Orto Botanico
Orto Botanico - Centro Sperimentale di Agricoltura biologica - Vivaio Forestale della Macchia Mediterranea - Centro di Educazione Ambientale - Area Attrezzata
La 92/43/ CEE, comunemente denominata direttiva ha creato per la prima volta un quadro di riferimento per la conservazione della natura in tutti gli Stati dell'Unione. Il recepimento della direttiva è avvenuto in Italia nel 1997 attraverso il regolamento D.P.R. 8 settembre 1997 n. 357. Conseguenza di tale direttiva è la creazione della rete “Natura 2000” che ha come obiettivo più vasto oltre alla creazione della rete, lo scopo di contribuire a salvaguardare la biodiversità mediante attività di conservazione non solo all’interno delle aree che costituiscono la rete Natura 2000, ma anche con misure di tutela diretta delle specie la cui conservazione è considerata un interesse comune di tutta l’Unione. In realtà però non è la prima direttiva comunitaria che si occupa di questa materia. E' del 1979, infatti, un'altra importante direttiva, che rimane in vigore e si integra all'interno delle previsioni della direttiva Habitat, la cosiddetta direttiva "Uccelli" (79/409/CEE), concernente la conservazione degli uccelli selvatici. Anche questa direttiva prevede, da una parte una serie di azioni per la conservazione di numerose specie di uccelli, indicate negli allegati della direttiva stessa e, dall'altra l'individuazione da parte degli Stati membri dell'Unione di aree da destinarsi alla loro conservazione, le cosiddette Zone di Protezione Speciale (ZPS). Già a suo tempo dunque la direttiva Uccelli ha posto le basi per la creazione di una prima rete europea di aree protette, anche se, in quel caso, specificamente destinata alla tutela delle specie minacciate di uccelli e dei loro habitat. Le direttive comunitarie “Uccelli” e “Habitat”, e la conseguente nascita della Rete Natura 2000, rappresentano un elemento estremamente innovativo per quanto riguarda la legislazione sulla conservazione della natura. Questi due strumenti, difatti, non solo hanno colto l'importanza di tutelare gli habitat per proteggere le specie, recependo in pieno i principi dell'ecologia che vedono le specie animali e vegetali come un insieme con l'ambiente biotico e abiotico [ovvero gli aspetti biologici (biotici) e non biologici (abiotici, come la geologia, la morfologia, ecc.)] che le circonda, ma si pongono come obiettivo la costituzione di una rete ecologica organica a tutela della biodiversità in Europa. |
Già nel corso della Conferenza di Rio de Janeiro del 1992, per conservare la biodiversità e garantire una equa distribuzione dei vantaggi derivanti dalla biodiversità stessa tra i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo, fu stilato il testo della Convenzione sulla Diversità Biologica, che il nostro Paese ha sottoscritto nel 1993. Scopo comune della convenzione era quello che la tutela, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale ed ambientale rappresentassero obiettivi strategici per l’affermazione di un positivo rapporto con la natura, che unitamente al rispetto delle tradizioni, cultura, storia, della corretta utilizzazione delle risorse socio-economiche, può tradursi in uno sviluppo sostenibile. La creazione della rete Natura 2000, prevista dalla direttiva europea n. 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992 relativa alla "conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche", comunemente denominata direttiva "Habitat", si muove nell’ambito di questi principi generali. La conservazione della biodiversità europea viene realizzata, difatti, tenendo conto delle esigenze economiche, sociali e culturali, nonché delle particolarità regionali e locali. Tutto ciò, costituisce una forte innovazione nella politica del settore in Europa, in quanto si vuole favorire l'integrazione della tutela di habitat e specie animali e vegetali con le attività economiche e con le esigenze sociali e culturali delle popolazioni che vivono all'interno delle aree che fanno parte della rete Natura 2000. Il concetto di integrazione viene ulteriormente rafforzato con il riconoscimento del valore delle aree seminaturali. Nello stesso titolo della direttiva Habitat è, difatti, specificato l'obiettivo di conservare non solo gli habitat naturali (quelli meno modificati dall'uomo) ma anche quelli seminaturali (come le aree ad agricoltura tradizionale, i boschi utilizzati, i pascoli, ecc.). Con ciò viene riconosciuto il valore, per la conservazione della biodiversità a livello europeo, di tutte quelle aree nelle quali la secolare presenza dell'uomo e delle sue attività tradizionali ha permesso il mantenimento di un equilibrio tra uomo e natura. Alle aree agricole ad esempio sono legate numerose specie animali e vegetali ormai rare e minacciate per la cui sopravvivenza è necessaria la prosecuzione e la valorizzazione delle attività tradizionali, come il pascolo o l'agricoltura non intensiva. Attraverso la rete Natura 2000, si andrà a costruire un sistema di aree strettamente relazionato dal punto di vista funzionale e non un semplice insieme di territori isolati tra loro e scelti fra i più rappresentativi; e, nel contempo, si attribuisce importanza oltre che alle aree ad alta naturalità, anche a quei territori contigui, che costituiscono l'anello di collegamento tra ambiente antropico e ambiente naturale, ed in particolare ai corridoi ecologici, territori indispensabili per mettere in relazione aree distanti spazialmente ma vicine per funzionalità ecologica. Possiamo dire che le due direttive comunitarie sono il prezioso ago e filo indispensabile per ricucire gli strappi di un territorio, come quello europeo, che ha subito la frammentazione degli ambienti naturali a favore dell'urbanizzazione, dell'attività industriale, dell'agricoltura intensiva, delle infrastrutture, ecc. L'isolamento di habitat e di popolazioni di specie è pericoloso perché compromette la loro sopravvivenza riducendo l'area minima vitale. Un concetto questo più facilmente comprensibile se riferito ad esempio a specie come l'orso o il camoscio appenninico, che trovano una grave minaccia alla loro sopravvivenza se rimangono isolate in aree protette senza possibilità di comunicazione con altre aree e con altre popolazioni della loro specie. La conseguenza pratica è che, per costruire la rete Natura 2000, si devono promuovere interventi che rimuovano le minacce alle specie e agli habitat e che vadano anche ad intervenire su situazioni ambientali parzialmente compromesse (ma che abbiano la potenzialità di rinaturalizzarsi). |
La direttiva HABITAT definisce una metodologia comune per tutti gli Stati membri per individuare, proporre e designare i Siti di Importanza Comunitaria (SIC). Identificazione dei siti L’art. 4 della direttiva Habitat permette agli stati membri di definire, sulla base di criteri chiari, la propria lista di Siti di Importanza Comunitaria (SIC). I siti vengono individuati sulla base della presenza degli habitat e delle specie animali e vegetali elencati negli allegati I e II della direttiva Habitat, ritenuti perciò di importanza comunitaria. L’individuazione dei (SIC)in Italia e il progetto BIOITALY in Campania L’Italia dal 1995 al 1997 ha individuato aree proponibili come SIC, nel proprio territorio nazionale, attraverso il programma Bioitaly, stipulato tra Il Ministero dell’Ambiente-Servizio Conservazione della Natura e le Regioni e Provincie Autonome. Queste ultime si sono avvalse della collaborazione scientifica della Società Botanica Italiana (SBI), dell’Unione Zoologica Italiana (UZI) e della Società Italiana di Ecologia (SltE) mediante propri referenti regionali che hanno coordinato l’attività di numerosi rilevatori di campo. Nel nostro territorio regionale sono stati individuati 132 Siti di Interesse Comunitario (SIC). Il dato di superficie protetta, pari al 25% della superficie regionale, dà l’idea di una particolare attenzione rivolta alla problematica della tutela della salvaguardia del patrimonio naturale ed ambientale in Campania. In particolare il Parco del Cilento e Vallo di Diano con i suoi 1.800 kmq e gli 80 comuni in cui i territori, almeno parzialmente, ricadono all’interno del territorio protetto, è il secondo parco italiano per estensione e rappresenta uno dei più importanti complessi biogeografici dell’Italia meridionale. Agli Stati membri viene lasciata la massima libertà di decidere quali norme applicare alla gestione dei siti, fatto salvo il principio generale della necessità di conservare in uno stato soddisfacente habitat e specie. Ciò permette di adattare la gestione dei singoli siti alle realtà locali, alle esigenze delle popolazioni e alle esigenze di specie ed habitat. Il principale elemento di criticità delle aree protette campane, riguarda essenzialmente la percezione sul territorio da parte della popolazione. L’imposizione del vincolo, generalmente, dalle popolazioni locali viene vissuto come un ulteriore vincolo alle attività economiche tradizionali (attività agricola, edilizia) e non come reale occasione di sviluppo attraverso la valorizzazione di forme di aggregazione sociale per il mantenimento della identità locale. All’interno dei territori naturali protetti, vi è molto delle potenzialità di sviluppo della nostra regione, rappresentato dal patrimonio di arte, natura e coltura che è l’asse su cui fondare una nuova e più forte identità regionale. La valorizzazione di questa enorme ricchezza deve diventare una delle direttrici attorno a cui costruire uno sviluppo economico solido, duraturo ed ambientalmente compatibile. L’obiettivo principale da perseguire nelle aree protette campane è dunque quello della tutela e conservazione del patrimonio naturale e colturale attraverso il recupero e il restauro ambientale e la valorizzazione di forme di aggregazione sociale per il mantenimento della identità locale. |
§ Direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992 relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee n. 206 del 22-7-92 ( Il testo della direttiva Habitat, con allegati). § Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche. § Decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357. § Modificazioni degli allegati A e B del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, in attuazione della direttiva 97/62/CE del Consiglio, recante adeguamento al progresso tecnico e scientifico della direttiva 92/43/CEE. § Decreto del Ministro dell'Ambiente 20 gennaio 1999, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, serie generale, n. 23 del 9 febbraio 1999. § Direttiva del Consiglio del 2 aprile 1979 concernente la conservazione degli uccelli selvatici (79/409/CEE), pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee n. 103 del 25 aprile 1979. (Il testo della direttiva Uccelli, con allegati). § Direttiva della Commissione del 6 marzo 1991 che modifica la direttiva 79/409/CEE del Consiglio concernente la conservazione degli uccelli selvatici (91/244/CEE), pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, II serie speciale, n. 45 del 13 giugno 1991. (Riporta modifiche degli allegati della direttiva Uccelli). § Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio. Legge n. 157 dell'11 febbraio 1992, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, serie generale, n. 46 del 25 febbraio 1992. § Sentenza della Corte Costituzionale n. 425 del 27 ottobre - 10 novembre 1999, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, serie speciale, n. 46 del 17 novembre 1999.
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Caratteristiche del SIC Il Sito di Interesse Comunitario (Sic) interessato dal progetto è il n. 91 Id. SIC-IT8050002 denominato “Alta Valle del fiume Calore Salernitano”, che interessa una superficie di 360 ha, con 13 Comuni e 2 Comunità Montane: Alburni e Calore Salernitano; - L’altezza minima è 76 m s.l.m. - L’altezza media è 700 m s.l.m. - L’altezza massima è 1000 m s.l.m. Dall’esame delle schede dei sistemi e sottosistemi ambientali dell’Ente Parco del Cilento e Vallo di Diano, l’area di intervento è inquadrabile come Regione Temperata - Sistema Arenaceo – Conglomeratico - Sottosistema Montuoso, i cui tratti climatici principali risultano essere contraddistinti dai seguenti parametri: - Piovosità annua: 1066,4 mm; - Piogge estive 131,9 mm; - Mesi di aridità: 1,5; - Temperatura del mese più freddo : 5,00 °C; Il clima è classificabile nell’ambito della regione temperata con un termotipo mesotemperato superiore ed un ombrotipo umido inferiore. Dal punto di vista litologico, l’area è quella tipica degli ambiti montani a morfologia articolata, versanti a pendenze medio-alte, reticolo drenante con disposizione a traliccio molto inciso sulle successioni di strati e banchi conglomeratici e scarse intercalazioni pelitiche e marnose; profilo di alterazione sviluppato con formazione di “sabbioni” sui crinali e sui ripiani; coperture detritiche grossolane nei valloni e lungo i pedemonte con forte contenuto in matrice cineritica. I suoli sono profondi o moderatamente profondi, a profilo moderatamente differenziato per accumulo di argilla illuviale (Typic e Aquic Hapludalfs argilloso-limosi); suoli profondi o moderatamente profondi su depositi di ceneri da caduta (Vitric Hapludands franchi) L’area presenta evidente vocazione forestale. Estese superfici occupate da faggete e da boschi misti di latifoglie mesofile (ontanete ad ontano napoletano). Cerrete di elevato pregio naturalistico. Non trascurabile la presenza di castagneti. Seguendo la classificazione del Pignatti, l’area è inquadrabile nella Fascia Mediterranea ( da 0 a 500 m.sl.m) con vegetazione climax potenziale del bosco di leccio, ove rientrano anche la tipologia delle zone collinari basse interne qual’è quella del sito di intervento. Nel merito di dettaglio del sito di intervento, dal sopralluogo è risultato una accentuazione dei caratteri tipici del sottosistema dei fondovalle alluvionali, che si snodano tra profonde gole nell´Appennino campano, soprattutto per quanto riguarda la vegetazione. Nell’area è dato di riscontrare una vegetazione rappresentata da un mosaico di popolamento di bosco misto, macchia mediterranea e praterie xerofile miste a colture erbacee e arboree. Sono presenti zone con depositi fluvio-torrentizi sciolti, a granulometria ghiaiosa-sabbiosa prevalente e con spessori variabili ove si è insediata una vegetazione tipica dei boschi riparali ad Alnus glutinosa, Populus nigra, Popolus Alba, Salix alba, Ulnus minor, Corpus sanguinea e Sambucus nigra e rare presenze di Platanus orientalis; una vegetazione ripariale arbustiva ed erbacea comprendente: Saliceti a Salix eleagnos, purpurea e triandra; comunità di Polygonum, di Graminacee e leguminose; cespuglietti con Prunus spinosa, Sambuca nigra, Corpus sanguinea e con Rubus sp.
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Le caratteristiche climatiche e pedologiche hanno inciso marcatamente sugli ordinamenti colturali praticati e praticabili, tant’è che, nel territorio in esame, assumono una notevole variabilità, pur prevedendo poche colture: le essenze forestali ( che coprono buona parte del territorio comunale) si intersecano con le colture agrarie ( olivo, vigneti e frutteti si alternano con cerealicole e foraggere) e nelle zone più impervie, il posto è lasciato ai pascoli. Le caratteristiche climatiche dell’area insieme alla natura geologica (suoli argillosi di origine illuviale) (Typic e Aquic Hapludalfs argilloso-limosi) dei luoghi determinano una composizione floristica naturale propria dell’area. Da un punto di vista botanico, il territorio di BELLOSGUARDO, è esemplare per esaminare la successione vegetale da un clima appenninico ad un clima prevalentemente mediterraneo. Partendo dalla relazione tra clima e associazioni vegetali, da un’osservazione dei boschi del territorio possiamo affermare che nell’area di intervento è possibile riscontrare, sulla base della classificazione del PAVARI, le seguenti fasce fito-climatiche: ¨ CASTANETUM: sottozona calda e fredda; con una vegetazione costituita da castagno, essenze quercine (cerro,roverella, aceri, frassini, carpini) ; mentre gli arbusti sono costituiti da rovi e ginestre. Tale zona giunge fino a 500-900 m.s.l.m. a seconda della esposizione dei versanti. ¨ FAGETUM: sottozona calda; con una vegetazione prevalentemente di faggio, cerro, acero,ontano carpino e sorbo,posta immediatamente al di sopra della fascia del Castanetum. ¨ FAGETUM: sottozona fredda; posta nella parte cacuminale del massiccio degli Alburni ed al fondo delle doline. I limiti e la distribuzione della vegetazione sono fortemente influenzati dall’azione antropica, della esposizione, della morfologia e della pendenza. ¨ LAURETUM : climi con siccità estiva, sono rappresentate tutte e tre le sottozone: -sottozona calda; fino a 200-400 m di altitudine (temperatura media annua da 15 a 23 °C; temperatura media del mese più freddo >-7°C; -sottozona media; da 200-400 m a 300-400 m di altitudine (temperatura media annua da 14 a 18 °C; temperatura media del mese più freddo >-5°C; media dei minimi assoluti >-7°C; -sottozona fredda; da 300-400 m a 500-600 m di altitudine (temperatura media annua da 12 a 17 °C; temperatura media del mese più freddo >-3°C; media dei minimi assoluti non inferiore a >-9°C. L’ isoipsa dei 950 m.s.l.m. rappresenta la linea di passaggio dai cedui termofili a quelli mesofili dominati dal faggio. Sui terreni posti ad altitudine inferiore prevalgono vegetazione di carpino, cerro, ornello (che spesso si colloca su siti rocciosi con habitus cespuglioso), che vanno cedendo il posto, man mano che si procede verso l’alto, cedui misti di caducifoglie. In questa zona di transizione si comincia a notare una significativa presenza di faggio che nella fascia ad altitudine superiore, appunto, diventano prevalenti. Nel territorio, infatti, i limiti altitudinali non sono rigidi, anzi, situazioni particolari possono permettere penetrazioni anche massicce di specie anche in zone al di fuori della loro fascia altitudinale. Le zone cacuminali di vetta sono ricoperte solo da vegetazione erbacea ed arbustiva. I versanti più aridi con esposizione a Sud presentano vegetazione più rada, con frequenti aree d’incolti, in cui stenta ad insediarsi una consistente vegetazione arborea. In definitiva il sito di intervento si colloca nella fascia avente un’altitudine compresa tra i 500 e 1000 m.s.l.m., e caratterizzata da due consorzi tipici: il bosco a Roverella e la boscaglia tipica di Carpino e Ornello in cui scendono anche il Cerro e l’Ontano Napoletano. Le formazioni di Roverella prevalgono nelle esposizioni dove, data la sua valenza ecologica, colonizza anche i coltivi abbandonati. La boscaglia mista si afferma invece nelle esposizioni fredde e sulle pendici caclivi con il prevalere di una o l’altra specie in relazione alle caratteristiche stazionali. Alle quote minori dei 500 m.s.l.m. del versante caldo si distingue un consorzio arbustaceo di macchia mediterranea con specie termo-xerofile, quali il corbezzolo, il mirto, il lentisco, l’oleastro. Strettamente connessa alle caratteristiche orografiche e vegetazionali è la fauna del territorio che, data la enorme varietà di specie, viene distinta in relazione agli habitat naturali presenti nel territorio. Tra i mammiferi viventi nella fascia montana la specie sicuramente più interessante e in pericolo è il Lupo (Cannis lupus) sempre più in forte declino sull’intero massiccio. Nelle zone più rocciose ed esposte a sud è possibile trovare tracce del raro Gatto selvatico (Felis silvestris), predatore molto elusivo, segnalato in costante diminuzione per il continuo degrado ambientale. L’avifauna è presente con specie sempre più rare tra gli Accipitriformi è possibile osservare in alcuni mesi dell’anno la sagoma dell’Aquila reale (Aquila chrysaetos), di solito di passaggio perché non vi sono molte prede. Rara è la presenza dell’Astore (Accipiter gentilis) e lo Sparviero (Accipiter nisus); predatori di uccelli e di altri animali viventi nel bosco. Nei pascoli è possibile scorgere la sagome della Poiana(Buteo buteo) mentre caccia i piccoli mammiferi (arvicole e topi selvatici). Tra i Falconiformi sono presenti; il falco pellegrino (Falco peregrinus), il Gheppio (Falco tinnunculus) e Lodolaio (Falco subbuteo). Negli angoli di faggete non ancora tagliata si possono ammirare specie di Piciformi, quali il picchio verde (Picus viridis), il Picchio rosso maggiore (Dendrocopos major) e il rarissimo Picchio nero ( Drycopus martius). Tutte queste specie sono in via di estinzione per i continui tagli di boschi. Anche nell’ambiente montano le specie di uccelli più diffusi sono quelle dell’ordine dei Passeriformi. Nei boschi è possibile osservare la Ghiandaia (Garrulus glandarius), la Passera scopatola (Prunella modularis), lo Scricciolo (Troglodydes troglodydes), il Merlo (Turdus merla), il Tordo bottaccio (Turdus philomelos), la Tordela (Turdus viscivorus), il Pettirosso (Erithacus rubecula), la Capinera (Sylvia atricapilla), la Cincia bigia (PArus palustris), la Cinciarella (Parus caeruleus), la Cinciallegra (Parus major), il Picchio muratore (Sitta europea), il Rampichino (Cerchia brachydactyla), il Ciuffolotto (Pyrrhula Pyrrhula), il Fringuello (Fringilla coelebs), il Verzellino (Serinus serinus) e il Verdone (Carduelis chloris). Nelle ampie radure troviamo, sempre tra i Passeriformi, la Gazza (Pica pica), la Cornacchia grigia (Corpus corone cornix), il Corvo imperiale (Corpus corax) e il raro Gracchio corallino (Pyrrhocorax pyrrhocorax) . Tra i rettili è diffusa la Lucertola campestre (Podarcis sicula), in altezze superiori a 800 m. troviamo la Lucertola muraiola (Podarcis muralis); diffuso ovunque il ramarro (Lacerta viridis). Presenti sull’altopiano sono la Luscengola (Chalcides Chalcides) nelle aree rocciose e di steppa; l’Orbettino (Anguis fragilis) negli angoli più umidi dei boschi. Tra i Serpenti, frequentano le aree rocciose la Vipera (Vipera aspis) e il Colubro liscio (Coronella austriaca); presente un po’ dovunque il Biacco (Coluber viridiflaus). Frequenta zone più fresche e cespugliose il Cervone (Elephe quatorlineate). Riscontrata sull’altopiano, nei pozzi di pietra ancora esistenti, la Biscia dal collare (Natrix natrix), specie tipica di ambienti palustri. Gli Anfibi sono presenti con poche specie sempre in zone dove esistevano pozzi in pietra o pozze temporanee. Troviamo la Salamandra dagli occhiali ( Salamandrina Tergiditata), il Tritone crestato (Triturus cristatus), il Tritone italiano (Triturus italicus) e il Rospo comune (Bufo bufo). |
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