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CHIESA IN LOMBARDIA: FATTORE DI SVILUPPO NEL CAMPO ARTISTICO

Post n°1372 pubblicato il 22 Dicembre 2010 da Giuranna
 

Per chi non parte le vacanze natalizie sono un'occasione per conoscere più a fondo Milano e la ricchezza culturale della Lombardia. Segnalo con piacere la mostra "Sacro Lombardo" ospitata a Palazzo Reale fino al 6 gennaio.

Ecco come viene presentata sull'Osservatore Romano di oggi:

Il "Sacro lombardo" in mostra al Palazzo Reale di Milano
La Cenerentola dell'arte italiana

di Pietro Petraroia

La mostra "Sacro lombardo" (Milano, Palazzo Reale, fino al 6 gennaio 2011) ha un titolo singolare:  mette insieme una problematica delicata, quella del sacro, che viene peraltro evocata nei contesti e nelle accezioni più diverse, con un'aggettivazione, "lombardo", molto specifica e a prima vista addirittura localistica. In realtà il tema dell'esposizione è attentamente definito:  si tratta della pittura di soggetto cristiano cattolico fiorita tra la canonizzazione di san Carlo Borromeo, cinquecento anni fa, e l'elezione al pontificato del lombardo Achille Ratti (Pio XI) nel 1922.
A dispetto di questa apparente riduzione localistica, il curatore Stefano Zuffi, affiancato dal prefetto della Biblioteca e Pinacoteca Ambrosiana, monsignor Franco Buzzi, pone in evidenza con questa mostra una serie di temi di storia della ricerca e della comunicazione artistica, ispirate dalla fede cattolica, oggi assai significativi tanto per le comunità di fedeli quanto per gli appassionati di storia dell'arte. Occorre infatti ricordare che l'arte in Lombardia ha sofferto a lungo di un pregiudizio storiografico che dal xiii al xix secolo relega questo territorio alla periferia della ricerca artistica rispetto alle più celebrate scuole italiane di Venezia, Bologna, Firenze, Roma, Napoli. Maria Luisa Gatti Perer, fondatrice e a lungo titolare della cattedra di Storia dell'arte lombarda presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ricordava spesso questa prevenzione irragionevole che nel 1955 l'aveva spinta a ideare e realizzare la rivista "Arte Lombarda" oltre che a creare e dirigere l'Istituto per la Storia dell'Arte Lombarda (Isal); gran parte della sua vita e di tutte le sue risorse sono state dedicate a indirizzare e pubblicare studi rigorosi sulle arti in terra lombarda, formando centinaia di specialisti non soltanto italiani; eppure tutto ciò non basta ancora a superare del tutto l'antico pregiudizio.
Questa mostra, erede di una lunga serie di pubblicazioni scientifiche, catalogazioni, restauri, manifesta ormai con naturalezza l'importanza specifica della committenza ecclesiale nel dare origine proprio in Lombardia alla formazione e agli sviluppi di un'espressività artistica originale, che ha consentito a Milano, Bergamo e Brescia in primo luogo di essere area di sperimentazione, più che di ricezione, di innovative forme di espressività artistica, dialogando in modo molto efficace soprattutto con Venezia e Roma, talora con l'area di influenza emiliana:  basti ricordare il ruolo degli artisti lombardi nella formazione del barocco romano.
La mostra, che pure tende a offrire una panoramica articolata e ampiamente rappresentativa di ricerche e tendenze nel periodo considerato (soprattutto se si consideri l'esplicito rinvio a una decina di chiese milanesi, immaginate come luoghi espositivi correlati) sottolinea di fatto soprattutto due fasi cruciali:  il periodo iniziale, tra Carlo e Federico Borromeo, e l'ultimo, ossia il rifiorire intenso della committenza ecclesiastica in Lombardia nei decenni centrali dell'Ottocento, con la capacità di captare le tendenze più avanzate dapprima del Neoclassicismo (quasi raccogliendo e superando l'eredità del classicismo romano tardo-barocco) e poi delle innovazioni in direzione romantica e realista; né vanno dimenticati i molti artisti sei-settecenteschi presenti in mostra e, fra tutti, il Petrini.
Del resto, tra i dipinti esposti suggerirei di partire dalla tela di Filippo Abbiati raffigurante Papa Clemente viii approva l'ufficio di Lorenzo presentato dal vescovo Bascapè nell'anno 1600:  una sorta di rievocazione storica che, alla fine del Seicento, celebra indirettamente la consapevolezza di una secolare vicenda di fede e arte tutta ancora imperniata sull'influsso e l'esempio della spiritualità di Carlo Borromeo, del quale il barnabita Bascapè fu infaticabile collaboratore e seguace.
Al centro della prima sezione della mostra, che non trascura gli apparati di contestualizzazione storica, è la figura del Cerano (Giovanni Battista Crespi), personaggio di spicco nell'età di Federico Borromeo, la cui presenza a Palazzo Reale va integrata con le opere nelle chiese milanesi (celebre il suo San Carlo in Gloria nella vicina San Gottardo, detta appunto "al Palazzo"); ma è tutto il gruppo dei protagonisti della pittura negli anni del cardinal Federico e del suo successore Cesare Monti che viene posto in dialogo grazie a un gioco di significativi rimandi compositivi e formali tra le opere scelte:  Giulio Cesare Procaccini, Pier Francesco Mazzucchelli detto il Morazzone, Daniele Crespi e gli altri artisti del tempo evocati nel saggio in catalogo di Simonetta Coppa dedicato alla chiesa milanese di Sant'Antonio Abate.
La lunga vicenda, così lombarda, delle indagini sulla resa pittorica delle passioni umane, che nell'Ultima Cena di Leonardo trova il suo fondamentale caposaldo, continua a svilupparsi nell'arte di soggetto religioso in tutte le tele esposte, fino all'intenso esito dell'Erodiade di Francesco Cairo.
Tra gli artisti presentati colpisce il veneziano Andrea Celesti, a lungo attivo in area bresciana, presente in mostra con una sola opera, la Resurrezione di Cristo (inizio secolo xviii), che sembra rievocare consapevolmente i luminosi colori di Lorenzo Lotto; al Celesti don Giuseppe Fusari dedica in catalogo un saggio specifico, che auspicabilmente potrebbe preludere a una futura mostra monografica sull'artista.
Ma la sezione più sorprendente è forse proprio quella conclusiva, dedicata all'Ottocento e curata da Fernando Mazzocca:  scorrendo tante opere, dal Diotti al Trécourt, da Hayez a Faruffini, da Mosè Bianchi alla stupefacente Madonna dei gigli di Gaetano Previati (1894), appare evidente come, al di là di marcate differenze di percorsi espressivi ma grazie a una rinnovata e potente committenza, l'ispirazione religiosa sia stata vivace promotrice di nuova arte in Lombardia, contribuendo a farne "il laboratorio artistico più avanzato in direzione sperimentale della penisola" in un percorso che si vorrebbe poter seguire anche nel XX secolo, nonostante la cesura potente delle Avanguardie.

(L'Osservatore Romano - 22 dicembre 2010)

 
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