Creato da Giuranna il 05/07/2008
Blog di Giovanni Giuranna - consigliere comunale della lista civica Insieme per cambiare di Paderno Dugnano

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« PENDOLARI IN AGITAZIONE ...IL MIRACOLO »

IL GOVERNO VUOLE PIU' SICUREZZA E TAGLIA I FONDI ALLA POLIZIA

Post n°1291 pubblicato il 02 Dicembre 2010 da Giuranna
 

Sono un cittadino di Paderno Dugnano. Ho la fortuna di avere una sorta di microfono (questo blog) che mi permette di dire ad alta voce quello che penso.

I miei  venticinque lettori sappiano che unisco la mia voce alle proteste dei diversi sindacati di Polizia nei confronti dei tagli operati dal Governo alle forze dell'ordine.

E' un taglio che brucia doppiamente in quanto effettuato da chi ha impostato la campagna elettorale sul tema della sicurezza e sbandiera i risultati ottenuti nella lotta alle mafie.

 

 

Il ruggito di Catarella

Terribile, ammonisce la Bibbia, è l’ira del mite.
Perché il mite, a differenza dell’irascibile, accumula, accumula ma quando s’incazza, non conosce mezze misure.
Nella finanziaria di quest’anno, alla missione numero 7 (ordine pubblico e sicurezza), Il Governo, che più di tutti gli altri è impegnato nella lotta al crimine, assesta un ulteriore durissimo colpo ai delinquenti tagliando 146 milioni di euro (146,51) ai fondi per i poliziotti.
Inoltre, poiché quest’anno lo stesso governo intende assistere anche le vittime della mafia, più di quanto sia stato mai fatto da chiunque, taglia di 24 milioni di euro (24,8) il fondo di solidarietà per le vittime della mafia.
Il Ministro dell’Interno è contento perché NOI arrestiamo i latitanti, e più ne arrestiamo più il Governo riduce i soldi a nostra disposizione, e più è importante il criminale più è consistente il taglio. I colleghi della Mobile di Palermo sono avvisati; quando arresteranno Matteo Messina Denaro, potrebbe esserci il rischio di lasciare qualcosa del loro stipendio nelle casse dello Stato. Qualcuno potrebbe dire: qui il concetto di produttività è inversamente proporzionale alle risorse.
Una filosofia originale, quella del Governo, del tutto contraria, volendo, a quella che pervade la gestione del personale nel mondo dell’impresa; ma che mantiene, comunque, un suo sinistro fascino.
Nel privato, ad esempio, se uno è bravo, viene strapagato. Se non è bravo, viene pagato in modo ordinario, se è proprio negato, gli danno una carica in un ente pubblico oppure lo fanno direttore delle ferrovie o di una rete Rai.
Nel nostro settore, invece, se i poliziotti fanno bene anzi benissimo il proprio mestiere, vengono pagati di meno, gli vengono tolti i mezzi per lavorare, e, se proprio sono bravissimi, vengono tenuti persino a digiuno.
Magri e affamati, come lupi famelici, così il generale Massimo voleva i suoi legionari ne “ Il Gladiatore”. Magri e affamati come iene incazzate, così il generale Silvio vuole i suoi poliziotti. E ce la mette tutta, davvero tutta, per riuscirci.
Spegnete le luci, accendete i riflettori, lo spettacolo ancora una volta si ripete, il copione è quello che già conoscete:
1. Annuncio di clamorosi provvedimenti contro la mafia-
2. Emanazione del clamoroso pacchetto sicurezza, e cocente delusione degli addetti ai lavori, i quali scoprono che esso è assolutamente inutile per contrastare il crimine e spesso dannoso per l’ordinaria attività dei poliziotti.
3. Brillante operazione di polizia e magistratura con la quale nulla, ma proprio nulla c’entrano il Governo e i suoi pacchetti, anzi la brillante operazione è stata fatta nonostante il primo e a prescindere dai secondi.
4. Foto ricordo del massimo responsabile dell’interno che scherza amabilmente con gli operatori, indossando a richiesta il mefisto dei Nocs o suonando il campanaccio della Catturandi di Palermo.
5. Emanazione di altro clamoroso provvedimento di natura essenzialmente economica con il quale vengono disposti ulteriori tagli, sacrifici, restrizioni e ulteriori penalizzazioni per gli operatori di polizia.
E’, essenzialmente, l’antimafia dei “fatti”.
Bisogna, infatti, essere “fatti”, completamente “fatti”, per pensare che la mafia si possa sconfiggere tagliando le spese della sicurezza e riducendo alla fame i poliziotti.
E siccome gli argomenti non ci mancano, prendiamo ad esempio quello che è successo nell’ultima settimana.
Venerdì scorso il Governo ha varato un altro pacchetto sicurezza. Ho perso il conto, dovrebbe essere il quinto o il sesto dell’ultimo quinquennio.
Atteso dai più come la soluzione finale ai drammi della nazione appare, come suggerisce la parola stessa un rimedio minimo per il male che continua a crescere nel Paese.
I punti salienti sono quelli illustrati ai mass media dal Governo in conferenza stampa:
Primo punto; il prefetto renderà obbligatorie, con proprio provvedimento, le ordinanze del sindaco in materia di sicurezza urbana, visto che sinora nessuno se le filava, anche perché nessuno sapeva cosa diavolo fosse la sicurezza urbana, quella inurbana e quella di quartiere, e c’è voluto un altro provvedimento del Ministro dell’Interno che lo spiegasse.
Secondo punto; le prostitute “da strada” possono ora essere passibili di foglio di via, mentre quelle di lusso, le “escort” rimangono tranquille dove stanno, e se qualcuno le porta in questura interviene la telefonata di turno a “seguire la faccenda”.
Terzo punto; i cittadini comunitari non in regola con la direttiva europea 38/2004, quella che stabilisce che se un cittadino dell’unione europea vuole risiedere stabilmente in un Paese qualsiasi della stessa deve dimostrare di avere reddito, abitazione e buona condotta, possono essere invitati ad andarsene. Se poi non se ne vanno, possono essere rintracciati ed espulsi, ma dove rintracciarli rimane un mistero visto che non hanno né un domicilio né un posto di lavoro.
Quarto e ultimo punto; viene potenziata la famosa Agenzia per l’utilizzo dei beni confiscati e sequestrati alla mafia, perno centrale dell’azione antimafia del governo, in quanto destinata a trovare con la sua attività i soldi necessari per reintegrare i tagli che il governo attua a ogni finanziaria sugli straordinari, sugli equipaggiamenti e, da ultimo, sul vitto dei poliziotti. Agenzia che, finora è riuscita a trovare i fondi necessari (320 mila euro all’anno) per affittare una sede comoda nel centro di Roma dove ospitare i suoi sedici dipendenti, mentre i tagli degli ultimi due anni alla sicurezza superano i tre miliardi di euro e minano l’operatività delle forze di polizia.
Questo il pacchetto di questo Governo.
Poi, il martedì successivo, i poliziotti di Napoli e di Caserta, usando lo strumento prezioso delle intercettazioni telefoniche, che questo governo ha cercato la scorsa estate di eliminare o almeno di ridurre in maniera consistente, e non c’è riuscito solo perché i sindacati di polizia hanno avviato una colossale protesta, e lavorando “ a gratis” perché nessuno pagherà loro tutti gli straordinari, le missioni e le notti perse dietro i telefoni, ascoltano una frase in codice.
C’è un tale, sospettato che a metà novembre ha una strana esigenza di comprare un panettone con l’uva passa, e i colleghi, che di mestiere fanno i poliziotti, per fortuna, e non i politici, né gli scrittori di successo, capiscono di dover agire; così viene arrestato il capo dei casalesi Antonio Iovine, il "ninno bello” che ogni sbirro che si rispetti avrebbe voluto ammanettare.
Questi i fatti; un arresto che nulla c’entra con i provvedimenti del Governo sui sindaci, sulle escort e sulle Agenzie di confisca, un arresto anzi che non sarebbe stato possibile se il Governo fosse riuscito a varare la sua legge contro le intercettazioni; un arresto che forse sarebbe arrivato prima se il Governo avesse evitato i pesanti tagli che ha operato ai bilanci della sicurezza.
Passiamo alla parte finale del copione: mentre i poliziotti, soli e contrastati dalla famiglia, come il buon Eduardo De Filippo di “Natale in casa Cupiello”, fanno il loro presepe, divampa nel Paese la polemica tra l’antimafia dei fatti e quella della chiacchere.
Al governo non par vero di far proprio questo ulteriore, straordinario risultato dei poliziotti, e il ministro dell’interno si precipita a Napoli per complimentarsi coi colleghi. E fin qua ci stiamo, dopotutto il ministro dell’interno è lui e, a parte qualche scivolone sulle ronde e sulle ordinanze dei sindaci, e nonostante la sua assenza ingiustificata sul fronte dell’opposizione ai tagli della sicurezza, almeno ha il merito di non ostacolare l’attività operativa dei poliziotti.
Non ci stiamo, invece, quando un altro ministro, quello della giustizia, si unisce alla comitiva per festeggiare il successo della polizia e della magistratura, e, dopo aver festeggiato, aggiunge sornione in conferenza stampa un messaggio alla nazione:
“Avete visto che risultati abbiamo avuto grazie al circuito virtuoso di leggi e azioni che il governo ha saputo mettere in atto"? Be’, tenete presente che se questo governo dovesse finire, questi risultati non ci saranno più.”
Ecco, questo è troppo, decisamente troppo, insopportabilmente troppo.
Questo vuol dire fregarsene della verità della giustizia della lotta alla mafia e degli sforzi fatti da poliziotti, carabinieri, finanzieri e magistrati, e pensare esclusivamente ai propri interessi partitici.
Questo vuol dire dar corpo, dopo l’antimafia delle chiacchere e dopo l’antimafia dei “fatti”, all’antimafia dei pinocchietti, a quell’antimafia cioè che della vera lotta alla mafia non gliene importa un fico secco, e s’appropria dell’altrui lavoro per vantare meriti che non ha.
Perchè i meriti di questi importanti risultati vanno innanzitutto a quegli uomini e a quelle donne che in silenzio, mentre l’onorevole Santanchè si prepara per il talk show del giovedì centrato sui meriti del governo Berlusconi in tema di lotta al crimine, si chiudono in un furgoncino e si preparano ad una lunga notte di novembre in appostamento;
a quegli stessi che, mentre l’onorevole Brunetta li insulta dal palco di Cortina d’Ampezzo, si danno il cambio in sala intercettazioni ingoiando un panino tonno e pomodoro;
a quegli stessi che, mentre l’onorevole La Russa li definisce una cinquecento paragonati alla Ferrari, anticipano i soldi per la benzina dell’auto di servizio altrimenti non possono pedinare il balordo che li porterà nel rifugio del boss, togliendoli da uno stipendio che per l’onorevole rappresenterebbe la paghetta del figlio maggiore.
A quegli stessi che subiscono in silenzio tutto l’ambaradan del carrozzone politico, annessi e connessi, perchè abituati da secoli a lavorare senza protestare, purché vengano rispettate alcune condizioni sine qua non.
E’ gente, questa, che non fa sconti, neanche ai propri capi. Neanche ai capi della polizia.
Perché se è vero che la polizia fa miracoli, da alcuni anni a questa parte, questo non è dovuto né al circuito virtuoso del governo in carica, né ai circuiti virtuosi dei governi precedenti, ma ad uno staff di uomini messo su dagli ultimi capi della polizia che vengono, guarda caso, dall’esperienza investigativa, e che sanno puntare sulla forza dell’esempio e sulla stima dei propri collaboratori, condividendo i sacrifici, i successi e le responsabilità degli insuccessi.
A questi uomini, a questo staff, a questi Capi è da attribuire il merito dei risultati straordinari della lotta alla criminalità, che ha contrassegnato l’azione delle forze di polizia degli ultimi anni.
Altro che circuiti virtuosi, Santanchè e Brunetta, fogli di via alle prostitute e lodi Alfano.
E stia tranquillo il ministro della giustizia; questi risultati continueranno, anche se il suo governo dovesse cadere, perché la verità è che ogni poliziotto lavora per il bene della collettività, non per quello del governo.
Il quale può solo agevolare l’azione di polizia o scoraggiarla, ma non ostacolarla o impedirla. E, da questo punto di vista, le idee dei poliziotti sono abbastanza note: questo Esecutivo scoraggia di fatto, con una lunga serie di provvedimenti inefficaci ed una spietata politica di tagli, l’azione delle forze di polizia. Ma non può impedirla.
Ci vuole ben altro per impedirla; ad esempio l’azzeramento dei vertici investigativi, dal direttore della direzione centrale anticrimine al direttore del servizio centrale operativo per esempio, gli uomini che stanno davvero dietro tutti i successi degli ultimi dieci anni di antimafia.
O il cambio della guardia ai vertici delle squadre mobili, che vantano oggi un parterre di investigatori ex giovani formati alla scuola dello Sco degli ultimi capi tutti provenienti dalle fila della Polizia.
O, più semplicemente, il mancato rispetto di una delle condizioni sine qua non di cui si parlava poc’anzi; il bisogno, per i tanti uomini che producono questi risultati, di avere superiori valorosi, autorevoli, credibili, pronti a dividere i sacrifici e a fornire l’esempio ai propri colla-boratori.
Quando l’esempio c’è, il meccanismo funziona, perché l’uomo si sente parte del tutto, ed allora passano in secondo piano i tagli, le ristrettezze, i provvedimenti sballati, le auto che non ci sono, gli sberleffi del ministro, i lazzi dell’onorevole e le spacconate del politicante. Allora il poliziotto lavora e raggiunge l’obiettivo.
Quando invece l’esempio viene a mancare anche nelle piccole cose, in quelle ritenute a torto di scarsa rilevanza, allora il meccanismo s’inceppa, l’uomo non si sente più parte del sistema, e allora il superiore cessa di essere credibile, autorevole e degno di essere assecondato, e diventa un padrone del quale non si accettano né vizi né vizietti.
Allora scatta la ribellione, e nulla viene più fatto passare in cavalleria.
Bisogna fare attenzione, poco prima che questo accada, al ruggito di Catarella.
Chi è Catarella? E’ l’appuntato apparentemente indolente e un po’ svogliato del commissario Montalbano, è l’ultimo della scala gerarchica, quello che si sacrifica quando il questore pretende un volontario per il corso d’informatica e nessuno ci vuole andare, è quello che ha soltanto superiori e neanche un subordinato, è quello che non parla un perfetto italiano e butta giù la porta ogni volta che deve entrare nell’ufficio del capo.
Ma è anche uno sbirro vero, che riesce, col suo modo semplice e preciso di ragionare a risolvere i casi più complessi, quelli sui quali persino il commissario ci sbatte le corna.
Catarella, così si firma un collega della Questura di Forlì. Una questura come tante altre, con gli stessi problemi di tante altre, causati dalla penuria di risorse e dalla mancanza di personale; ed una aggravante in più: i vertici della questura, in alcuni momenti critici, anziché dividere le difficoltà col personale, si fanno gli affari loro. Così, durante un servizio di o.p., mentre la “truppa”, di cui Catarella fa ovviamente parte, viene costretta a consumare, sul marciapiede, uno scarno sacchetto-mensa, per così dire, formato da una scatoletta di tonno ed una “fiesta” con data di scadenza passata da un bel pezzo, e quindi immangiabile, i “comandanti”, di nascosto, questore in testa, si appartano nella saletta vip del ristorante per pasteggiare con ben altro banchetto.
E’ qui che l’anonimo Catarella ruggisce; e, anziché abbozzare come sicuramente avrebbe fatto se i suoi funzionari avessero gestito meglio la situazione, si mette a fotografare le merendine scadute, i colleghi che fanno scolare l’olio verdognolo delle scatolette sul marciapiede, ed il cumulo delle fieste scadute e pertanto non consumate. Poi, non soddisfatto, fa in maniera che alcuni rappresentanti sindacali vadano a contattare, con una scusa, i funzionari appartati in sala vip, i quali, imbarazzati, e vistisi scoperti, si danno alla chetichella, ad uno ad uno, come bimbi sorpresi a far la marachella.
Infine, non contento, butta giù un resoconto del fattaccio e lo manda al Siulp di Forlì, stigmatizzando l’accaduto.
Bene, anche noi vogliamo dare il nostro contributo a questa giusta causa che sicuramente non ha ad oggetto comportamenti illeciti della nostra classe dirigente, ma un pochino ridicoli sì.
Terribile è l’ira del mite, suggerisce la Bibbia; il ruggito di Catarella è il segnale d’allarme che i vertici della polizia di Stato devono ascoltare con la dovuta attenzione prima che la situazione diventi difficile.
Perché se il governo dovesse cambiare, l’attività di polizia continuerà sicuramente a dare risultati di alto livello come quelli degli ultimi anni.
Se Catarella s’incazza, no.

[fonte: SIULP]

 

Così il Ministro dell'Interno Maroni ha risposto in televisione al SAP (sindacato di Polizia di area centrodestra):

 


 
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