Sono sempre più popolari, gli haiku.
Piace, in modo evidente, la loro essenzialità, che a volte si coniuga come semplicità, una ricerca della parola, e dell'immagine più limpidamente espressiva, quasi delle epifanie; altre volte, si colora di enigma, di allusione, di visione nascosta.
Non è l'aspetto zen che mi interessa, degli haiku, anche se ne sono l'espressione. E nemmeno mi interessa il fatto della loro struttura rigida, data, quasi da esercizio di stile.
Quello che mi piace è proprio il loro essere poesia, poesia essenziale, che è poi dire poesia tout court.
La ricerca della parola poetica in questo consiste: nel trovare, nell'usare parole che ne richiamino altre, che si carichino di significato, di tensione. Che suonino vibranti, cristalline.
E il precetto di usare il minor numero di parole nelle strofe, rispecchia la natura dell'arte poetica, per la quale, come nella scultura, "il meno è il più".
Certo, come per la filosofia zen, l'haiku non va spiegato, ma inteso; non va analizzato, ma ascoltato.
Ma io non seguo la filosofia zen, e sono curioso, e mi interessa il modo in cui le parole richiamano altre parole, e formano immagini, e suscitano sentimenti vibrando in modo puro, cioè evocando in modo originale, forte, autentico parole usate, conosciute, e caricandole di nuova tensione.
Sono poesia pura, gli haiku. E anche a leggerli come tali, non credo, non credo davvero, si sminuisca la loro carica emotiva.