orkelio

CURIOSITA' - Arvaia


Roveja, anche detto pisello dei campi o robiglio, è una varietà di pisello. Questo legume è importato in Europa dal Medio Oriente, conosciuto fin dalNeolitico ma ultimamente praticamente scomparso dalle nostre produzioni.Esistono diverse cultivar del pisello dei campi quali i kapucijner chevengono coltivati in Olanda e la roveja che si trova ormai soltantonell'Italia Centrale dove viene coltivato prevalentemente nelle Marchee in Umbria da agricoltori che vogliono diversificare e riscoprire le tradizioni.Inizialmente il baccello della roveja è verde ma con la maturazione diventa viola-scuro. Il colore dei semi freschi può variare da verde a grigio mentre seccati i semi tendono al marrone scuro. I fiori sono purpurei.Il pisello dei campi viene coltivato soprattutto in Umbria enelle Marche in particolare in Valnerina a Cascia. La rovejaviene seminato in marzo.I baccelli maturano in luglio. Possono essere raccolti anche a maturazioneinoltrata in quanto sono meno farinosi dei piselli comuni. Dopo che lefoglie siano diventate gialle, si falciano le piante e si lasciano essiccarenel campo. Quindi le piante secche vengono raccolte e trebbiate.Per togliere le impurità i semi vengono ventilati [1].Uso
I semi possono essere consumati freschi oppure si possono seccare. Comunque sono più gustosi cotti. Hanno il sapore di una fava. I semi seccati vengono impiegati soprattutto per zuppe e minestre.La pianta viene usata anche come foraggio.https://www.google.it/search?q=roveja&safe=active&rlz=1C2AVNE_enIT623IT623&biw=1242&bih=585&tbm=isch&imgil=BhyzlT6Y4KNqsM%253A%253BYZAkW5hM5oI6BM%253Bhttps%25253A%25252F%25252Fit.wikipedia.org%25252Fwiki%25252FRoveja&source=iu&pf=m&fir=BhyzlT6Y4KNqsM%253A%252CYZAkW5hM5oI6BM%252C_&dpr=1.1&usg=__XrF4gTndxH8uW33vsJUeumwpYU8%3D&ved=0ahUKEwj3nLiy4anKAhVIliwKHUtpCcgQyjcIOQ&ei=4dGXVreoOsissgHL0qXADA#imgrc=aQsSkFP6RUFsIM%3A&usg=__XrF4gTndxH8uW33vsJUeumwpYU8%3DLenticchia e rovejaCi sono piatti e ricette, nella nostra penisola dove è più facile dividersiche unirsi (anche a tavola…), che variano da provincia a provincia, dacomune a comune, da una rione all’altro. E ci sono perfino prodotti,diventati famosi in tutto il mondo, che portano il nome del luogo diproduzione come tanti altri, solo che il posto nel quale nascono e chestanno rendendo popolare è quello di una frazioncina, neanche dell’interocomune. Succede in Umbria, dove Norcia, un comune di cinquemila abitantiall’interno del Parco nazionale dei Monti Sibillini e a un centinaio dichilometri dal capoluogo Perugia, è famoso nel mondo per il meravigliosocentro storico (sopravvissuto a terremoti), per San Benedetto e, per quelche riguarda il cibo, soprattutto per il tartufo nero, il prosciutto crudo Igpe i norcini, i maestri della salumeria che ormai si chiamano così perdefinizione, anche se della bella cittadina e del suo centro storico hannoa stento sentito parlare.Una frazione di Norcia, invece, con neanche duecento abitanti, è diventataquasi altrettanto famosa per le sue lenticchie: mi riferisco a Castelluccio, checon la sua posizione elevata a 1450 metri di altitudine è il centro abitato piùalto dell’intera catena appenninica; di fronte a Castelluccio si erge il monteVettore, con i suoi 2500 metri. Che Castelluccio sia una frazione, ma conuna vita abbastanza autonoma rispetto a Norcia, lo spiega anche la distanzadal comune di riferimento: una trentina di chilometri…
   Un posto freddo, dove siscia d’inverno, ma anche una calamita per i fotografi in primavera avanzata,grazie alla sua fioritura immortalata da milioni di scatti: l’altopiano lungoventi chilometri, sul quale si trova la piccola frazione, nella tarda primaveraoffre un particolare fenomeno naturale, dovuto alla fioritura contemporaneadi decine di fiori diversi, che formano uno straordinario tappeto multicoloredisteso sull’intera valle. Oltre al giallo, spiccano il rosso dei papaveri e il bludei ciclamini. In questo notevole scenario naturale, che da solo basterebbea rendere famosa Castelluccio, si sono inserite le lenticchie, che qui cresconocon un sapore inconfondibile, un particolare aspetto policromo e dimensionipiuttosto ridotte. Altri requisiti importanti sono la resistenza (ai parassiti,al freddo e alla siccità) e la coltivazione quasi naturalmente biologica.Tutti aspetti che hanno fatto meritare loro il marchio europeo della Igp,l’Indicazione geografica protetta, alla quale hanno fatto seguito una richiestasempre più elevata e prezzi altrettanto remunerativi. Ormai un sacchetto dilenticchie di Castelluccio non può mancare nei pacchi-regalo enogastronomicidel periodo natalizio. Seminate in primavera allo sciogliersi della neve,le lenticchie richiedono pioggia per crescere e pazienza in fase di raccolta,che qui chiamano carpitura, così come il legume è chiamato lénta. La raccolta,che avviene fra la fine di luglio e ferragosto, adesso è sempre più meccanizzata,ma qualche decennio fa dava vita a una grande kermesse contadina, con l’arrivo,anche da fuori regione, dei mietitori e delle carpirine, lavoratrici specializzatein questo lavoro. Musiche e canti, abitudini secolari ormai perse e un gergospecifico per ogni passaggio della lavorazione, rendevano questa raccoltadegna di essere raccontata, come è avvenuto per le mondine. Peccato chenessuno abbia pensato di girare l’equivalente di Riso amaro qui a Castelluccio…
   Il “ritorno al futuro” della roveja. Il Parco nazionale dei Monti Sibillini, con i suoi settantamila ettaridi territorio da vivere e da assaporare, offre altri prodotti assai particolari:siamo in quella zona fra Umbria e Marche che ha saputo rinascere dopotanti terremoti, ma ha vissuto con sofferenza la mancata industrializzazione,che ora invece si rivela una fortuna dal punto di vista turistico e ambientale.Nessuno scheletro di capannoni abbandonati né ciminiere in mattoni ormaiutilizzabili solo come punti di riferimento per il trekking: qui la natura èrimasta quella di un tempo, e si trovano ancora le pecore sopravissane ei loro formaggi, oppure un salame spalmabile delicatissimo come il ciaùscolo.E poi, con un buon navigatore, vi capiterà di trovare un’altra frazione,Civita di Cascia, che con i suoi sessanta abitanti e nonostante il suo isolamento(si trova a dodici chilometri da Cascia e a 1200 metri di altitudine), si stafacendo conoscere con un suo prodotto unico. Civita è ormai nota ai buongustaicome la patria di un legume del quale si era persa la nozione: la roveja, dettaancherubiglio o corbello e, dai botanici, pisum arvense. Arrivata dal MedioOriente, era coltivata in Europa già in epoca preistorica: pare sia stata,insieme a lenticchia, orzo e farro, la base dell’alimentazione umana nelNeolitico. In Umbria fu usata dalle prime popolazioni autoctone e poi daEtruschi e Romani. Diffusissima fino a pochi decenni fa, anche perché crescespontaneamente (un’altra definizione è “pisello selvatico”), è scomparsaprima come foraggio, perché poco adatta ai nuovi allevamenti del dopoguerra,poi anche come alimento per l’uomo. Da protagonista di piatti tradizionalicome la farrecchiata, una polenta di legumi molto diffusa in tutta la zonadel Parco, era diventata un ricordo sbiadito nei racconti dei più anziani.Tanto è bastato, però, per far incuriosire due signore di Civita di Cascia,Silvana Cresci e Geltrude Moretti, che qualche anno fa hanno cominciatoa rivalutare questo legume raro, dal seme di un colore che va dal verde scuroal marrone-grigiastro, e si posiziona dunque a metà strada fra lenticchie episelli, anche se il sapore assomiglia più a quello delle fave.
  Il seguito della storia lo raccontaLanfranco Bartocci, il presidente di Bioumbria, un’associazione di piccoli coltivatoribiologici che la stanno facendo conoscere a un pubblico più ampio, di pari passocon l’aumento della produzione: “Alla fine degli anni Novanta si sono mosse leUniversità (Perugia e Ancona), i Gruppi di azione locale e alcuni contadini, persperimentare e riprendere la produzione. Nel 2006 è diventata oggetto di unpresidio Slowfood, e sta tornando lungo tutto l’Appennino umbro-marchigiano,in particolare sui Monti Sibillini, con campi anche a quote molto elevate. Comela lenticchia di Castelluccio, la Roveja è un legume molto resistente alletemperature più basse, ha un ciclo breve e non richiede molta acqua. L’unicoproblema è che si raccoglie in agosto, operazione faticosa talvolta per il caldoe sempre perché va fatta per lo più a mano. Come tutti i legumi, è ottima dalpunto di vista nutrizionale, per la presenza di proteine, carboidrati, fosforo,potassio, pochissimi grassi e molte fibre”.Bruno Gambacorta tratto da “Eat Parade – Alla scoperta di personaggi, storie, prodotti e ricette fuori dal comune”,di Bruno Gambacorta, edito da RAI ERI e Vallardi.