il 11 gennaio 2009 alle 5.16
LA SENTENZA della decima sezione del Tribunale penale di Roma è destinata, fatalmente, a riaprire il processo sportivo di calciopoli, celebrato nell’estate mondiale del 2006. Nel corso di quel giudizio la Figc, allora commissariata ed affidata a Guido Rossi, decise che si sarebbe dovuto arrivare rapidamente ad una decisione, riducendo arbitrariamente i termini della difesa, eliminando illegittimamente un grado di giudizio, scegliendo uno ad uno i giudici che hanno cancellato due campionati di calcio e molto altro. Il presupposto su cui si reggeva tutto l’impianto accusatorio argomentato dal Procuratore federale Stefano Palazzi era l’esistenza di un sodalizio criminale, diretto e coordinato da Moggi, capace di condizionare l’esito delle partite di calcio ed in ragione di questa ipotesi, certezza assoluta ed incontrovertibile per i giudici sportivi, si decise di punire nel modo più rigoroso possibile Luciano Moggi e, conseguentemente, la società Juventus.
Tanto era solida la certezza dell’esistenza di questa associazione a delinquere ad esclusivo beneficio dell’ex Direttore Generale bianconero, che non venne ritenuto né utile né doveroso ascoltare tutte le intercettazioni telefoniche (come invece avverrà nell’imminente processo penale di Napoli), poiché per la Figc era incontestabile l’operatività della struttura eversiva diretta ad alterare il reale e leale andamento degli incontri di calcio.
Ebbene, tutto questo risulta smentito da una prima sentenza del giudice statale, ben più autorevole di quello sportivo, considerata la lunghezza del processo e la completezza delle prove emerse. Ragionevolmente lo stesso dato emergerà nel processo di Napoli ed a quel punto, Luciano Moggi e la società Juventus sarebbero legittimati a chiedere la riapertura del processo sportivo “calciopoli”, il primo per chiedere ed ottenere la propria riabilitazione personale e professionale, la seconda per vedersi riattribuiti gli scudetti ingiustamente sottratti ed entrambi per il riconoscimento di un ingente risarcimento del danno, secondo il mio parere di molte decine di milioni di euro, forse insostenibile per le finanze federali.
Questo ragionamento parte da un elemento che non occorre mai dimenticare e cioè che il processo Gea non riguarda in alcun modo la Juventus, ma solo Luciano Moggi & co.. Tuttavia, esiste un minimo comun denominatore a sostegno di tutte le ipotesi accusatorie, tanto penali quanto sportive, la già ricordata esistenza di una famigerata “cupola” del calcio, con carattere associativo ed organizzato che, da oggi, un Tribunale della Repubblica ha accertato non essere mai esistita. Semmai, si discuterà in appello se possono esserci stati singoli, sporadici ed occasionali comportamenti da giudicare con maggiore attenzione (prevedo, comunque, che nel prossimo giudizio la sentenza sarà di assoluzione con formula piena, poiché in caso contrario la pressoché totalità dei Direttori sportivi dovrebbero essere penalmente condannati per aver limitato le smanie pecuniarie ed affaristiche di giovani calciatori, nonché dei loro procuratori, avvinti da delirio di onnipotenza), che, al massimo si sarebbero dovuti tradurre in blande sanzioni di inibizione temporanea, senza alcun coinvolgimento della società Juventus. Con amarezza non può non rilevarsi il diverso atteggiamento, invece, assunto dagli organi della Figc.
Nel famoso caso Recoba, all’epoca tesserato dell’Inter, la Figc chiese un illuminante parere all’allora Presidente Emerito della Corte Costituzionale Vincenzo Caianiello, che consigliò, per lo scandalo dei passaporti falsi, una sanzione sportiva lieve, in attesa della sentenza penale che avrebbe potuto smentire i giudici federali, esponendo la Figc a gravi conseguenze. Nel caso di Moggi e della Juventus è stato fatto l’esatto opposto!
PACO D'ONOFRIO
(docente all’Università di Bologna e legale di Luciano Moggi)
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il 18/11/2010 alle 15:30
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