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« Che colori!!!Messaggio #57 »

Giustizia: l'ergastolo, il carcere e la speranza  di Pietro Ingrao

Post n°56 pubblicato il 25 Gennaio 2008 da geko1963
 

 

 

La Repubblica, 24 gennaio 2008

 

In questi giorni un gruppo di ergastolani - cioè di esseri umani condannati a stare in carcere per tutta la durata della loro vita, fino alla morte - si è rivolto al Paese e alle autorità della nostra Repubblica per sollevare il problema della loro condizione esistenziale.

Chi sono? Che chiedono questi reclusi così distanti da noi? Attualmente essi vivono in una condizione che a me sembra terribile. Sono segregati in un luogo di detenzione per una decisione pubblica, che - a punizione dei loro crimini - li condanna a stare rinchiusi in una galera sino alla loro scomparsa dalla Terra. È dunque azione dello Stato che muta tragicamente tutto il loro esistere. È la prigione che dura fino allo spegnersi della vita.

Spesso, nelle vicende tempestose che ho attraversato e dinanzi alla sorte di tanti miei compagni finiti nella galera, mi sono trovato a riflettere sulla durezza rovinosa del carcere: dell’essere costretti dallo Stato a vivere rinchiusi come in una tana. E nonostante la gravità dei loro crimini, che avevano motivato quella decisione, essa mi appariva grave e devastante.

Eppure in quella reclusione agiva pur sempre la speranza che la gabbia del carcere si aprisse e il prigioniero potesse tornare nel fluttuare vasto e mutante del mondo libero. Questa speranza del detenuto - con la condanna all’ergastolo - viene stroncata alla radice.

È come il morire? No. È l’esistere, l’esperire umano nel vasto mondo che si restringe paurosamente: nel suo potere di cognizione e di relazione. Vengono mozzati l’azione e l’ascolto dell’essere umano: e il conoscere. E l’amare: non solo per il presente, ma per il domani, e per il domani ancora, fino alla morte, alla scomparsa dal vivere umano.

Perché ricorriamo a questa mutilazione cosi grave, così distruttiva e che incide su tutta la vita? Per fermare un crimine? Come questa motivazione mi ricorda l’illusione - così fragile - di realizzare l’innocenza con la paura... Sento che qui si apre il discorso così grave sulla punizione, e a che essa serva: se soltanto a fermare chi delinque o a riconquistarlo a una fratellanza. E s’allarga il pensiero sull’uso così largo che, ancora oggi, si fa della condanna a morte e che è come il segno della nostra incapacità o non volontà di salvare i nostri simili. Tornano tutte le aspre, complesse domande sulla funzione della pena: e se essa punti a punire, o anche a recuperare chi è caduto nel delinquere.

Quando mi unisco alla schiera che invoca una riflessione nuova sulla pena, e sia punire, scelgo la schiera della speranza. Non faccio opera di misericordia verso il peccatore. Lavoro per i miei fratelli viventi, per una dilatazione dell’umano. Tento un recupero dell’umano anche in chi ha ucciso.

È tutta l’idea della carcerazione e del punire che entra in discussione. Non rinuncio a punire. Ma mi interrogo su cos’è che valga quella decisione del giudice: la punizione; e se essa è solo vendetta o misura di protezione, o vuole, tenta di aprire un dialogo con il reo, e non vuole mai dimenticare che anche il reo è un essere umano. E tento un recupero dell’umano anche in chi ha ucciso. E qui il discorso si dilata. Va all’uso risorto, fiorente, dell’uccidere "statale", se è vero che oggi nelle diverse plaghe del globo hanno ritrovato spazio e legittimazione gli stermini delle guerre e le abbiamo ancora oggi dinanzi ai nostri occhi dolenti e spaventati.

E mi turba molto negare anche solo un grammo di speranza all’ergastolano e tacere dinanzi al pubblico il massacro di migliaia e migliaia, in Iraq e altrove.

 
 
 
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HASTA SIEMPRE COMANDANTE GUEVARA

Il potere ha sempre paura delle idee e per arginare la lotta degli sfruttati comanda la mano di sudditi in divisa e la penna di cervelli sudditi. Assassinando vigliaccamente il Che lo hanno reso immortale, nel cuore e nella testa degli uomini liberi. Negli atti quotidiani di chi si ribella alle ingiustizie. Nei sogni dei giovani di ieri, di oggi, di domani!     

 

ART.1 L. 26 LUG 1975, N. 354

Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona.

Il trattamento è improntato ad assoluta imparzialità, senza discriminazioni in ordine a nazionalità, razza e condizioni economiche e sociali, a opinioni politiche e a credenze religiose.

Negli istituti devono essere mantenuti l'ordine e la disciplina. Non possono essere adottate restrizioni non giustificabili con le esigenze predette o, nei confronti degli imputati, non indispensabili a fini giudiziari.

I detenuti e gli internati sono chiamati o indicati con il loro nome.

Il trattamento degli imputati deve essere rigorosamente informato al principio che essi non sono copnsiderati copevoli sino alla condanna definitiva.

Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al reiserimento sociale degli stessi. Il trattamento è attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti. 

ART. 27 COSTITUZIONE

La responsabilità penale è personale.

L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.

Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalla legge (La pena di morte non è più prevista dal codice penale ed è stata sostituita con la pena dell'ergastolo)

 

TESTI CONSIGLIATI

Sociologia della devianza, L. Berzano e F. Prina, 1995, Carocci Editore.
Asylums. Le istituzioni totali: i meccanismi dell'esclusione e della violenza,
E. Goffman, Edizioni di Comunità, 2001, Torino.
Condizioni di successo delle cerimonie di degradazione
, H. Garfinkel.
Perchè il carcere?,
T. Mathiesen, Edizioni Gruppo Abele, 1996, Torino.
Il sistema sociale,
T. Parsons, Edizioni di comunità, 1965, Milano.
Outsiders. saggi di sociologia della devianza,
Edizioni Gruppo Abele, 1987,
Torino. La criminalità, O. Vidoni Guidoni, Carocci editore, 2004, Roma.
La società dei detenuti, Studio su un carcere di massima sicurezza,
G.M. Sykes, 1958. Carcere e società liberale, E. Santoro, Giappichelli editore, 1997, Torino.

 

 

 

 


 

 

 

 

 
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