani a prendere il loro posto, che furono spediti dal primo ministro De Gasperi a procurare carbone, ad uccidersi di lavoro, in nome della necessità. La storia di tanti si concluse nella miniera di Marcinelle, diventata famosa a motivo dell’incidente che, l’8 agosto 1956, causò la morte di 262 minatori, tra cui 136 italiani. Gli ultimi corpi furono ritrovati il 22 marzo del 1957, mentre si dava inizio all'inchiesta su chi avesse la colpa della tragedia. Come supponibile, la Commissione belga (nella quale furono chiamati anche alcuni ingegneri minerari italiani), discolpò la società delle miniere del Bois du Cazier (il vero nome delle Marcinelle), in un percorso zeppo di mancanze e vizi di forma. l’unico condannato fu, nel 1961, Adolphe Cilicis, un ingegnere che dirigeva i lavori della miniera, mentre già nel 1959 i dirigenti della miniera erano stati assolti dalle accuse di inadempienza. Dopo l’incidente, il sito minerario riprese a lavorare circa un anno più tardi, prima di cessare del tutto le attività nel 1967. I superstiti dell’incidente furono soltanto 13. Le vittime non ebbero né giustizia né risarcimento in quell'estate di 60 anni fa, al tempo in cui gli italiani, cercando una nuova terra che li accogliesse, non morivano annegando in mare, ma sotto terra, immersi nei cunicoli, ad estrarre carbone. BiEffe

 
 
 
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